
Gianni Alioti già sindacalista FIM-CISL nel settore industriale delle armi e dei sistemi d’arma – ora attivista di TheWeaponWatch – risponde alle nostre domande circa il “piano di riamo” dell’Europa, da cui il tanto discusso voto a Strasburgo il 12 marzo scorso.
- Caro Gianni, cosa precisamente prevede il piano ReArm Europe approvato dal Parlamento Europeo?
In realtà il Parlamento europeo non ha potuto – e non potrà – approvare il piano di ReArm Europe. Ursula von der Leyen ha fatto ricorso all’art.122 del Trattato sul funzionamento della UE. In tal modo il piano è stato presentato direttamente al Consiglio Europeo – formato dai Governi dei 27 Stati membri – escludendo il Parlamento dal processo decisionale. A Strasburgo si è votato solo a favore o contro una risoluzione di sostegno o di dissenso al Libro bianco sulla Difesa Europea che contiene al suo interno il piano ReArm Europe, nel frattempo, ribattezzato, piuttosto ipocritamente, Readiness 30: in italiano, Preparati per il 2030.
Il piano ReArm Europe prevede dunque una spesa aggiuntiva a quella attuale di oltre 800 miliardi di euro, strutturata intorno a tre assi.
- Sblocco dell’uso dei finanziamenti pubblici, fino a 650 miliardi di euro complessivi a livello UE, per investimenti nella difesa a livello di ciascuna nazione. Lo scopo è permettere ai singoli Stati di aumentare le loro spese militari nel periodo 2025-2028, fuori dal vincolo UE del patto di stabilità e crescita.
- Un nuovo strumento specifico chiamato Safe: la Commissione Europea raccoglierà fino a 150 miliardi di euro sui mercati dei capitali, da erogare in forma di prestiti agli Stati membri allo scopo di aumentare gli investimenti nell’industria europea della difesa, compresa quella Ucraina, grazie al ricorso ad appalti comuni. I prestiti saranno sostenuti dal bilancio comune UE.
- Aumento dei finanziamenti della Banca europea per gli investimenti (Bei) alle industrie a produzione militare, finora escluse per motivi etici, e mobilitazione dei capitali privati – soprattutto risparmio delle famiglie e fondi pensione – attraverso la creazione dell’Unione del risparmio e degli investimenti. Lo scopo è mettere in circolo oltre 10.000 miliardi di euro depositati in conti correnti bancari, trasformandoli in capitali di rischio e in investimenti a sostegno dell’industria europea e del riarmo.
- Quali sono i passaggi successivi – europei e nazionali – per la realizzazione del piano?
Il piano ReArm Europe è stato formalmente approvato nella riunione del Consiglio Europeo del 20 e 21 marzo 2025 a Bruxelles.
Per passare alla sua realizzazione, gli Stati membri dovranno presentare entro aprile le loro richieste e attivare la clausola di salvaguardia nazionale per utilizzare i finanziamenti pubblici dedicati ad investimenti nella difesa, fuori dal vincolo UE del patto di stabilità. A inizio aprile ci sarà una riunione informale dei Ministeri della Difesa dei 27 Stati membri. Le richieste saranno coordinate dal Consiglio Europeo e valutate dalla Commissione Europea, quindi di nuovo sottoposte al Consiglio, con le raccomandazioni, nella riunione prevista il 26 e 27 giugno 2025, dopo il vertice della NATO all’Aia dal 24 al 26 giugno 2025.
Relativamente agli assi 2 e 3 del piano ReArm Europe, il regolamento per l’istituzione di Safe è stato già approvato e le barriere ai finanziamenti della Bei all’industria della difesa sono state di fatto già superate.
- È corretto parlare di riarmo, come ora fossimo disarmati?
