
Dal Nepal al Marocco, dal Madagascar all’Indonesia, molte delle proteste antigovernative di queste settimane sono guidate dalla «Generazione Z». Hanno solo telefoni cellulari, slogan tratti dalla cultura pop e una rabbia di fronte a un futuro negato (Rivista Africa, 5 ottobre 2025).
Da Kathmandu ad Antananarivo, dalle piazze del Maghreb ai boulevard di Lima, dal Ghana al Togo lo stesso vento di collera soffia tra i ragazzi del Sud globale: è la Gen Z. Lo stesso nome, gli stessi codici, gli stessi slogan circolano da un paese all’altro. Come se un’intera generazione avesse trovato il suo linguaggio comune, la ribellione è uno dei privilegi della gioventù.
L’onda lunga delle proteste, che aveva già acceso il Kenya, il Nepal, l’Indonesia e le Filippine, si è allargata al Madagascar, al Marocco e al Perù. Ieri in Algeria è stato creato un account Gen Z 213 (213 prefisso telefonico dell’Algeria) per un appello alla protesta generale. Una geografia della mobilitazione che attraversa tre continenti.
Senza leader né partiti, questi ragazzi tra i 15 e i 25 anni si muovono armati soltanto di smartphone, di slogan presi dalla cultura popolare e di una rabbia contro un futuro negato. Secondo un report di Marketing Analytics Africa, la Generazione Z rappresenta oggi quasi il 31% della popolazione africana, vale a dire oltre 428 milioni di giovani in tutto il continente.

Non ci sono vertici, leader, strutture ufficiali. Le strategie si condividono online: tecniche di blocco, parole d’ordine, consigli pratici. Tutto viaggia attraverso TikTok, Instagram, Discord, Telegram. È il mondo del «mobile-first», che non significa svicolare dalla realtà, ma reinventare forme di vita collettiva, sperimentare altre economie, altri modi di intendere la convivenza.
La mancanza di leadership centralizzata non significa affatto mancanza di coordinamento, le reti orizzontali sono un’altra forma di organizzazione, basata sull’uguaglianza e l’autogestione. Una modalità che spesso disorienta. Piuttosto che un handicap, la leadership reticolare delle proteste della Generazione Z ha contribuito nel tempo alla resilienza del movimento e la sua capacità di riemergere di fronte alla repressione. Ma leggere queste proteste soltanto come un moto di ribellione sarebbe riduttivo. Piuttosto, sono il segno di un cambio di paradigma.
Nel rifiuto di questi ragazzi di parole come «modernizzazione», «transizione democratica» o «sviluppo» c’è un gesto di profonda rottura con un’intera narrativa. Ed è qui che entra in gioco un concetto che negli ultimi anni ha trovato un eco crescente: Afrotopia. Coniato dall’economista e intellettuale senegalese Felwine Sarr è un invito radicale: smettere di guardarsi allo specchio con le lenti dell’Occidente (progresso, emergenza, povertà) e iniziare a produrre immaginari propri.

In questo senso, tutte le proteste della Gen Z nel mondo sembrano incarnare proprio quell’orizzonte perché chiedono un futuro diverso e non temono di immaginarlo. Le proteste di questi giorni e di quelli a venire non sono il segno di un’ennesima «emergenza africana», ma piuttosto il risultato di un laboratorio di trasformazione più profondo, niente affatto indolore.
Madagascar
Su poco meno di 32 milioni di abitanti, oltre 8,6 milioni sono giovani tra i 15 e i 28 anni: quasi il 27% della popolazione. La disoccupazione giovanile è ufficialmente bassa ma la realtà è fatta di sotto-occupazione, di piccoli lavori in nero poco retribuiti e senza contratto. La sofferenza di questi giovani ha fatto scoppiare la protesta su rivendicazioni basilari: la cronica carenza di acqua, l’elettricità che manca anche per interi giorni, la libertà d’espressione.
«Miala Rajoelina!» («Rajoelina vattene!») diventato virale sui social malgasci, i ragazzi ce l’hanno con l’ex sindaco di Antananarivo e magnate dei media, Andry Rajoelina, 51 anni, arrivato per la prima volta al potere nel 2009. Le loro proteste e i 22 morti lasciati finora sul campo lo hanno costretto a sciogliere il suo governo, mentre in tv accusa i ragazzi di aver orchestrato addirittura un colpo di stato.
Kenya
Su una popolazione di circa 57,5 milioni, i giovani tra i 15 e i 28 anni sono stimati tra 13,8 e 14,7 milioni, quindi un quarto della popolazione. La disoccupazione giovanile ufficiale (15-24 anni) si aggira sul 12%.
Durante le proteste di questa estate, nate anche dall’opposizione alla nuova Legge Finanziaria e dal caro-vita, il governo provato a spegnere le telecamere e persino a minacciare lo «switch-off» di internet. Ma i video hanno continuato a girare su TikTok, Instagram: la protesta è rimasta in campo, e con lei una generazione che ha imparato a farsi media di sé stessa.
La gioventù kenyana chiede un cambio di rotta drastico al governo del Presidente William Ruto. Undici milioni di voti: sono quelli che i politici keniani dovranno conquistarsi per le prossime elezioni del 2027, quando gli aventi diritto al voto aumenteranno appunto di 11 milioni: sono tutti giovani tra i 19 e i 29 anni. Nessuno potrà ignorarli.

