
Nechirvan Barzani Presidente della Regione Autonoma del Kurdistan iracheno.
Adesso non sono più voci, ipotesi, adesso è sceso in campo il Presidente della Regione Autonoma del Kurdistan iracheno, Nechirvan Barzani, a dire ufficialmente al portale curdo Rudaw che tra Turchia e curdi è in corso un serio negoziato di pace, che lui stesso ne ha parlato con le autorità di Ankara e che è atteso molto presto un pronunciamento pubblico di Ocalan che dovrebbe chiedere al suo partito, il PKK, di deporre le armi.
Questo, ha proseguito Nechirvan Barzani, non vuol dire “arrendersi”; vuol dire che i problemi che ci sono vanno risolti, ma non con le armi. E quindi, molto significativamente, ha scandito che per lui tutti nel PKK dovrebbero seguire le indicazioni di Ocalan – segno che potrebbero esserci ancora delle discussioni interne: una sembra essere la richiesta da parte di alcuni di una preventiva liberazione del fondatore del PKK da parte dei turchi che lo detengono da 26 anni.
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Il nodo delle armi non si risolve però solo in Turchia, ma soprattutto in Siria, dove molti guerriglieri del PKK operano all’interno della formazione curda SDF che controlla il nord-est della Siria, con il sostegno americano che con loro combattono l’Isis. Impegno che Ankara lavora a trasferire al proprio esercito, insieme a siriani, iracheni e giordani.
Barzani ha sollecitato i curdi siriani ad andare a Damasco, per costruire insieme alle autorità damascene la Siria di tutti i siriani. “Andateci da comproprietari, non da ospiti” – ha aggiunto.
Il processo dunque è in atto, i curdi siriani hanno dato la loro disponibilità a una riunificazione della Siria sotto la presidenza dell’islamista al Sharaa, lo hanno invitato anche a visitare i loro territori, dicendosi pronti a proseguire i colloqui a Damasco. Il nodo è l’ingresso della loro compagine militare nell’esercito siriano, come richiesto da al Sharaa: cosa che accettano, ma c’è il problema dei miliziani curdi di origini turche, cioè del PKK. Cosa ne sarà di loro? Meno rigidi sarebbero i leader curdi siriani sulla loro vecchia richiesta di entrare nell’esercito come un battaglione autonomo.
Questi argomenti, se venissero risolti, consentirebbero di definire il tema più politico, quella dell’autonomia, amministrativa e/o linguistica, all’interno di una Siria plurale, che il presidente islamista al Sharaa ha di nuovo annunciato come imminente – questa volta promettendo la formazione di un nuovo governo aperto a tutte le componenti etnico-religiose del Paese.
Governo che dovrebbe nascere ai primi di marzo. Se così fosse potrebbe allargarsi il gruppo di coordinamento incaricato di sovrintendere alla stesura della nuova Costituzione.
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I progressi curdo-siriani, che da parte araba vengono definiti più avanzati, sono essenziali per convincere anche altre milizie a sciogliersi nell’esercito e quindi a migliorare la situazione della sicurezza nel Paese, ancora molto precaria per la presenza di tanti gruppi armati e autonomi.
Messo in ordine il fronte siriano, Ankara cosa offrirà ai curdi di Turchia? Su questo si sa molto poco, ma se Barzani ha reso noto di aver avuto al riguardo colloqui politici ad Ankara è probabile che le parole di Ocalan dovrebbero seguire la definizione di qualche impegno turco. Erdogan, ansioso di ricandidarsi alla presidenza della Turchia per un terzo mandato oggi non previsto dalla Costituzione, potrebbe avere i voti in Parlamento per modificare la Carta solo se appoggiato dai curdi.
Dunque il complesso mondo siro-anatolico, dove il nazionalismo è stato sempre più etnico, potrebbe essere alla soglia di un cambiamento epocale, sebbene non certo tutto in un colpo. Lo stato multi etnico e multi confessionale si intravede nella “formula magica” usata da Barzani: quello del futuro deve essere, ha detto, uno “Stato civile”.
Sono le parole scelte da anni per indicare quello che noi chiamiamo “Stato laico”, terminologia che lì va così cambiata perché, in quelle lingue, laico sarebbe analogo di “laicista”.
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Non sembra esagerato dire che l’obiettivo di “primi accordi” potrebbe essere a portata di mano se si sbilancia a parlarne un politico di peso come Barzani, comunque noto per i buoni rapporti con Ankara. Ma è possibile, se non probabile, che non tutti i curdi siriani siano d’accordo.
Barzani infatti nella sua intervista ha insistito molto sulla necessità che i curdi siriani vadano a Damasco con una delegazione unitaria: la nostra esperienza, ha detto, è che i risultati si ottengono se si è uniti. E non sarà difficile capire perché; basta un gruppo che rimanga in armi a poter far deragliare tutto.
E il dissenso può essere non solo di frange ideologiche, ma anche territoriali, cioè di una realtà specifica che sta peggio. La notizia di fonte curda che il presidente siriano avrebbe visitato la città di Afrin per dare garanzie che i curdi potranno farvi rientro può dunque avere un rilevante peso politico.
Non è difficile comprendere quanto delicato, difficile e importante sia un tentativo del genere. Archiviare la lotta armata e cominciare ad archiviare il nazionalismo etnico vorrebbe dire aprire la porta alla pari cittadinanza, ciò che serve a stati complessi per esistere come tali.
Sarebbe davvero un fatto enorme, dalle rilevanti implicazioni per la Turchia, iper-nazionalista in senso esclusivo sin dalla nascita, e per tutto il mondo arabo. Per questo è indispensabile un’estrema cautela nel riferirne, fino all’ultimo minuto. Ogni curva può essere quella buona per far deragliare treni come questo, che non possono che avere tanti nemici, soprattutto interni.





