
È ora di prendere atto che, in soli otto mesi – dal giorno del suo insediamento alla Casa Bianca –, Donald Trump ha configurato con le sue parole e le sue scelte un modello culturale e politico radicalmente diverso da quello a cui il mondo occidentale, e gli stessi Stati Uniti, erano abituati, e che potremmo, per comodità, chiamare «trumpismo».
Il primo genocidio mercantile della storia
Si può apprezzarlo e condividerlo, o criticarlo e perfino detestarlo, ma non negare che siamo davanti a qualcosa di nuovo. Ne troviamo conferma, in questi giorni, da due notizie apparse sulle prime pagine dei giornali e che apparentemente non hanno nulla in comune.
Una riguarda le parole del ministro israeliano ultra-ortodosso Bezalel Smotrich, secondo cui Gaza sarà «una miniera d’oro immobiliare» e sono stati «avviati negoziati con gli americani» per la spartizione della Striscia, in modo che la ricostruzione «si paghi da sola».
È il pieno coronamento del progetto annunciato dal presidente americano il 4 febbraio scorso, in cui aveva annunciato a un mondo incredulo la sua intenzione di far sorgere a Gaza, sulle macerie della guerra di sterminio condotta da Israele, un resort turistico di lusso. «Penso che lo trasformeremo in un posto internazionale, bellissimo», aveva detto soddisfatto. «Sarà la rivière del Medio Oriente».
Quanto ai gazawi, avrebbero dovuto essere «trasferiti» in altri paesi – si parlava di Giordania ed Egitto, ipotesi poi tramontata e sostituita da altre −, dove si sarebbero trovati, secondo il presidente, molto meglio che a casa loro.
Una prospettiva che il premier israeliano Netanyahu aveva salutato come una «visione rivoluzionaria e creativa» che apriva «molte possibilità» per Israele. Conosciamo tutti gli esiti di questa visione.
Scriveva poco più di un mese dopo, in aprile, il quotidiano di Gerusalemme Haaretz: «Non è più una guerra, ma un assalto sfrenato ai civili. In assenza di veri obiettivi militari, Israele sta conducendo un’offensiva sconsiderata contro coloro che non sono in alcun modo coinvolti nella lotta». Perfino mentre facevano la fila per avere un po’ di cibo. Puro terrorismo in vista di una pulizia etnica, autorizzata dagli Stati Uniti.
Perfino agli opinionisti e ai governi occidentali, che per quasi due anni hanno cercato di giustificare o di minimizzare ciò che avveniva a Gaza, è ormai impossibile chiudere gli occhi su quello che la Commissione indipendente dell’ONU ha definito, recentemente, un genocidio.
Il primo, nella storia umana, dichiaratamente ispirato alla logica mercantile del neocapitalismo. I nazisti volevano spazzare via gli ebrei perché li odiavano. Trump non ha nulla contro i palestinesi, ma sostiene Israele nel suo progetto di eliminarli o cacciarli perché ha bisogno della loro terra per farci un resort di lusso, che frutterà miliardi di dollari agli investitori.
Il narcisismo esibizionista
C’è un’altra differenza: i nazisti non esibivano ai quattro venti il loro piano; il presidente americano sì. Ha fatto il giro del mondo il video, da lui creato e postato, in cui lui e il premier israeliano Netanyahu, in vacanza a Gaza, stanno comodamente sdraiati in costume da bagno, al bordo di una lussuosa piscina, sullo sfondo di modernissimi grattacieli e di una enorme statua d’oro raffigurante Trump. Il narcisismo è un elemento essenziale del trumpismo ed implica l’ostentazione mediatica.
Lo stesso è accaduto per «la più grande operazione di deportazione nella storia americana», per cui ora è in corso negli Stati Uniti una vera e propria caccia all’uomo, affidata a squadre di volontari di estrema destra, che hanno il mandato di fermare per strada e di bloccare chiunque possa apparire loro sospetto.
Anche qui la Casa Bianca ha con orgoglio mostrato su internet le foto di persone incatenate, in divise carcerarie, in fila per salire su un aereo o inginocchiate. Una compiaciuta umiliazione della dignità umana che è ben altro dal voler far rispettare le leggi sull’immigrazione.
La commistione tra politica ed economia
La vicenda di Gaza è, però, solo un esempio della mescolanza di politica ed economia tipica del trumpismo. I sotterranei retroscena economici di imprese militari e scelte politiche non sono certo una novità. Ma Trump è il primo che non li nasconde, con una chiarezza che i suoi sostenitori chiamano sincerità e i suoi avversari spudoratezza.