Potrei cavarmela con una battuta. Se l’Europa e l’Italia non fossero sufficientemente armati, non si capirebbe perché le industrie europee della difesa continuino ad esportare il 70% delle loro produzioni, invece di rifornire le nostre Forze Armate. Se gli armamenti non servono per la difesa, vuol dire che servono per le guerre. E le industrie europee, compresa l’italiana Leonardo, contribuiscono esportando i loro sistemi d’arma per alimentare la «terza guerra mondiale a pezzi» di cui parla Francesco e a sostenere regimi militari e autocrazie che non rispettano i diritti umani fondamentali.
Non sono poi chiari i criteri utilizzati: non è corretto parlare di “riarmo” nei paesi della UE, quando i dati ufficiali pubblicati dal Consiglio Europeo, dimostrano che i Paesi UE e quelli NATO, dal 2014, si stanno già riarmando senza soluzione di continuità; neppure nei due anni – 2020-2021 – della pandemia hanno cessato di farlo.
Suona ancora l’eco delle parole del papa: «È una vergogna l’aumento di spesa per le armi». Le spese militari in questo periodo sono più che raddoppiate (+121%) e quelle specifiche relative agli armamenti sono quadruplicate (+325%). Altro che disarmo!
Di fronte a questi dati sarebbe più onesto parlare di escalation: una nuova e più ampia fase di riarmo per essere “preparati” a una guerra evidentemente contro la Russia.
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- Di quali armi o sistemi d’arma – europei – stiamo parlando?
Non mi sembra che si stia andando verso una Difesa Comune Europea. Come detto, infatti, saranno i singoli Stati membri della UE che decideranno il livello di spesa militare e, soprattutto, la tipologia e il numero dei nuovi sistemi d’arma di cui dotarsi.
L’unica azione gestita in ambito UE sarà quella dei prestiti per sostenere gli appalti comuni per la difesa. In questo caso, oltre alle azioni di sostegno dell’Ucraina, si fa riferimento alle aree ritenute critiche: munizioni e missili, sistemi di artiglieria, spazio, intelligenza artificiale, cyber.
Sul piano più strettamente militare – visto che tutto ruota intorno alla presunta minaccia russa – non si dovrebbe prescindere dal controllo e monitoraggio dei maggiori armamenti convenzionali a disposizione degli schieramenti.
L’International Institute for Strategic Studies – un istituto anglosassone autorevole e riconosciuto leader a livello mondiale in materia di sicurezza globale, rischio politico e conflitti militari, con sede a Londra, Washington, Berlino e Singapore – pubblica ogni anno il report The Military Balance.
L’ultimo pubblicato nei primi mesi del 2025 dimostra la superiorità dei Paesi europei della NATO, senza gli Stati Uniti, nei confronti di Russia e Bielorussia, rispetto a tutti i maggiori sistemi d’arma considerati: carri armati, mezzi corazzati, artiglieria pesante, aerei da combattimento, elicotteri da combattimento.
Non è, quindi, per nulla serio descrivere l’insieme dei Paesi europei NATO come privi di armamenti convenzionali e in inferiorità rispetto alla Russia per giustificare il trasferimento di ingenti risorse pubbliche dal Welfare all’economia di guerra, e per convincere i cittadini della UE a finanziare con i propri risparmi l’ulteriore riarmo, specie se a farci lezioni incessanti perché non facciamo abbastanza per la difesa in Europa sono persone come l’attuale segretario generale della NATO, Mark Rutte: nei Paesi Bassi – paradiso fiscale e societario per cui tutte le multinazionali portano la loro sede ad Amsterdam dove Rutte è stato primo ministro da ottobre 2010 a luglio 2024 – il numero di carri armati per difendere l’Europa è pari a ZERO!
- Queste armi sarebbero prodotte/acquistate in Italia, in Europa o dove? Chi ci guadagnerà?
Se parliamo degli armamenti che saranno acquistati dai singoli Stati, a parte la retorica del comprare “made in Europe”, non esisterà alcun vincolo.
