Piccole comunità: argine alla violenza

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I fatti avvenuti nei giorni scorsi in Francia sono significativi e riguardano anche l’Italia. Abbiamo davanti uno scenario di rivolta da parte dei giovani francesi di origine maghrebina, scatenati da un incidente mortale che ha coinvolto il giovane Nahel. Cosa è successo in Francia? È solo “roba loro”, oppure c’è qualcosa che può riguardarci?

In Francia ci sono centinaia di periferie abitate da famiglie provenienti dalle ex colonie francesi del Nord Africa, in particolare Algeria e Tunisia. Si tratta di francesi a tutti gli effetti, dalla nascita alla formazione scolastica fino all’ingresso nel mondo lavorativo. Semplicemente cittadini francesi.

Non abbiamo a che fare neppure con problemi di carattere religioso, dato che la maggioranza di queste persone è sì musulmana, ma non vive il proprio credo in modo fondamentalista.

La Francia non può essere etichettata come paese non inclusivo o, peggio, razzista. Ci sono, infatti, una cultura dell’accoglienza che non è nata ieri e una storia di integrazione che dura da decenni, soprattutto per il lungo trascorso coloniale e per la possibilità di usare la stessa lingua.

Dove sono finite le piccole comunità?

Perché allora in una nazione civile come la Francia ci sono ribellioni simili? Perché questa rivolta violenta di persone che dicono di non sentirsi accettate, veramente accolte?

I giovani delle periferie francesi, in maggioranza, ritengono che, dietro la parola “accoglienza”, si nascondano in realtà l’esclusione e il pregiudizio.

Il problema è complesso e di non facile lettura, ma c’è qualcosa che, a mio parere, riguarda anche le radici cristiane e tocca quello che ha vissuto la Chiesa francese in questi ultimi decenni.

In Francia il cristianesimo sta scomparendo, lo dicono le ricerche e le statistiche. Resistono solo alcuni baluardi, vere eccellenze di una tradizione che intende conservare il prezioso patrimonio dei riti e delle celebrazioni.

Però c’è una realtà che io ritengo tragica: in Francia sono quasi sparite le comunità! Intendo le parrocchie tradizionali, quelle piccole, basate sulla relazione e quindi aperte a tutte le persone, credenti o non credenti.

Sono sparite le comunità che – abbandonata ogni pretesa di proselitismo – sono interessate alla vita: alla quotidianità, all’incontro, all’accoglienza di chi viene da lontano, alla condivisione degli eventi principali della vita, al sentirsi a casa anche se si chiama Dio con un altro nome o non lo si invoca per niente.

Sono scomparse le piccole comunità dove la canonica non è una segreteria che fa concorrenza all’anagrafe comunale, ma un luogo accogliente aperto all’ascolto, una mano che aiuta, un anello decisivo di una rete che vuole proteggere la persona.

Mancano le piccole comunità dove l’Oratorio o il Centro Comunitario sono sempre aperti per i ragazzi spesso vittime di una solitudine insopportabile, della violenza dei social e della falsità di una società in apparenza libera e tollerante, in realtà aggressiva e disgregante.

L’integrazione non può essere fatta solamente attraverso un progetto nato a tavolino come scelta politica, anche se c’è l’apporto di psicologi preparati e di operatori professionalizzati. Non bastano la scuola, lo sport e le attività culturali di un comune, anche del più aperto e disponibile.

Ci vuole cuore!

Senza un cuore, rimangono intatti i pregiudizi più reconditi, la ferita della segregazione non può essere cancellata da una vicinanza solo apparente. Basta un evento delittuoso, magari del tutto casuale, per far esplodere l’enorme malessere accumulato sotto l’apparenza di una società perfetta.

Le piccole comunità cristiane, in Francia, sono morte da decenni e questo vuoto contribuisce enormemente alla violenza di questi giorni. Quando spariscono queste presenze nei paesi e nei quartieri, non c’è qualcosa che le sostituisca, rimane solo il vuoto, quel vuoto che leggiamo sul volto di tante persone sole e, spesso, arrabbiate. I cristiani sono chiamati ad essere “cuore”. Questo è il ruolo futuro della Chiesa; non il proselitismo, ma la relazione d’amore.

In Italia non siamo ancora arrivati a tanto, anche perché il tessuto antico delle nostre parrocchie, delle piccole comunità, rimane fortunatamente ancora in vita. Ma non mancano i segnali negativi. Sono proprio alcune scelte pastorali ad affrettare questo declino, favorendo le comunità più grandi e mortificando quelle piccole, perdendo così quel tesoro prezioso che è la presenza sul territorio.

Certo, la Chiesa non può fare tutto, rimane però una presenza determinante. Non so se in Francia sarà possibile ricreare quell’antica rete che è scomparsa. Da noi è ancora possibile, con scelte coraggiose che permettano alle piccole comunità di vivere senza perdere la propria identità dentro le grandi Unità Pastorali.

Altrimenti, quello che è accaduto in Francia potrebbe verificarsi anche da noi.

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2 Commenti

  1. Giancarlo 12 luglio 2023
  2. Antonio Bollin 8 luglio 2023

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