Lo avevano erroneamente definito un isolazionista. Ma il presidente americano, per «rendere di nuovo grande l’America», non vuole limitarsi a valorizzare le sue risorse. Vuole anche quelle degli altri.
Lo si è visto chiaramente nella sua gestione della crisi ucraina, caratterizzata da oscillazioni e contraddizioni che hanno disorientato tutti, ma fermamente protesa a un preciso obiettivo: la concessione dello sfruttamento delle terre rare ucraine – l’unico conseguito finora in questi mesi di trattative.
La stessa logica ha caratterizzato il recente viaggio di Trump nel Medio Oriente, dove del massacro in corso dei palestinesi non si è neppure accennato, ma in compenso sono stati stipulati accordi miliardari con Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti. E non a caso l’attacco alla capitale del Qatar ha dato luogo all’unico «alt» del presidente americano all’arrogante aggressività di Israele, perché lì sono in gioco dei soldi, e parecchi.
E in questo contesto si capisce il ricorso, da parte di Trump, all’arma dei dazi come ritorsione nei confronti di paesi insofferenti alle sue intromissioni, come nel caso del Brasile, penalizzato per non avere ceduto alle sue pressioni nel processo contro l’ex presidente golpista Bolsonaro.
Ma, più in generale, la commistione della politica con l’economia ha caratterizzato tutta la battaglia doganale scatenata dal Tychoon con accuse e minacce, costringendo paesi che un tempo erano amici e alleati degli Stati Uniti a un umiliante condizione di vassallaggio.
Il diritto della forza
E questo ci porta a un altro aspetto essenziale del trumpismo, che è l’identificazione del diritto con la forza. La sua minaccia di conquistare, anche con le armi, la Groenlandia, strappandola a un paese amico, la Danimarca – che, secondo il trattato della NATO, gli Stati Uniti dovrebbero difendere in caso di aggressione! –, senza altro motivo che i propri interessi, è in evidente contraddizione con tutte le regole che la comunità internazionale si è data, in questi ultimi decenni, per sottrarre la competizione tra gli Stati alla legge della giungla.
Gli Stati Uniti per tutto questo arco di tempo sono stati visti come il principale garante dei valori che rendono la democrazia preferibile a tutti gli altri sistemi di governo. Nella versione trumpista sono solo un pericoloso vicino, di cui avere paura.
Un’ondata di odio
La seconda notizia a cui molti media hanno dato risalto è la sospensione di un programma televisivo satirico famoso negli Stati Uniti, quello curato da Jimmy Kimmel, in seguito alle minacce di Trump di togliere la licenza alla rete televisiva ABC che da anni lo trasmetteva.
Episodio che fa seguito a una campagna di epurazioni scatenata nei confronti di tutti gli organi informazione democratici dopo l’assassinio di Charlie Kirk.
In questo momento, non solo negli Stati Uniti, ma anche in Italia, si è scatenata una battaglia mediatica e politica che mira a criminalizzare chiunque avesse idee diverse da quelle dell’attivista di destra, attribuendogli la responsabilità della sua morte.
Bersaglio di queste accuse negli Stati Uniti sono i democratici, ma l’episodio è diventato un pretesto, anche in un contesto politico diverso, com’è quello italiano, per attaccare chiunque non condivida le posizioni della destra. «Il suo sacrificio ci ricorda ancora una volta da che lato sta la violenza e l’intolleranza», ha detto Giorgia Meloni in un videomessaggio a «Vox».
Un’accusa palesemente priva di fondamento, visto che l’assassino di Kirk, cresciuto in una famiglia di destra e assolutamente estraneo a qualunque movimento della sinistra, non ha mai avuto nulla a che fare con la «sinistra» e, incidendo il titolo della canzone «Bella ciao» sui proiettili, ha evidentemente seguito una moda genericamente anticonformista e libertaria.
La beatificazione di un martire
Kirk, però, non è solo un’occasione che il trumpismo sta usando per demonizzare gli avversari. Puntando anche sulla sua fede religiosa evangelica, lo si sta trasformando in un’icona, di cui il trumpismo aveva bisogno per contrapporla a quelle della «sinistra», come Martin Luther King.
Da qui non solo la richiesta, in diverse assemblee istituzionali, di osservare un minuto di silenzio in sua memoria, ma un vero e proprio parallelismo col processo di beatificazione dei santi nella Chiesa cattolica.
