La Russia dopo Putin

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Nelle conclusioni del suo ultimo libro La Russia dopo Putin, Yurii Colombo – giornalista e ricercatore esperto di Russia ed ex URSS – scrive: «Io sono di madre russa, mio nonno è morto combattendo il nazismo il 12 agosto 1941, mia nonna è passata per il Gulag. Sono venuto a vivere in Russia alcuni anni fa, ci ho studiato ai tempi della perestrojka e l’ho visitata nei decenni regolarmente. Eppure, dal 24 febbraio non mi ci sono più trovato a mio agio, ho provato un dolore immenso nel vedere quanti russi sostenessero la guerra».

Il “curriculum” di Putin

Il libro di Colombo è ricco di riferimenti storici e inquadra l’invasione russa dell’Ucraina nel contesto delle mutazioni avvenute nello spazio ex sovietico nel corso degli anni, a partire dall’ascesa al potere di Vladimir Putin, ex agente del KGB nella Germania Orientale e, dopo il collasso dell’Unione Sovietica, collaboratore di Anatoly Sobchak, sindaco di San Pietroburgo, la ex Leningrado, sua città natale.

Nel 1998, Boris Eltsin lo pone a capo del nuovo servizio segreto russo erede del KGB, l’FSB e, un anno dopo, lo nomina premier. L’anno successivo, diventa Presidente della Federazione Russa dopo le dimissioni di Eltsin e avvia una campagna contro gli oligarchi, i personaggi che si erano arricchiti a dismisura nel decennio precedente, mentre la stragrande maggioranza della popolazione russa sprofondava in una miseria senza precedenti.

In realtà, spiega Colombo, il vero obiettivo di Putin era quello di mettere le mani sull’enorme industria energetica russa, sostituendo gli oligarchi con altri a lui fedeli.

Al tempo stesso, Putin introduce una flat tax al 13% e promulga nuove leggi sul lavoro che rendono illegali gli scioperi, salvo che non siano motivati dal mancato pagamento dei salari. Sono gli anni della luna di miele con l’Occidente, quelli segnati dalla partecipazione al G8 di Genova nel 2001 e dallo “spirito di Pratica di Mare”, la base militare italiana dove, nel 2002, auspice Silvio Berlusconi, la Russia sigla un accordo con la NATO, conosciuto come “Dichiarazione di Roma”.

Quell’accordo prevedeva la creazione di un Consiglio composto dai Paesi membri della NATO e la Russia, finalizzato a discutere e a prendere decisioni su temi quali lotta al terrorismo, gestione delle crisi, non proliferazione delle armi di distruzione di massa, controllo degli armamenti, difesa contro i missili di teatro, operazioni di salvataggio in mare, cooperazione militare e riforma dei sistemi di difesa, piani a fronte di emergenze civili, sfide e nuove minacce.

A partire dal 2007, però, l’attitudine in politica estera di Putin cambia radicalmente, lasciandosi alle spalle i rapporti cordiali con le potenze occidentali.

Colombo spiega che questa svolta avviene perché Putin, da un lato, ritiene di essere comunque tenuto ai margini dagli USA e, dall’altro, intuisce che l’ascesa di nuovi attori, quali Cina e India, stava cambiando i rapporti di forza internazionali e pensa di poter agganciare la Russia alla nuova tendenza.

La situazione economica

Tuttavia, la Russia rimane troppo debole per potere aspirare a creare un mercato mondiale alternativo a quello occidentale, anche perché la dissoluzione dell’URSS è stata seguita dalla deindustrializzazione di molte regioni della Russia stessa, un processo che ha coinvolto in particolare le attività ad alto contenuto tecnologico.

