
Il 19 febbraio il parlamento estone ha approvato in prima lettura una legge che mira a impedire l’utilizzo della Chiesa filo-russa in funzione anti-statale. Stabilisce l’illegalità di una presenza religiosa con legami di sudditanza con il patriarcato di Mosca, già condannato come parte sistemica della scelta bellica russa. Alla prima lettura seguiranno altre due votazioni e, successivamente, la promulgazione della presidenza della Repubblica.
La votazione del progetto di legge, voluto dal ministro degli interni (Lauri Låånemets) e dal governo, ha visto 41 voti a favore e 11 contrari. Il dispositivo prevede la continuità della Chiesa ortodossa legata al patriarcato russo a condizione della totale autonomia rispetto a Mosca, tagliando ogni legame canonico (cf. SettimanaNews, qui).
Liberarsi da Mosca
La Chiesa filo-russa interessa il 16% dei 1.300.000 abitanti ed è sotto pressione dal momento dell’aggressione russa all’Ucraina e della copertura ideologica ad essa fornita dal patriarca di Mosca, Cirillo. Il ceppo etnico russo raggiunge però il 25% della popolazione.
L’Estonia, come la Lituania e la Lettonia, vive nella paura dell’aggressione militare di Putin, esplicitamente interessato a rifare l’impero sovietico per garantire la Russia da interventi militari esterni (anzitutto la Nato).
Le preoccupazioni governative sono ulteriormente salite dopo le affermazioni del presidente USA, Trump, a favore di Putin e contro l’Ucraina di Zelenski.
La Chiesa filo-russa è guidata dal metropolita Eugenio che è stato allontanato dal paese per il sostegno da lui offerto all’intervento militare di Putin. Ora risiede a Mosca, ma è ancora presidente del sinodo e del consiglio di amministrazione. Per questo, il governo ha sollevato dubbi sulla legalità dell’assemblea ecclesiale svoltasi nell’agosto del 2024 e di quella successiva (10 gennaio 2025).
Dubbi respinti dal facente funzione, il vescovo ausiliare Daniele, che ha difeso la scelta, peraltro suggerita dal governo, di un cambiamento di nome alla sua Chiesa. Prima “Chiesa ortodossa d’Estonia” – subito rifiutato dall’amministrazione perché coincidente con la denominazione dell’altra Chiesa ortodossa presente, di riferimento costantinopolitano – e poi modificato come “Chiesa ortodossa cristiana d’Estonia”. Anch’esso rifiutato dal tribunale di riferimento, perché si esporrebbe all’interpretazione di attribuire a sé stessa tutti i fedeli ortodossi del paese.
Sia il sinodo che il vescovo Daniele hanno lamentato l’aumento dell’affitto delle chiese e degli uffici, il restringersi delle sovvenzioni statali e l’aggressione dei media.
L’inquinamento della fede
Lo scontro è in particolare sulla legge che non manca di sollevare dubbi nelle Chiese ortodosse legate a Mosca, ma anche in Occidente e in alcuni giuristi locali.
Intervenire su un legame canonico è rispettoso della libertà religiosa? Per il presentatore della legge, Andre Hanimägi, non viene toccato il diritto alla libertà di coscienza e la legge non vuole interdire una religione o restringere le celebrazioni. Il legislatore ha il dovere di preoccuparsi della sicurezza dello stato contro i rischi che altri stati o organizzazioni ostili possano usare le comunità religiose contro l’Estonia.
Di diverso parere il vescovo Daniel: «Lungo la storia diverse Chiese locali sono state guidate da persone che sostenevano dottrine false, ma anche allora le Chiese non sono passate ad altra giurisdizione ecclesiastica. Noi non sosteniamo la posizione del patriarca Cirillo (sulla guerra in Ucraina) e non siamo tenuti a farlo. Abbiamo una nostra posizione».
In un comunicato ufficiale del 23 gennaio si dice: «Benché il governo giustifichi le modifiche di legge in nome della sicurezza nazionale, si tratta comunque di un’ingerenza diretta nella libertà religiosa che potrebbe restringere considerevolmente le attività della nostra Chiesa in Estonia». La Chiesa filo-russa ha escluso tassativamente ogni ipotesi di convergere con la Chiesa ortodossa legata a Costantinopoli, anche garantita da una larga autonomia.
Dopo l’Ucraina e l’Estonia arriverà la Moldavia?
In parallelo alla vicenda delle diocesi si sviluppa quella del monastero femminile di Pükhtitsa. Le monache non intendono rinunciare al particolare legame che hanno nei confronti del patriarca di Mosca.
In una lettera aperta al parlamento e ai ministri, l’igumena del monastero, madre Filareta Kalachova, ha scritto: «Senza alcun dubbio voi capite che, adottando il progetto di legge, voi collocate il monastero nell’illegalità. Ci date solo due opzioni: o cambiare la giurisdizione o la liquidazione forzata. Capite bene che questo significa chiudere di fatto il monastero […] e trascinarci letteralmente nello scontro politico, accusandoci di non voler dialogare».
Una situazione che richiama da vicino l’analogo scontro in Ucraina fra Chiesa autocefala e Chiesa legata alla Russia. Non mancano voci che si possa aprire un terzo e analogo scenario. Questa volta in Moldavia, dove la locale Chiesa ortodossa si sta dividendo fra obbedienza moscovita e obbedienza rumena. Il governo filo-occidentale è a favore della presenza rumena alla cui tradizione appartiene una vasta parte della popolazione. I filo-russi accusano gli ortodossi rumeni di violazione del proprio territorio canonico. A testimonianza della devastante ambiguità della scelta bellica del patriarca Cirillo, ma anche della difficile gestione del legame con la nazione delle Chiese ortodosse.






Se l’Estonia vuole essere un paese libero deve rispettare il diritto alla libertà religiosa, come quello di libertà di pensiero e come quello di libertà di coscienza. Se pastori e fedeli di una chiesa si macchiano di reati civili e penali possono essere giudicati dai tribunali ordinari. Diversamente i parlamenti si comportano alla stregua di coloro che vorrebbero combattere.