Marocco
Con i suoi 38,5 milioni di abitanti, il Paese conta circa 9 milioni di under-28. Qui il dato che pesa è il tasso di disoccupazione giovanile: oltre 37%, tra i più alti della regione. Quattro milioni e trecentomila marocchini senza lavoro, un laureato su cinque non ha uno stipendio e nelle aree urbane i giovani disoccupati sono il trenta percento.
«Stadi sì, ma dove sono gli ospedali?» è lo slogan. Otto donne morte di parto in un ospedale pubblico di Agadir fanno da detonatore. Incendi, spari e, alla fine, i primi morti. Mercoledì 1° ottobre, nella città di Leqliaâ, vicino ad Agadir due giovani sono stati uccisi dalla gendarmeria, i feriti sono oltre 400. La violenza della repressione però non ferma i movimenti. Anzi, spesso li amplifica. Le cariche della polizia vengono filmate e rilanciate in diretta sui social, trasformandosi in materiale virale
Le proteste sono tuttora in corso in molte città del Paese. «Chiediamo lo scioglimento dell’attuale governo per la mancata tutela dei diritti costituzionali dei marocchini e per soddisfare le loro richieste sociali», dichiara il movimento della Gen Z 212 marocchina rivolgendosi direttamente a re Mohammed VI.
Nepal
In un Paese di quasi 30 milioni di abitanti, i giovani sono quasi 8 milioni, pari al 27% del totale. Anche qui la disoccupazione giovanile è alta: 21%. La scintilla è stata il bando dei social network e così il mese scorso migliaia di ragazzi sono scesi in piazza, bruciando il palazzo del Parlamento e costringendo alle dimissioni il Governo.
Il Paese s’incendia. Il palazzo presidenziale e altri edifici ufficiali sono stati dati alle fiamme. Il bilancio è terribile: circa 100 morti e migliaia di feriti. Ma la pressione dal basso spinge il potere a cedere. I giovani non si sono limitati a protestare, ma sono stati coinvolti nelle trattative con i militari e il presidente Ram Chandra Paudel che hanno portato alla decisione di nominare primo ministro transitorio un ex giudice come Sushila Karki.

Indonesia
Il gigante del Sud-Est asiatico, 285 milioni di abitanti, oltre 63 milioni di giovani under-28: il 22% della popolazione, una massa elettorale che può decidere governi. Qui la disoccupazione giovanile è attorno al 13%. Nelle presidenziali 2024, la Gen Z è stata corteggiata a colpi di TikTok, K-pop e gaming: una politica «visual», fatta di meme e video brevi. Quest’estate un manifesto virale, «17+8 Demands», circolava tra personalità pubbliche e collettivi studenteschi. I titoli della piattaforma sono chiari: caro vita, corruzione, diritti del lavoro,
Questi esempi ci raccontano che le comunità della Gen Z si osservano e si «clonano» nei format di protesta, nei canali (Discord, TikTok ecc.), perfino nei simboli pop, come sta accadendo con la bandiera del manga giapponese One Piece: il classico Jolly Roger, cioè il teschio con le ossa incrociate, reinterpretato nell’universo narrativo della serie, è diventato il simbolo di una costellazione che urla «navighiamo da soli, fuori dalle regole del potere». E l’Africa è parte attiva di questa costellazione.
Forse la Gen Z potrebbe essere la prima generazione a pensare alla rivolta su scala globale.