Leggiamo in un articolo intitolato «“Santo subito” il martire Kirk (non cattolico)», firmato Andrea Morigi, sul quotidiano Libero del 17 settembre, che dopo l’assassinio del giovane attivista di destra, «pare stiano avvenendo conversioni religiose di agnostici e che cattolici assenti dalla pratica religiosa da vent’anni tornino a messa (…). L’amministratore del social network conservatore Gab ormai aggiunge alla propria firma un “Cristo è Re”, circolano santini con Charlie che reca la palma del martire o accolto a braccia aperte da Gesù (…). Quelli di natura spirituale consuetamente sono i primi miracoli, quelli che costruiscono e provano la cosiddetta “fama di santità”, necessaria a introdurre una causa di beatificazione secondo i canoni della Chiesa cattolica. Per le guarigioni straordinarie e i fatti prodigiosi di natura soprannaturale, ci sarà tempo».
Viene spontaneo osservare che, se si vuole celebrare come martire chi viene ucciso per le sue idee, non si capisce perché il minuto di silenzio, i santini, le veglie di preghiera, non debbano essere dedicati anche a Melissa Hortman, figura di spicco del partito democratico in Minnesota, ritrovata uccisa con suo marito in quello che dagli inquirenti è stato senz’altro classificato come un delitto politico.
A quanto pare, però, non basta la dedizione a un ideale a meritare la palma del martirio, bisogna che questo ideale sia quello giusto. Ora, con tutto il rispetto, è così sicuro che sia questo il caso di Kirk? Non era certo un mostro, come qualcuno ha sostenuto. Ma tutte le sue affermazioni – oggi disponibili perché riprese puntualmente da The Charlie Kirk Show – sono nella stessa logica di intolleranza verso i «diversi» che caratterizza tutta la posizione trumpista, di cui Kirk è stato non solo un seguace, ma un protagonista e in qualche modo un artefice.
Leggendole si coglie la sua profonda incapacità di guardare come a un interlocutore degno di rispetto chi non condivideva la sua fede politica – «Il Partito Democratico americano odia questo Paese. Vogliono vederlo crollare» (20 marzo 2024) –, la sua fede religiosa – «Abbiamo detto che l’Islam non è compatibile con la civiltà occidentale» (24 giugno 2025). «L’Islam è la spada che la sinistra sta usando per tagliare la gola all’America» (8 settembre 2025) –, la sua idea di identità sessuale – «Dobbiamo organizzare un processo in stile Norimberga per ogni medico di una clinica che si occupa di gender» (1 aprile 2024).
Il suo era, insomma, un perfetto esempio di ciò di cui Trump, dopo l’omicidio, ha accusato la sinistra: la «demonizzazione di coloro con cui non si è d’accordo». Certo, lo faceva solo a parole. Ma i discorsi, come le idee che essi esprimono, non sono innocenti.
Meno che mai quando arrivano a sostenere un genocidio, come nel caso di Kirk, che Netanyahu ha definito «un amico coraggioso di Israele», attribuendogli il merito di essersi «eretto a difesa della civiltà giudeo-cristiana».
Una difesa che il trumpismo – negli stati Uniti al pari che in Italia – pretende di rappresentare, contro il nichilismo della cultura «woke», senza rendersi conto di esserne solo l’altra faccia, non meno drammaticamente disumana.
- Dal sito della pastorale della cultura della diocesi di Palermo (tuttavia.eu), 19 settembre 2025






Gli Stati Uniti hanno una lunga storia di violenza politica, i cui esempi più noti sono gli assassini del presidente democratico Kennedy (1963) e del leader per i diritti civili degli afroamericani Martin Luther King (1968). Il fatto è che negli USA ci sono più armi da fuoco che abitanti: 1,20 arma ad abitante: il rapporto è 1,20 arma per abitante; si ammazza quindi per poco, figuriamoci quando sono in ballo passioni politiche scientemente radicalizzate. Detto ciò, è indubbio però che l’arrivo di Trump ha fatto saltare tutti i pesi e contrappesi che, nel passato, tentavano di evitare una deflagrazione totale, ed ha permesso all’odio di circolare liberamente; con una differenza, però: se parla Trump (e i suoi sodali) abbiamo un’espressione della libertà di pensiero; se parlano i nemici di Trump si tratta allora di discorsi d’odio.