Inoltre, in Russia aumentano le disuguaglianze e le disparità territoriali, con città come Mosca e San Pietroburgo che attirano buona parte del reddito nazionale grazie allo sviluppo di attività finanziarie e commerciali, mentre altre regioni subiscono un processo inarrestabile di deindustrializzazione e depauperamento. Uno scenario che – ricorda Colombo – si accompagna alla generale instabilità delle repubbliche ex sovietiche, frequentemente squassate, oltre che da crisi economiche e finanziarie, da conflitti interni di natura etnico-religiosa e periodicamente segnate da guerre e rivolte.

L’accentramento politico del potere di Putin si manifesta anche in campo economico. Colombo scrive che «Due terzi della capitalizzazione di borsa sono in mano di aziende statali anche solo attraverso il controllo della maggioranza dei pacchetti azionari. (…) Il capitalismo di Stato rappresenta anche la base di massa del consenso al regime.

In un’inchiesta pubblicata dal portale “Kapital Strany” si viene a conoscenza del fatto che le persone che dipendono dal bilancio in Russia sono 60 milioni, di cui 17,5 milioni sono dipendenti pubblici (43 milioni di persone sono pensionate)».

Parallelamente a questa trasformazione dello Stato, è stato costruito un finto processo elettorale in cui trovano spazio solo il partito di Putin Russia Unita e opposizioni di “Sua Maestà”, come il sedicente Partito Comunista russo di Ghennady Zuganov.

Riguardo la situazione dell’Ucraina, Colombo mette in evidenza come la guerra abbia portato alle stelle l’indebitamento del Paese, che «Solo nel 2022 ha dovuto pagare 7,3 miliardi di dollari di interessi. Più della metà è dovuta a creditori privati come banche e hedge fund, mentre la maggior parte del rimanente è dovuta a istituzioni multilaterali come il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e la Banca Europea per gli investimenti», con la conseguenza molto probabile che l’Ucraina venga a trovarsi in una condizione simile a quella di molti Paesi dell’America Latina, letteralmente strangolati dal debito estero e, dunque, facile preda di speculazioni a tutto danno della popolazione.

Possibili scenari post-bellici

Quanto ai possibili scenari post-bellici, nel suo libro Colombo ne delinea tre.

Il primo – ritenuto il più probabile – è quello “iraniano”, che vede la sopravvivenza del regime con l’annessione del solo Donbass e poco altro, l’opposizione praticamente azzerata e la dittatura di Putin saldamente in sella. Come avviene per l’Iran, il potere riesce a sopravvivere a lungo anche se in una condizione di semi-isolamento da parte della comunità internazionale.

Il secondo scenario è quello di una “rivoluzione dall’alto”, in cui la stessa classe dirigente russa addossa tutte le responsabilità della guerra a Putin per riprendere le relazioni politiche ed economiche con l’Occidente. Si tratta di uno scenario difficilmente realizzabile, se non altro perché l’attuale élite economica del Paese dipende direttamente dal Cremlino.

Il terzo e ultimo scenario è il meno probabile: una rivoluzione democratica che rovesci il regime di Putin. È il più improbabile perché la maggior parte degli oppositori attualmente sono in carcere o in esilio e, almeno nel breve periodo, non appare possibile la ricostruzione di un’opposizione organizzata in grado di rappresentare un’alternativa credibile al regime.

Sulla base di quanto sta avvenendo e dei possibili scenari, per Colombo questa guerra deve essere fermata il più presto possibile, nella convinzione che, se così non fosse, Putin ne creerà di nuove in tutto lo spazio ex sovietico.

Tuttavia, come ribadito più volte anche dal Presidente francese Emmanuel Macron, «sarebbe un errore grossolano pensare di umiliare i Russi». Rovesciare il regime di Putin è un compito che spetta esclusivamente al popolo russo e non è pensabile un’Europa che escluda la Russia.

Il pensiero di Colombo è lineare, perché l’Unione Europea ha tutto da guadagnare dalla democratizzazione della Russia e dalla pacificazione dei propri confini orientali, perché per gli USA la Russia è lontana, ma per noi è il nostro vicino di casa. Ovviamente, una prospettiva del genere potrà realizzarsi solo nel dopo Putin.

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