Lo scorso fine settimana si è tenuta la Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, una sorta di «Davos della Difesa» che si svolge ogni anno nel capoluogo bavarese. L’appuntamento ha messo la Germania al centro dell’attenzione internazionale, dato che domenica prossima i tedeschi si recheranno alle urne per le elezioni parlamentari anticipate, fissate per il 23 febbraio dopo lo scioglimento dell’alleanza di governo lo scorso novembre.
Il tema della difesa è uno dei punti più dibattuti della campagna elettorale in corso, insieme alle questioni energetiche e di accoglienza e integrazione dei migranti. Il leader della CDU, Friedrich Merz, ha spinto particolarmente su questo tema, allineandosi sulle posizioni dell’AfD – l’estrema destra – su una mozione presentata in parlamento a fine gennaio.
Da una prospettiva «non-tedesca», la scelta di Merz non sembra avere nulla di straordinario: in molti paesi europei i partiti di centrodestra hanno avvicinato compagini che si attestano su posizioni più a destra, specialmente su temi di politica migratoria.
Pur non trattandosi di un testo di legge, gli effetti politici del voto sono stati importanti: sull’AfD pesa ancora lo stigma dell’ultranazionalismo, che spesso si traduce in accuse di simpatie o nostalgie naziste.
Fino a ieri isolato sulla scena politica tedesca, questo è stato il primo punto di contatto con un partito tradizionale – sebbene la CDU abbia ribadito che non intende portare avanti un’alleanza con l’AfD dopo le elezioni.
Oltre a questa controversa votazione, l’atteggiamento di Merz durante la campagna elettorale è stato assai propositivo, e, forte del favore dei sondaggi che indicano la CDU come primo partito, lo Spitzenkandidat promette grandi cambiamenti.
La svolta mancata
Grandi cambiamenti erano stati annunciati anche dal cancelliere (probabilmente uscente) Olaf Scholz nel 2022. Il leader della SPD aveva parlato di «Zeitenwende», un cambiamento epocale, per riferirsi al piano di riarmo varato dalla Germania dopo l’invasione russa dell’Ucraina.
Una completa ristrutturazione della Bundeswehr, così da renderla una forza moderna ed efficiente, ma anche liberare i tedeschi dagli spettri del passato sul ruolo delle proprie forze armate, avrebbe dovuto essere il punto di ripartenza per una Germania in difficoltà.
Anche il partito dei Verdi, per mantenersi sullo stesso piano retorico dei propri compagni di governo, ha annunciato la sua Wende: in questo caso «Energiewende», una svolta energetica dagli effetti per ora infelici.
Nonostante gli annunci di grandi cambiamenti da parte dei leader tedeschi, i veri sconvolgimenti per la Germania sono arrivati dall’esterno, non dall’interno. Negli ultimi anni Berlino ha essenzialmente subito i rovesci internazionali che tutt’ora ha difficoltà a governare.
Con il termine «Wende» (cambiamento), in tedesco ci si riferisce agli eventi che portarono alla caduta del Muro e alla riunificazione del Paese. In quel frangente le dinamiche internazionali – su tutte la crisi dell’Unione sovietica – favorirono la caduta della DDR, priva del suo più potente alleato, e poi la seconda unificazione tedesca. Oggi invece Berlino viene investita e danneggiata da ciò che succede al di fuori delle proprie frontiere: se di «Zeitenwende» si tratta, la Germania la sta subendo.
Un mondo più complicato
Tre anni dopo gli annunci di grandi cambiamenti in arrivo, la Germania è riuscita a cambiare ben poco. La sfida principale per il nuovo cancelliere sarà proprio quella di imprimere una direzione alla Germania in un periodo di «svolte epocali» che non smettono di colpirla. Se ci riuscirà un uomo nuovo e propositivo come Friedrich Merz, rimane da vedere: i cambiamenti che hanno investito la Germania ne hanno messo in evidenza divisioni interne e limiti di azione.
Gli sconvolgimenti internazionali che hanno interessato la Germania sono stati tutti innescati dalle maggiori potenze mondiali, alle quali Berlino si era legata in modi diversi. Avendo puntato molto sulla Cina come mercato di riferimento per il proprio export, la Germania ha subito prima l’isolamento durante il momento pandemico e poi la concorrenza di Pechino, che in alcuni settori da cliente è diventato concorrente (il caso delle auto elettriche è emblematico).
La Germania non ha tratto alcuna lezione dalla propria esperienza storica: l’espressione «Made in Germany» nasce come label denigratorio che gli inglesi, nell’Ottocento, applicavano alle merci tedesche, all’epoca copie di minor qualità e prezzo inferiore rispetto ai prodotti britannici. Nel giro di qualche decennio però, l’industria tedesca si è liberata della marca d’infamia del «made in Germany», sottraendo parti di mercato agli inglesi e diventando nel tempo sinonimo di eccellenza industriale.
La traiettoria cinese è stata simile: il «made in China» oggi non indica più solo una produzione in serie di manufatti di materiale spesso scadente ma a basso costo, ma in certi settori Pechino si trova ben più avanti rispetto agli europei (e ai tedeschi).