Mi ha addolorato sentire in questi giorni preti assolutamente ammirevoli, che hanno un grosso e meritato seguito sui social media per il lavoro di evangelizzazione costante ed efficace, proporre di pregare per C. Kirk. “Pregate per quelli che vi perseguitano”, certamente nel segreto del proprio cuore, chi ne ha la forza. Ma chi ha un largo pubblico deve capire che invitare a pregare, in questo momento, per questa persona, precisamente a causa delle cose scritte nell’articolo (che peraltro omette di ricordare che disse anche che certe donne di colore rubano lavoro ad altri perché non hanno le necessarie capacità intellettuali), significa contribuire a polarizzare ulteriormente la società italiana. Ci vuole grande prudenza nella Chiesa (non nel senso di pavidità ma di “virtù che dispone la ragione pratica a discernere in ogni circostanza il nostro vero bene e a scegliere i mezzi adeguati per compierlo”), e il primo chiamato ad esercitarla in questa congiuntura è papa Leone “che si sente profondamente americano”. Per me un modello in questo senso resta l’omelia di monsignor Delpini ai funerali di B.
Nel giugno scorso – tre mesi fa, non tre anni fa – sono stati assassinati la deputata democratica Melissa Hortman e suo marito da parte di un noto estremista di destra. La vicenda è passata quasi sotto silenzio negli USA, pressochè ignorata in Italia e nel resto del mondo. Per l’assassinio di Kirk invece, altrettanto condannabile ovviamente quanto quello della Hortman, si è scatenato l’inferno e non è da escludere che qualcuno ne chieda anche la beatificazione quale martire della cristianità. Prima di beatificarlo, sarebbe però forse opportuno rileggere qualcuna delle frasi che amava ripetere, anche per verificare se siano in linea con il Vangelo: “”Michelle Obama ha il cervello più piccolo di qualsiasi donna BIANCA””; “”Il prezzo che paghiamo per la libertà di possedere armi è che QUALCUNO talvolta sarà ucciso”” (da sottolineare che nel 2023, ultimo anno per cui si hanno dati disponibili, le vittime negli USA sono state 35.853); “”Quando vedo un pilota NERO su un aereo mi chiedo se sia qualificato””; “”Le condanne a morte dovrebbero essere trasmesse in televisione; a quale ETA’ si dovrebbero cominciare a vedere esecuzioni pubbliche?””. Ovviamente, citazioni della specie potrebbero continuare a lungo. Un personaggio che rivendicava il diritto alla totale libertà di espressione, cioè alla libertà di scaraventare palate di odio contro i suoi avversari, in genere minoranze di qualsiasi specie, salvo poi negare analogo diritto a chi questi attacchi li subiva: in questo caso, per Kirk e per la sua estrema destra si tratterebbe di odio politico
Non mescolerei il governo italiano e Meloni con Trump. Trump è un pregiudicato con una cultura dell’arraffo e non dimentichiamo, molestatore di donne e amico di un pedofilo condannato.
Trump non ha precedenti né, speriamo, successori, lui con la sua politica che altro non è che dominio assoluto, sta destabilizzando il mondo e distruggendo tutti i valori democratici in America e nel mondo.
Lo si poteva intuire da lungi, dal suo primo mandato nel quale si è dovuto difendere da due impeachments e non si trattava di “caccia ale streghe” ma di fatti provati. Ma lui è riuscito a ribaltare tutte le situazione a suo favore.
Fateci caso: prima dell’attentato (al suo orecchio) del luglio 2024 era sull’orlo della rovina politica e giudiziaria, dopo è risorto. Magia.
Ora, prima dell’assassinio di Kirk era nei guai e grossi per le sue politiche sulle due guerre, nefaste per entrambe e per le rivelazioni sul traffico di bambine del suo amico e della sua stretta amicizia con un tipo simile…tutto finito nel dimenticatoio, Kirk santo subito gli serve per orientare l’opinione pubblica sul “martire” e scacciare gli incubi delle conseguenze sue malefatte. Anche qui, magia. Ha un fortuna quell’uomo che si direbbe che avesse fatto patti col…(innominabile).
Tyler non mi convince, mi sembra uno a cui hanno fatto bere il cervello.
La discussione in Italia sul clima di odio è stucchevole: per mesi l’opposizione ha demonizzato Meloni e il governo con ogni possibile e impossibile pretesto, qualche parola di troppo può uscire in un comizio e Meloni farebbe meglio a non fare certe affermazioni, ma la campagna di odio contro di lei è evidente ma lungi dall’essere ai livelli Usa. Ma ciononostante, le hanno rinforzato la scorta.
