L’Unione Europea è “necessaria”

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L’assemblea plenaria della Commissione delle conferenze episcopali dell’Unione Europea (COMECE) si è svolta a Łomža (Polonia; 17-19 aprile). A 20 anni dell’allargamento dell’UE i delegati delle conferenze episcopali dei 27 paesi partecipanti, si sono riuniti per riflettere sul processo di integrazione a partire dal punto di vista dell’Europa centrale e orientale. In un contesto in cui le critiche prevalgono sul consenso, mons. Mariano Crociata, presidente della COMECE, ha detto: «Ci può essere la tentazione – perché di tentazione si tratta – di prendere le distanze, di raffreddare l’apprezzamento e l’incoraggiamento […] Sarebbe un grave errore delegittimare l’Unione europea come tale perché non rispetta in tutto la nostra visione cristiana, poiché la fine dell’Unione sarebbe un tradimento ancora più grande, e questa volta da parte nostra, di un risultato storico che condensa in qualche modo un frutto della tradizione cristiana e una possibilità di futuro per i nostri paesi e le nostre Chiese». Pubblichiamo la relazione introduttiva di mons. Crociata.

La sede in cui si svolge quest’anno l’assemblea primaverile della COMECE ci colloca naturalmente nella prospettiva più consona per il nostro lavoro da un punto di vista sia storico che geografico. Ricordiamo, a vent’anni di distanza, l’ingresso di dieci Paesi, soprattutto dell’Europa orientale, nell’Unione Europea dal punto di osservazione di uno dei Paesi tra di essi più rappresentativo, quantomeno per grandezza; e avvertiamo non senza inquietudine la vicinanza dei territori nei quali da più di due anni si combatte a seguito dell’aggressione della Russia contro l’Ucraina.

Si gioca il destino del continente

Mentre l’anniversario invita a fare un bilancio, sia per i Paesi aggregati sia per l’Unione Europea tutta intera, il ritorno della guerra in Europa fa calare un velo d’ombra non solo su quel bilancio ma su tutti gli aspetti della vita dei popoli che la abitano, e che percepiscono come un’oscura minaccia, una guerra che qualcuno si illude di poter relegare nelle cronache di un mondo remoto che non ci riguarderebbe.

È questo un tempo che richiede un profondo ripensamento dei fondamenti della condizione umana, della storia che abbiamo vissuto nei trent’anni da quando abbiamo pensato che fosse finita per sempre un’Europa divisa in blocchi contrapposti e nei settant’anni da quando è nata quella che è oggi l’Unione Europea, e con esso un lungo periodo di pace.

Mentre ci occupiamo delle questioni piccole e grandi che assorbono i nostri impegni quotidiani e la nostra gente, spesso così dotata di una grande laboriosità e di volontà di crescita, sentiamo che questo mondo europeo che è il nostro potrebbe conoscere stravolgimenti inimmaginabili.

Quale sarà il destino dell’Unione Europea e dell’intera Europa quando questa guerra avrà prodotto tutti i suoi effetti, con esiti di cui non riusciamo a figurarci la forma?

Difendere la forma democratica

Una cosa possiamo già saperla: in un mondo multipolare, che vede crescere nuove potenze protagoniste, un’Unione Europea divisa da beghe interne, e perciò incapace di esprimersi con una sola voce forte e decisa, può solo prepararsi a pagare il prezzo alto dell’emarginazione se non della sottomissione; sempre che la guerra non ci riservi sorprese ben più amare.

La fase elettorale nella quale da mesi siamo entrati non è certo di aiuto, dal momento che rende tutti più cauti e guardinghi, ben lontani dal bisogno di trovare modi e condizioni di unità e di iniziativa.

E la contemporanea fase pre-elettorale degli Stati Uniti – l’unica potenza occidentale a cui siamo legati per democrazia liberale e interessi economico-militari – non fa che rendere ancora più debole un Occidente che finisce con l’apparire e con il sentirsi assediato da un mondo che, la democrazia, la vuole solo aborrire e combattere. Un segno drammatico di tale debolezza è l’incapacità di intraprendere alcuna azione diplomatica efficace.

