Ucraina: la legge contro

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Il 19 ottobre il parlamento di Kiev ha approvato in prima lettura una legge (8371) che è nota come “interdizione della Chiesa ortodossa ucraina”. Si tratta della Chiesa ortodossa non autocefala, guidata dal metropolita Onufrio, che, fino al maggio 2022, manteneva rapporti sistematici con il patriarcato di Mosca.

Il nuovo testo della legge sulla libertà di coscienza e sulle organizzazioni religiose prevede alcune variazioni di rilievo. In particolare all’art. 5 si aggiunge: «Non sono ammesse attività religiose organizzate, affiliate a centri di influenza di organizzazioni religiose il cui centro di controllo si trovi al di fuori dell’Ucraina, in uno stato che effettua aggressioni armate contro l’Ucraina».

Altre modifiche rilevanti riguardano la possibilità che l’organo statale di controllo sulle fedi possa chiamare in tribunale un’organizzazione religiosa e possa mettere in esame la teologia di una Chiesa che dipenda da un centro collocato in uno stato in guerra con l’Ucraina. Il testo è stato approvata con 287 voti, 15 contrari e 2 astenuti. Dal 2019 si sono succedute diverse proposte di legge di tono similare, ma non hanno mai raggiunto i numeri per essere discusse.

Contro la Chiesa non autocefala

Molto dura la reazione dell’ufficio giuridico della Chiesa di Onufrio: «È un progetto di legge che dovrà essere rivisto perché viola il diritto alla libertà di religione, mostra importanti falle tecniche del diritto e non è conforme alla Convenzione europea del diritti dell’uomo e alla costituzione ucraina».

A sostegno del metropolita Onufrio, che pochi giorni fa esortava al sacro dovere di difendere l’Ucraina,  scende in campo Cirillo di Mosca che lamenta l’oppressione e il disprezzo «dei suoi figli» per il solo fatto di essere portatori della secolare cultura russa. Il sito della Chiesa russa dà notizia sistematica a tutte i sequestri di chiese, i passaggi di appartenenza dalla Chiesa non autocefala a quella autocefala (metropolita Epifanio), le violenze di cui sarebbero oggetto preti, monaci e vescovi.

Un allarme più credibile è quello del Consiglio ecumenico delle Chiese. Il direttore della commissione per gli affari istituzionali, Peter Prouvé, ha definito il progetto di legge «una minaccia esplosiva per l’unità sociale in Ucraina, in particolare in un momento in cui tale unità è assolutamente necessaria per fronteggiare una minaccia esterna alla sovranità ucraina».

La difesa del CEC arriva nei giorni in cui l’organismo ha dovuto prendere atto dell’impossibilità dell’incontro previsto per ottobre delle Chiese ucraine e della Chiesa russa. Altra voce credibile è quella dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani che, nel marzo scorso, ha pubblicato un rapporto in cui si metteva in guardia dagli effetti discriminatori  della prevista legge 8371.

Le voci interne alla Chiesa non autocefala richiamano le decisioni del concilio del maggio 2022 in cui l’assemblea ha cambiato gli statuti della Chiesa affermando la totale autonomia rispetto a Mosca, la non partecipazione del metropolita al sinodo moscovita, la cessazione della memoria di Cirillo nei dittici e la consacrazione del sacro crisma a Kiev e non a Mosca.

I sospetti permangono

Il problema è che di tutte queste decisioni mancano i documenti. Non sono mai state ufficializzate. Lo hanno ricordato al metropolita Onufrio 400 dei suoi preti che, prendendo atto delle indicazioni fornite, si chiedono perché in molte comunità si continui a ricordare Cirillo, perché manchi una risposta ufficiale da Mosca alle decisioni prese e perché nessuna di queste sia stata documentalmente resa pubblica.

La reazione di Mosca, che ha inviato il metropolita Antonio del dipartimento per gli affari esteri del patriarcato a difendere la Chiesa non autocefala al Consiglio permanente dell’ONU senza informare Onufrio, offre  sempre l’impressione di non prendere sul serio le distanze esibite dalla Chiesa non autocefala, come se si trattasse di un distacco occasionale. I sospetti di un piede in due scarpe sono diffusi se un’inchiesta dell’Istituto internazionale di sociologia di Kiev (luglio 2022) registrava un’adesione della popolazione del 54% alla Chiesa autocefala e del 4% a quella di Onufrio (in precedenza al 18% e al 42%).

Un rapporto governativo (discusso) del febbraio scorso affermava che è ancora in essere la connessione della Chiesa di Onufrio con quella di Mosca. Per il teologo russo dissidente C. Hovurum, il metropolita Onufrio sa del collaborazionismo di alcuni suoi vescovi, ma non ha fatto nulla per impedirlo. Mentre è bastato un sospetto del trasferimento del vescovo Antonio Kmelnytskyi alla Chiesa autocefala per sostituirlo immediatamente. I collaborazionisti vescovi sarebbero una ventina. Il capo dei servizi segreti ucraini V. Malyuk ha detto di aver scambiato alcuni pope con numerosi prigionieri ucraini perché il «nemico apprezza molto i suoi agenti in tonaca».

I servizi di sicurezza hanno avviato 68 procedimenti penali contro altrettanti preti e vescovi. Oltre 300 le ispezioni e un centinaio le segnalazioni. 19 preti e vescovi avevano passaporti russi. Da parte della Chiesa non autocefala c’è la stessa difesa di vescovi molto chiacchierati come Paolo, ex responsabile della Lavra di Kiev, rispetto ad altri, più stimati come Ivko Panev e Teodosio di Tcherkassy.

Non creare martiri

Ma né i numeri, né i sospetti e, tanto meno, il pensare diffuso possono diventare un’accusa generalizzata alla Chiesa. Provare che essa sia una minaccia alla sicurezza nazionale è molto complesso.

Anche perché le competenze giuridiche interne, e ora anche il sostengo di un grande studio di avvocati (Amsterdam&Partners LLP) olandese, promettono una lunga battaglia legale. Del resto, l’arcivescovo maggiore degli ucraini, il greco-cattolico  Svjatoslav Ševčuk, aveva ammonito il governo a non creare nuovi martiri. Una comunità di fede non si lascia facilmente sciogliere.

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