O no cara Mariagrazia, la Meloni ha supportato Trump in ogni modo. E ancora non dice quello che dovrebbe dire contro di lui perché vuole tenerselo buono ad ogni costo. Chiunque oggi abbia un minimo di visibilità è soggetto ad attacchi odiosi via social. Figuriamoci la Meloni. Ma è anche la donna più potente di questo paese. Di cosa ha paura? Tutta scena.
Di che cosa ha paura? le minacce di morte a lei non farebbero paura? Kirk era quello che era: un provocatore, ma non ha ucciso ma è stato ucciso e quando si dice : “ne uccide più la lingua che la spada” si intende che a volte le parole possono essere istigatrici alla violenza. Contro Meloni una violenza delle parole inaudita, cioè mai sentita per nessun premier italiano prima di lei.
Se Kirk è stato ucciso per quello che affermava non è certo giusto dire: se l’è cercata, ma siccome “le parole sono pietre” anche lui ha contribuito a innescare (forse) la violenza in un cervello debole (forse).
E dico forse perché non sono convinta del tutto e non trovo spiegazioni plausibili nella dinamica dell’omicidio né nel movente.
Certamente le parole sono pietre, condivido, ma sono pietre tanto più pesanti, quanto più forte è il braccio di chi le scaglia; quelle di un comune cittadino non hanno lo stesso peso di quelle di un ministro, ad esempio. Io non credo che Meloni viva un’aggressività più importante di quella sperimentata da altri premier. Mi vengono in mente molte altre figure minacciate e di livello gerarchico ben inferiore; pensi alla sindaca Raggi, a suo tempo; rammenta? In questo discorso, in cui nulla si deve togliere al fatto che l’hate speech vada controllato, non dobbiamo dimenticare però che il primo ministro di un paese è comunque nell’occhio del ciclone perché detiene nelle mani un grosso potere ed è il paravento alle esternazioni di un intero collegio direttivo, se così possiamo definire il consiglio dei ministri. Conseguentemente a questo potere ed a questa esposizione, ovviamente, vengono agite policy di sicurezza per tutelare il primo ministro pro tempore; così esercito, forse di polizia e servizi di sicurezza, sono al di lei/lui servizio. Poi è chiaro, se il livello è quello emerso nella celeberrima telefonata dei due comici russi a palazzo Chigi che, spacciandosi per imprecisati leader di un imprecisato paese africano, vennero messi in comunicazione telefonica diretta con la premier, beh… allora sì, c’è da preoccuparsi davvero. Questo evento manifestò una superficialià, tanto ridicola quanto imperdonabile, che speriamo non pervada altre situazioni governate dall’attuale compagine, altrimenti staremo freschi, come si usa dire.
Mi trovi minacce del tipo di quelle che riceve tutti i giorni Meloni, per esempio quante volte la foto di Conte è stata bruciata in piazza? E quella di Raggi? La sindaca grillina buona a niente e capace di tutto che sostava sui tetti come la Befana.
Ma per favore, lei sa bene che Melon aveva messo in conto tutto, quello che succede supera ogni immaginazione.
Ed è da paese incivile
Ieri Trump ha dichiarato: “”Forse dovrei ritirare la licenza alle TV che sono contro di me”” (Agenzia VISTA). Nei giorni precedenti ha fatto interrompere in tronco, a tempo indeterminato, il talk show di un comico, ha dichiarato “organizzazione terroristica” il “movimento antifascista” e ha fatto arrestare 11 dirigenti politici democratici di New York. Siccome in America non esiste un partito o un comitato antifascista, in forza di questo decreto sono potenzialmente terroristi – e come tali potranno essere arrestati , processati e condannati – tutti gli americani che manifestino un dissenso da sinistra nei confronti del “trumpismo”. Così, si dovranno stare attenti non solo gli studenti stranieri e gli immigrati regolarizzati da anni di residenza e lavoro in America ma gli stessi cittadini americani dissenzienti: potenziali nemici del popolo, come nella Russia comunista. È “cancel culture” quello che sta succedendo in America? Non credo, non ha nessuna giustificazione combattere il dissenso democraticamente espresso con atti autoritari illegittimi
Non penso che la cultura woke avrebbe mai prodotto una pulizia etnica come quelle che il trumpismo sta consentendo.
Ci troviamo di fronte all’apertura del vaso di pandora. Noi non sappiamo davvero quali energie negative questa azione metterà in circolo. E mentre Trump si godrà la pensione in un resort blindato in Palestina noi avremo a che fare con ondate di attentati. Perché quella che si sta generando è una generazioni di futuri attentatori pieni di odio e desiderio di vendetta verso un occidente bestiale.