Il quadro è reso solo più complicato e pericoloso dallo scontro in atto tra Israele e Palestina in Medio Oriente, ancora di più con l’entrata in gioco anche apertamente dell’Iran. Non è una guerra europea, ma le conseguenze sui nostri Paesi sono già percepibili e soprattutto minacciose; per non parlare degli intrecci che sussistono direttamente tra gli attori e le comparse dei due conflitti.

La COMECE è chiamata però a continuare con ancora maggiore determinazione la sua missione, anche in un tale contesto. Le modalità che dobbiamo indicare possono apparire sproporzionatamente piccole, o financo irrisorie, a confronto con l’enormità delle questioni in gioco. Ma noi siamo discepoli di un Maestro che ci ha insegnato che le cose grandi, le opere di Dio, cominciano da piccoli semi, da umili gesti.

Non delegittimare l’UE

Innanzitutto, si tratta di riconoscere il significato che le prossime elezioni del Parlamento assumono per l’esistenza e il futuro dell’Unione Europea.

Prepararsi ad esse e aiutare i nostri Paesi, a cominciare dai nostri fedeli, a prenderle sul serio e a valorizzarle con senso di partecipazione e di responsabilità – possibilmente secondo una matura consapevolezza cristiana – è il primo modo di contribuire a una Unione più forte e compatta.

La segreteria della COMECE ci mette a disposizione, insieme alla Dichiarazione adottata da tutti noi delegati, uno strumento prezioso con il Documento di lavoro nel quale sono indicati i punti che, a nostro giudizio, hanno un valore prioritario per la prossima legislatura. Come abbiamo scritto nella Dichiarazione, è importante far sì che i nostri episcopati prendano una propria iniziativa nell’incoraggiare fedeli e cittadini a dare il proprio voto.

Sarebbe un modo per rinnovare quella responsabilità cristiana che è all’origine dell’Unione Europea, la quale da uomini di fede cristiana è stata immaginata, pensata, fondata. Adesso essa è diventata qualcosa di diverso rispetto a quell’epoca, ma la sua anima e il suo impianto di fondo portano in maniera indelebile l’impronta di quella visione originaria.

Ci può essere la tentazione – perché di tentazione si tratta – di prenderne le distanze, di raffreddarne l’apprezzamento e l’incoraggiamento, a motivo di alcune scelte che contraddicono frontalmente la nostra coscienza umana e cristiana, ultime fra altre l’invito a introdurre l’aborto tra i diritti fondamentali della Carta dei diritti UE e la soluzione adottata in tema di migrazioni e asilo con il cosiddetto Patto Europeo.

Sarebbe un grave errore delegittimare l’Unione Europea come tale perché non rispetta in tutto la nostra visione cristiana, poiché la fine dell’Unione sarebbe un tradimento ancora più grande, e questa volta da parte nostra, di un risultato storico che condensa in qualche modo un frutto della tradizione cristiana e una possibilità di futuro per i nostri Paesi e per le nostre Chiese.

L’intelligenza di fede nella storia

Se non ci fosse più l’Unione, verrebbe meno anche la possibilità per noi di far sentire la nostra voce e di incidere sulle dinamiche di un intero continente.

Mi permetto di dire che la possibilità di contribuire a una Unione Europea migliore è una delle residue occasioni, per quanto è in nostro potere e nelle nostre capacità di previsione, per consentire alla fede cristiana di essere annunciata, testimoniata e vissuta anche nel futuro a venire in tutta Europa. Non ci venga meno questa intelligenza insieme di fede e di storia. Anche perché questa è l’unica via per salvaguardare pace, sicurezza e benessere nei nostri Paesi e nel nostro continente.

Un aspetto strettamente connesso con il tema elettorale – e non solo con esso – riguarda l’esigenza di difendersi dal diffondersi di disinformazione e fake news, non a caso diventate fattore determinante delle guerre in corso e delle campagne elettorali di ieri e, ancora di più, di oggi.

Non dimentichiamo che lo scontro ultimamente viene portato contro le democrazie e perfino dentro le Chiese, visti gli esiti anti-ecumenici già prodotti, che hanno vanificato decenni di sforzi per cercare l’incontro e la comunione.