Alla dimensione commerciale del «cambiamento epocale» si è sommata quella securitaria ed energetica con l’invasione russa dell’Ucraina. L’energia russa a costo contenuto, il cui emblema era il gasdotto North Stream, oggi simbolicamente fuori uso dopo i sabotaggi al largo dell’isola di Bornholm, era il combustibile della macchina industriale tedesca.
L’Est inquieto
Inoltre, l’attacco russo ha cambiato le dinamiche interne all’Europa. La rilevanza dei Paesi dell’Europa centro-orientale, su tutti la Polonia, è aumentata. Essi non hanno esitato a puntare il dito proprio contro Berlino, accusato di aver portato avanti politiche troppo filorusse e di non essere stati ascoltati quando denunciavano l’aggressività di Mosca.
La relazione della Germania con la non più sua Mitteleuropa è ambivalente: da un lato diversi di questi paesi hanno fortissimi legami con la Germania dal punto di vista economico, finanziario, culturale e storico, ma dall’altro la percepita minaccia russa, l’apparente inazione tedesca e la precedente connivenza di Berlino con Mosca rendono l’immagine della Germania più appannata nella regione. Quest’area del continente mette a nudo le complessità della proiezione estera tedesca, che non ha voluto crescere sotto il profilo della difesa ma che è economicamente imprescindibile.
Per definire la posizione tedesca in Europa l’analista Claire Demesmay parla di una leadership «scomoda»: per questioni storiche e di memoria, Berlino non ha voluto ricoprire un ruolo da protagonista a livello continentale – allo stesso tempo però, soprattutto nel quadrante orientale, non c’è nessun Paese che possa rivaleggiare o sostituirlo come Paese di riferimento (la Polonia sogna di farlo ma è ancora lontana dal poterlo realizzare).
Inoltre, a livello europeo, l’instabilità francese ha contribuito a rendere più debole la Germania. Se l’immagine del motore «franco-tedesco» è più popolare a Parigi che a Berlino, è ugualmente vero che i due maggiori paesi europei stanno attraversando fasi di instabilità che li spingono a cercare una risoluzione interna dei propri problemi prima di adottare una prospettiva continentale.
L’elezione di Donald Trump è stato il terzo momento di crisi delle certezze della politica estera tedesca. Il principale riferimento di sicurezza della Bundesrepublik – da quando essa esiste sotto questa forma – sembra voler cedere alle sue pulsioni più profonde, senza grandi riguardi per gli alleati di ieri.
La volontà di chiudere la partita in Ucraina senza consultare ucraini, europei o tedeschi indica un declassamento dei legami transatlantici, su cui Berlino aveva continuato a puntare (uno dei maggiori fornitori per il piano di riarmo post 2022 erano proprio gli USA).
Proprio la questione del riarmo tedesco – quindi la «vera Zeitenwende» – mette in evidenza tutti i vincoli con cui la Germania oggi deve fare i conti. Un rapporto del Kiel Institute for the World Economy (IfW), pubblicato nell’autunno 2024, fa il punto della situazione, rilevando in particolare la lentezza e l’insufficienza delle capacità di approvvigionamento tedesche ed europee.
Gli economisti dell’IfW puntano il dito contro il disarmo degli ultimi anni e la lentezza industriale di oggi, rilevando come ai ritmi attuali per alcuni sistemi d’arma gli arsenali tedeschi torneranno ai livelli del 2004 solo tra cent’anni. Da Kiel sottolineano specialmente le difficoltà tedesche in termini di capacità di spesa, augurandosi un miglioramento in termini di efficienza e di integrazione dell’industria della difesa a livello europeo.
Difficile riorientamento
Il tema della capacità di spesa è cruciale per molti settori della Germania di oggi, che si scopre in difficoltà sia nello spendere le proprie risorse che nel fissare le proprie priorità a livello nazionale.
La questione di come e quante risorse allocare è di cruciale importanza: il governo Scholz è caduto dopo un litigio con i liberali (FDP) di Christian Lindner, che, per recuperare consenso, hanno difeso una politica di bilancio rigorosa, mentre socialisti e verdi proponevano un’espansione della spesa pubblica.
Più in generale, ora che i pilastri «esterni» del modello tedesco sono venuti meno (vendita del proprio export alla Cina, rifornimento energetico dalla Russia, integrazione politico-economica con i Paesi dell’Europa centro-orientale, asse franco-tedesco e sicurezza garantita dagli Stati Uniti), è particolarmente difficile per Berlino riorientarsi in tempi brevi.
La Germania è realtà multicentrica, ha interessi diversi per via della sua struttura e della sua storia (l’adagio «amo così tanto la Germania che ne preferisco due» ha un fondo di verità). Formalmente si tratta di un Paese federale, unificato da poco più di 35 anni ma attraversato da profonde differenze tra Est e Ovest in quasi tutti i campi, e flagranti sotto il profilo politico, economico e demografico.