Ad esempio – tranne il Portogallo che ha deciso di non comprare più gli F35 e la Germania che ha manifestato la volontà di rompere il contratto con gli Stati Uniti per l’acquisto di 35 caccia-bombardieri F35 – non sembra ci siano altri ripensamenti. Anzi, il Parlamento italiano sarà chiamato a breve a decidere dell’acquisto di 25 F35, in aggiunta ai 90 previsti dal contratto già firmato, per la folle cifra di 7 miliardi di euro.
Il Sipri – ovvero l’Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace con sede a Stoccolma – ha recentemente calcolato che negli ultimi 5 anni (2020-2024) sul totale delle spese sostenute per nuovi sistemi d’arma dai Paesi europei della NATO, il 64% è andato alle industrie americane della difesa, rispetto al 52% del periodo precedente (2015-2019).
La cosa certa è che a guadagnarci saranno sia le aziende americane, sia quelle europee sempre più legate tra loro attraverso i colossi americani della finanza, come Capital Group, Black Rock, Vanguard, Goldman Sachs, Fidelity Investments, Wellington Management, Invesco, ecc., principali azionisti, sia delle maggiori aziende americane per fatturato militare, sia della tedesca Rheinmetall, della britannica BAE Systems, dell’italiana Leonardo, della trans-europea Airbus e dell’ucraina JSC Ukrainian Defense Industry e altre.
L’industria europea della difesa, con sempre maggiori sussidi e commesse miliardarie garantite dagli Stati – come, ad esempio, i 23 miliardi di euro a Leonardo e Rheinmetall per 1.000 mezzi corazzati e 280 carri armati per l’Esercito Italiano -, con i prezzi dei sistemi d’arma crescenti all’infinito (vedi il caso degli F35) e gli alti profitti, è oggi quanto mai fiorente.
I mercati finanziari stanno scommettendo nel riarmo e nella guerra. Basta osservare l’andamento dei titoli in borsa da febbraio 2022 ad inizio marzo 2025, con crescite record del 790% dei titoli della britannica Rolls Royce, del 695% della tedesca Rheinmetall, del 496% dell’italiana Leonardo, del 413% della norvegese Kongsberg, del 150% dell’italiana Iveco.
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- Immagino che un piano sensato tra Paesi europei presupponga almeno un coordinamento: quale è dato di vedere?
La logica lo vorrebbe. Ma in UE il coordinamento sul piano di riarmo riguarda unicamente l’industria europea della difesa, attraverso il Consiglio e il Commissario europeo per la difesa e lo spazio. Il ruolo inerente alle politiche industriali del settore è ora ricoperto dal lituano Andrius Kubilius.
Le politiche di Difesa e il coordinamento delle Forze Armate rimangono, invece, prerogativa degli Stati membri della UE sotto l’ombrello della NATO, almeno per i 23 paesi UE che aderiscono all’Alleanza Atlantica. All’orizzonte non c’è traccia di alcuna decisione istituzionale che faccia intravvedere una Difesa Comune Europea e neppure un serio coordinamento.






Questi Edge Found citati, Capital Group, Black Rock, Vanguard, Goldman Sachs, Fidelity Investments, Wellington Management, Invesco, sono quelli che governano il pianeta. Capitalizzano una cifra pari all’80% del Pil mondiale. Hanno deciso di sfoltire la specie umana con tre quattro miliardi di morti, cifra che esubera il limite massimo di umani ancora gestibili usando le risorse del pianeta. Spendere per armi convenzionali è solo l’inizio. Lo sterminio di massa avverra’ con un breve conflitto termonucleare piu’ pratico allo scopo. Il concentramento umano nelle grandi metropoli aiuta molto il genocidio. Le 13 famiglie che controllano il potere e che si avviano a realizzare questo piano saranno al riparo dei vari esiti sporchi e provvederanno a costituire il famoso “nuovo ordine mondiale”. Non vedo chi e come possano fermarli