
C’era una volta una psicologa e una teologa… è questo l’inizio del dialogo tra due studiose, «affinate» dall’ascolto di quanti hanno riconosciuto un abuso spirituale. Dalla fine del XX secolo, è cresciuta una certa sensibilità nei confronti degli abusi, in contesto ecclesiale. Con essa è maturata la consapevolezza che la realtà è più complessa dei dati, registrati in un manuale diagnostico o moralistico[1]. L’abuso riguarda l’interezza della persona e ha numerose sfaccettature. Il ritardo nel suo focusing è legato ai limiti di alcuni approcci.
Il «peso» di un metodo
Ecco i danni del materialismo riduzionista: relega la persona alla corporeità, riduce la corporeità a sessualità e, quest’ultima, a genitalità. In un’antropologia ad una dimensione, si mostra incapace di riconoscere abusi che esulino dalla sfera corporea e sessuale. Fa capolino anche la fretta a «chiudere il caso», mediante un neopelagianesimo «sotto traccia» che, in soluzioni «pronte all’uso», nega l’eterna commistione del grano e della zizzania (cf. Mt 13, 24-53), l’equilibrio delicato tra grazia divina e libertà umana nella storia e «assolve» la teologia dalla sua (de)responsabilità ecclesiale e profetica[2].
Innanzi ad una crisi antropologica e teologica, il nostro testo, intarsiato di inter e trans-disciplinarietà, è divenuto esercizio di ecclesialità: le vittime, dalla loro cattedra della sofferenza[3], ci hanno «insegnato» sulle dinamiche abusive e testimoniato, nella integrazione delle ferite, la forza sanante della grazia, il potere redentivo della croce e la possibilità di una rinascita sociale, ecclesiale e teologica[4]. In fondo, sono state loro maestre, sul campo, di teologia sistematica sulla staurologia, la grazia, la natura.
Abuso spirituale
Negli ultimissimi tempi, gli abusi spirituali destano preoccupazione: si tenta di darne una definizione e descriverne il contesto[5]. E la teologia che dice? Può gridare al peccato e lanciare anatemi, a destra e a manca, o pensare ad un abuso spirituale come una deviazione in corso d’opera di un sincero desiderio di Dio[6], fuorviato da personaggi, talvolta, dal tratto carismatico che, più o meno consapevolmente, si ergono (o sono eletti) a guru e accompagnano lentamente le persone all’incontro con il proprio Io egocentrico e non con Dio[7].
L’abuso spirituale può avvenire nelle «segrete» di un confessionale, nel contesto dell’accompagnamento spirituale, nell’animazione di gruppi o movimenti ecclesiali, nei cammini vocazionali. Gli strumenti, celati dietro un «sorriso» timido, in una ostentata erudizione, in un rigido moralismo, conducono alla manipolazione di contenuti teologici e biblici[8]. Nella varietà di queste situazioni, le relazioni diventano fusionali e disfunzionali[9]: la persona non è più guardata nella sua alterità, è divelta dalla relazione con gli altri, dalla comunità ecclesiale e, persino, con Dio[10]. Diviene territorio di conquista, in cui si nega la libertà dell’accompagnato, si esalta la libertà dell’accompagnatore e si tenta di oscurare la libertà di Dio.
Una ripartenza profetica: il ruolo della teologia
Perché trattare teologicamente un abuso spirituale? Per rispolverare i temi antichi e sempre nuovi della grazia e della libertà? In verità, se ci limitassimo alle casistiche, rimarremmo intrappolati nel danno e nella beffa di un «abuso spirituale». La teologia dimostrerebbe di ignorare la rivelazione di Dio e il senso pieno della croce o di non saperli integrare con la concretezza e le sfide della vita.
I sopravvissuti portano, nella carne, i segni della morte e la possibilità della resurrezione[11]. Con loro, la teologia, la pastorale e la psicologia immaginano un futuro fatto non solo di prassi e diritto civile e/o canonico, che protegge le vittime e punisce i carnefici, ma una Chiesa che sia cattolica e una antropologia teologica «integrale», che costruiscano il bene di una comunità umana che sarà sempre fatta di «grano e zizzania». La questione teologica degli abusi spirituali ha a che fare con la missione ad intra e ad extra della Chiesa: è affare ecclesiologico e antropologico!
Katharina Anna Fuchs – Stefania De Vito, Spiritual Abuse and Healthy Accompaniment. Insights from Psychology and Theology, Paulist Press, Mawah (NJ) 2025
[1] Cfr. F. Watt, «Theology and Sciences of Mental Health and Well-Being», Zygon 53/2 (2018): 375-391.
[2] Cfr. Papa Francesco, Ad Theologiam Promovendam. Motu Proprio (1 Novembre 2023): § 4.
[3] Cfr. S. De Vito, «Il Magistero delle vittime per una teologia dell’abuso. Il contro-esodo di Noemi nel libro di Rut», Annales Theologici 37/1 (2023): 169-198.
[4] Cfr. K.A. Fuchs – S. De Vito, Spiritual Abuse and Healthy Accompaniment. Insights from Psychology and Theology, Paulist Press 2025, 164-166.
[5] Cfr. SNTM-CEI, Abuso spirituale: elementi di riconoscimento e di contesto, Roma 2025.
[6] Cfr. J. Hauselmann – F. Insa, «Abuso di potere, abuso spirituale e abuso di coscienza: Somiglianze e differenze», Tredimensioni 20/1 (2023): 42-53.
[7] Cfr. K.A. Fuchs – S. De Vito, Spiritual Abuse, 21-23.
[8] Cfr. Ibidem, 9-11.
[9] Cfr. Ibidem, 24-25.
[10] Cfr. Ibidem, 46-52.
[11] Cfr. Ibidem, 164-165.






Finalmente si parla con chiarezza di questi argomenti. Grazie