Siria: l’impeto dei fondamentalismi

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Nella Siria dimenticata oggi come ieri, l’orrore è sempre di casa. Lo stragismo di Stato delle milizie legate al governo siriano nel capoluogo dei territori drusi, Swayda, produce ancora sommovimenti destabilizzanti.

Infatti è di nuovo saltato il cessate il fuoco faticosamente mediato da Washington tra le forze fedeli a Damasco (esercito nazionale e milizie beduine) e le milizie druse. 

La mancanza di fonti attendibili impedisce di dire chi abbia la responsabilità della nuova giornata di fuoco e di morti tra siriani. Solo l’intenso sforzo dei “mediatori internazionali” (gli americani) ha costretto entrambi a tornare alle posizioni che avevano prima delle sparatorie e così a una calma reale, perché non si spara, ma anche apparente, perché tra drusi siriani e governo siriano il solco rimane profondo.

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La linea criminale tenuta da bande di una ferocia inaccettabile per chiunque agisca nel nome di uno Stato sovrano ha portato i leader più estremisti a controllare la piazza drusa. Il capo-fazione più avverso a Damasco e più vicino a Israele – che prosegue indisturbato le sue incursioni nel sud della Siria – è oggi la voce quasi ufficiale della comunità drusa.

Non di certo un successo per Damasco e la sua legittima pretesa di diventare davvero la capitale di tutta la Siria. Ma per riuscirci al-Sharaa e i suoi dovrebbero organizzare un esercito degno di questo nome, senza jihadisti stranieri in posizioni di responsabilità, senza legami con bande armate illegali ed estremiste.

Così la domanda che pongono i drusi, in buona o cattiva fede, è comunque la domanda della loro popolazione: “come possiamo fidarci?”.

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L’ex jihadista al-Sharaa, ora presidente della Siria, agisce sempre più esplicitamente come gli Assad: il governo è espressione di elementi leali al capo e provenienti dalla sua comunità di origine (per Assad quella alawita, per al Sharaa quella sunnita) con i quali impone la sua volontà.

È questo il problema che da marzo impedisce l’attuazione dell’accordo di massima, trovato a parole ma mai attuato, con i curdi: anche lì il pomo della discordia è su chi controllerebbe la sicurezza nelle aree siriane a maggioranza curda e sulle quali i curdi oggi comandano da soli, con il sostegno sempre più flebile degli americani, sempre più vicini ad al-Sharaa.

Con i drusi la questione è irrisolta, perché loro non vogliono gli uomini di al-Sharaa nei loro territori e sembrano fermi su una linea che torna massimalista: avere la sicurezza nei territori che considerano loro tutta ed esclusivamente nelle proprie mani.

Ma siamo a questo perché le voci più ragionevoli sono state zittite dalla carneficina compiuta dai governativi nella zona drusa. Con i curdi il problema sarà discusso nel prossimi giorni a Parigi con la presenza al tavolo degli Stati Uniti.

Anche qui l’iniziale buona volontà è stata soppiantata da opposte rigidità, quanto accaduto con i drusi non ha aiutato. Ma i curdi siriani hanno un esercito di 100mila unità. Impossibile chiedere che abbiano il controllo di tutti i territori siriani che oggi amministrano in splendida solitudine, ma impossibile anche non capire che non potranno sciogliersi come neve al sole.

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Per quanto Washington sostenga apertamente al-Sharaa, per via dei rapporti privilegiati di Trump con Ankara e con il Qatar (gli sponsor di al-Sharaa), anche basarsi troppo su questo può dimostrarsi sbagliato da parte di al-Sharaa. Infatti nonostante le pressioni di Washington anche i curdi hanno irrigidito, non ammorbidito la loro posizione e al Congresso statunitense l’orrore causato dal pogrom di drusi compiuto dagli uomini di al-Sharaa ha bloccato il processo parlamentare di ratifica della decisione presidenziale di rimuovere le sanzioni economiche a Damasco.

È stato un autogol che un uomo politicamente avveduto come al-Sharaa avrebbe dovuto evitare venendo a più miti consigli con i drusi. Ma troppa fiducia in sé stessi e nella forza di Trump lo ha danneggiato.

Così ora molto dipende dall’ONU, investito della decisione di rimuovere le sanzioni internazionali, con il benestare americano. Il passo essenziale per la vita di milioni di siriani ridotti alla fame. Ma qui c’è il rischio russo, vecchio amico di Assad e quindi in grado di esercitare il proprio diritto di veto.

Per evitarlo al-Sharaa ha mandato il suo ministro degli esteri a Mosca, dove non ha chiesto neanche una parole di scuse per gli orrori perpetrati per anni in Siria a mezzo di bombardamenti a tappeto di intere città siriane. Damasco ha fatto intendere la sua disponibilità a confermare le sue basi militari russe in Siria, in cambio probabilmente del voto sulla rimozione delle sanzioni. La visita organizzata in fretta e furia si spiega solo così. Chissà, forse il capo della diplomazia siriana avrà anche chiesto a Lavrov notizie sulla salute dell’esule d’oro, Bashar al Assad.

Se tutto questo potrebbe spingere Mosca (per quel poco che forse può ancora) ad aiutare al-Sharaa con i curdi, non ha spinto i “sunniti moderati”, cioè non fondamentalisti, a trangugiare il pragmatismo senza valori di al-Sharaa.

Il silenzio moscovita del suo ministro degli esteri ha colpito quasi tutti a Damasco e i commenti siriani di questi giorni lo rendono evidente. I leader sunniti, come i laici e molti altri, in queste ore però sono sul piede di guerra con al-Sharaa anche per un altro motivo: la nomina a consigliere presidenziale di Ahmad Zidan, un giornalista siriano che per decine di anni, nella stazione televisiva per la quale lavorava in Afghanistan e poi nella sua attività professionale svolta altrove, avrebbe dimostrato una profonda vicinanza ai principali leader di al Qaida. Il suo nome figurerebbe nelle comunicazioni segrete interne ad al Qaida rinvenute dagli americani nell’ultimo nascondiglio di bin Laden.

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Perché in un momento così delicato, quando tutto dice che solo un vero dialogo nazionale, diffuso su tutto il territorio, aiuterebbe al-Sharaa a divenire davvero il Presidente di una rinnovata Siria, lui abbia voluto procedere a una nomina dimostratasi subito incendiaria è difficile dire.

Forse teme che crescano estremismi a lui avversi, anche tra i suoi luogotenenti ovviamente e potrebbe volerli tenere sotto controllo. Ma gli estremismi si aiutano vicendevolmente e al-Sharaa, se continuerà a coccolare i settori più radicali del suo campo, potrebbe aiutare tutti i suoi interlocutori negli altri campi siriani a radicalizzarsi.

Con i drusi è andata così, con i curdi qualcuno lo teme e lo vedremo nei prossimi giorni. Per la piazza sunnita radicalizzare contro di lui “i moderati” sarebbe una novità. L’uso del termine moderati in questo contesto è molto improprio: si tratta dell’importante e ampio pezzo di mondo sunnita che rispetta e vuole vivere in pace con curdi, drusi, alawiti, cristiani e altri.

Parliamo dei sunniti sempre dimenticati da tante pubblicistiche che descrivono quel mondo come contrario, ontologicamente contrario, al dialogo e al rispetto reciproco. E invece ci sono: chissà se gli sviluppi siriani li porteranno anche a organizzarsi politicamente.

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