I giovani e il dialogo

Far crescere, attivare e, anzi, affilare lo spirito critico, insegnando a districarsi e a discernere anche nelle situazioni e nei flussi di comunicazione più complessi, è uno dei compiti principali a noi richiesti e a noi accessibili. È uno dei tanti modi secondo cui la Chiesa può perseguire la propria missione di servizio alla verità. In questo senso va cordialmente confermato il nostro apprezzamento per la Youth net costituita da qualche anno dalla COMECE tra i Paesi dell’Unione.

Della fecondità dell’intuizione è un segnale importante la costituzione del Consiglio dei giovani del Mediterraneo avviata dalla CEI a seguito degli incontri tra i vescovi dei Paesi appartenenti a tale bacino, che è stato presentato qualche giorno fa ufficialmente al Parlamento Europeo, oltre che in un incontro nella sede della COMECE.

Ai giovani va rivolta la nostra attenzione di pastori e di educatori, poiché anche dalla loro capacità critica, dal loro spirito di iniziativa e dalla loro creatività, oltre che dalla sensibilità ai valori, si può attendere un futuro di speranza per tutti. Da queste due iniziative può venire una suggestione stimolante anche per altre Conferenze episcopali.

Il nostro compito statutario è strettamente legato al dialogo con le istituzioni europee, come viene sancito nei Trattati, insieme all’analisi di quanto tali istituzioni emanano e intraprendono.

Si tratta di instaurare un dialogo con persone, realtà e associazioni con le quali la conoscenza e la collaborazione possono contribuire a promuovere una Unione sempre più rispondente alle attese dei popoli e alle istanze che la fede cristiana porta come contributo ad una convivenza migliore tra tutti. C’è, in tal senso, una chiamata alla promozione del dialogo all’interno dei nostri Paesi e delle nostre Chiese, ma anche tra i nostri Paesi e le Chiese. E il ruolo dei segretari generali delle nostre Conferenze, di cui si è tenuto un incontro appena nei giorni scorsi presso la COMECE, può essere di grande aiuto nel nostro compito di delegati degli episcopati dell’UE.

Dovremmo sentire la responsabilità di costituire la rete che, più di altro, può dare un’anima all’Europa, quell’anima evocata e invocata dai migliori spiriti della nostra storia europea, oltre che dal nostro magistero, a cominciare da quello pontificio.

Segni dei tempi e progetto europeo

Mi piace perciò chiudere citando alcune affermazioni che papa Francesco ha affidato alla sua recente autobiografia. La visione cristiana – scrive il papa – «ci permette di trovare nella storia dell’Europa un incontro continuo tra cielo e terra». «Il futuro dell’Europa – la vecchia Europa, stanca e sterile – dipende dalla scoperta del nesso vitale tra questi due elementi», la dimensione trascendente e quella terrena.

«È necessario che l’Unione oggi si svegli dal torpore, che torni a dare alla luce un nuovo umanesimo basato su tre capacità: integrare, dialogare e generare. Dopotutto il Vecchio Continente, se necessario, è in grado di ricominciare da capo: lo ha dimostrato dopo la Seconda guerra mondiale, quando tutto era da ricostruire. E ci riuscì perché la speranza non venne mai meno nei cuori di chi stava fondando questo nuovo soggetto politico, mettendo al centro di tutto gli esseri umani. È fondamentale, a tal proposito, che si pensi alla formazione di persone che leggano i segni dei tempi e sappiano interpretare il progetto europeo nella storia di oggi. Altrimenti, prevarrà soltanto il paradigma tecnocratico che non attira le nuove generazioni e sancirà la fine di questo progetto».

Ho voluto toccare questi pochi temi, perché mi sembrano essenziali – anche per il nostro organismo – per la fase che stiamo attraversando in Europa.

Nel lasciarvi la parola così da pervenire a una visione condivisa, aggiungo due temi che meritano, nel quadro di quanto ho detto, di essere posti sul tavolo della discussione. E cioè, il tema dell’allargamento dell’Unione Europea ad altri Paesi e quello della necessità di tenersi alla larga dagli estremismi che purtroppo, a motivo del diffondersi di paure non infondate, rischiano solo di deteriorare la situazione generale, dei singoli Paesi e di tutta l’Unione Europea.

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Un commento

  1. Claudio 29 aprile 2024

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