Oltre alla persistente divisione tra ex-DDR e BRD, si possono rilevare differenze culturali tra la cintura renana, le città portuali del Nord, o ancora con il particolarismo bavarese (economicamente e politicamente rilevantissimo: qui il partito di maggioranza tedesco, la CDU, non esiste, ma regna la CSU, con cui la CDU è sì gemellata, ma che rimane un’entità distinta).
Anche in campo economico la «lottizzazione» del potere è forte – nelle decisioni delle grandi industrie intervengono pesantemente anche le banche di riferimento, il Land dove l’azienda ha sede e che ne detiene delle quote e i sindacati. Ciò da un lato garantisce la rappresentanza di interessi diversi, ma complica le decisioni di lungo periodo. Soprattutto quando il paradigma di sviluppo che ha funzionato fino a poco fa non è più valido.
Anche il sistema politico tedesco, parlamentare e fondato su compromessi, rispecchia la natura del Paese e ha mostrato la sua fragilità in questo periodo di crisi (che un cancelliere non porti a termine la legislatura è un evento raro). Anche dopo domenica, lo scenario di un governo di coalizione rimane il più probabile, dato che la CDU/CSU non ha i numeri per governare da sola.
L’incognita Merz
Merz intanto si sogna già cancelliere, proponendosi anche lui come uomo del cambiamento, così come stanno cercando di fare altri leader politici tedeschi, soprattutto agli estremi (Alice Weidel di AfD e Sahra Wagenknecht di BSW, ad esempio).
Il protagonismo in campagna elettorale del probabile futuro cancelliere e il suo percorso all’interno della CDU – non è mai stato nemmeno ministro, ed è arrivato alla testa del partito nel 2022, dopo aver fallito i due precedenti assalti alla leadership – gli permettono di presentarsi come volto nuovo. Purtroppo per lui però le complessità della Germania non svaniranno dopo la sua eventuale ascesa alla cancelleria.
Il suo primo obiettivo sarà quello di formare un governo e, nonostante il voto di gennaio insieme all’AfD, continua a negare di voler governare insieme ad Alice Weidel (che presumibilmente sarà la seconda forza politica del prossimo Bundestag).
Gli alleati bavaresi della CSU hanno impostato la loro campagna elettorale contro il partito dei verdi, fortemente radicati nel nord e nell’ovest del Paese, quindi una convivenza nello stesso esecutivo è difficile da immaginare. I liberali, che si sono accodati alla mozione insieme all’AfD e che sono stati all’origine dello strappo dello scorso autunno con la SPD, rischiano di non superare la soglia di sbarramento e di rimanere fuori dal prossimo parlamento.
L’alternativa di una «Große Koalition» (CDU e SPD) è lo scenario più probabile, ma questo significa un governo delle stesse compagini politiche che hanno governato il Paese negli ultimi trent’anni.
Un uomo nuovo alla testa di una compagine tradizionale potrebbe però essere un buon mix di innovazione e tradizione per la Germania. Se Merz riuscirà a prendere coscienza dei limiti con cui la Germania del 2025 deve fare i conti sarà già un ottimo punto di partenza, non solo per Berlino ma anche per l’Europa più in generale.
L’Europa e l’instabilità tedesca
Le divisioni del Paese non lo rendono ingovernabile e anche se è in recessione possiede ancora notevoli risorse (a patto di volerle utilizzare). Di riflesso, come la Germania ha sofferto l’instabilità mondiale, il resto del continente soffre l’instabilità tedesca. E se Berlino ritrova un po’ di vigore iniziando un serio percorso di riforma questa sarà una buona notizia per il continente, anche per noi in Italia.
Osservando il sempre più frammentato panorama politico tedesco, è difficile individuare compagini che offrano alternative credibili rispetto a un’ennesima coalizione dei partiti maggioritari. Anche in Germania i partiti più estremi guadagnano consensi, e l’apertura di Merz di fine gennaio nei confronti dell’AfD può essere preoccupante: dare corpo a un’alleanza simile contribuirebbe a spaccare ancora di più il Paese, al posto di unirlo.
Uno dei maggiori sviluppi di questa campagna elettorale è stato che l’AfD ha trovato uno sponsor di peso nella figura di Elon Musk. Inoltre, lo scorso fine settimana il vicepresidente americano JD Vance ha pubblicamente espresso il proprio sostegno per l’«Alternativa», cioè AfD. Quanto questo possa aiutare il partito di estrema destra alle prossime elezioni o nella configurazione di un governo rimane da vedere.
Se i sondaggi verranno rispettati e la CDU sarà effettivamente il primo partito, la tentazione di unirsi a una compagine che gode del favore di più di un uomo forte a Washington potrebbe attraversare la mente di Merz.
La Repubblica Federale Tedesca nasce dalle zone di occupazione alleate dopo la seconda guerra mondiale: per alcuni, il legame transatlantico è parte del DNA della Germania moderna, e la volontà di tenersi stretto l’alleato americano può essere una tentazione.
Questo però vorrebbe dire aver completamente frainteso le dinamiche che hanno portato la Germania nella situazione in cui è ora.
- Dal Substack di Stefano Feltri, Appunti, 18 febbraio 2025







