
Il regista Jim Jarmusch mostra il Leone d’oro vinto per il suo film “Father Mother Sister Brother” (Venezia, 6 settembre 2025. Foto: ANSA/Ettore Ferrari)
All’ultima edizione della Mostra del cinema di Venezia l’attualità ha ovviamente pervaso sia i film presentati al Lido sia gli eventi collaterali, tra cui la manifestazione pro Palestina che ha avuto una notevole eco a livello non solo nazionale. Il cinema è sempre stato un veicolo per descrivere il mondo nel suo quotidiano e i festival sono assolutamente fondamentali per presentare e scoprire realtà a noi lontane ma urgenti da segnalare.
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Anche l’aspetto religioso non è mancato in alcuni film presenti non solo in concorso ma anche nelle sezioni collaterali. Il film inaugurale della sezione Orizzonti ad esempio, Mother della regista macedone Teona Strugar Mitevska, già autrice del film Dio è donna e si chiama Petrunya del 2019, è un ritratto decisamente anomalo di Madre Teresa di Calcutta interpretata dall’attrice svedese Noomi Rapace: racconta i giorni in cui la suora attende che la Santa Sede la autorizzi (o meno) ad abbandonare la congregazione di cui ha fatto parte, per poter vivere autonomamente, a Calcutta, fuori dal convento, per potere fondare una propria congregazione.
Purtroppo, il film non funziona del tutto. Oltre alla scelta poco felice di inserire una colonna sonora moderna, che vorrebbe portare nel contemporaneo la figura della suora, senza peraltro riuscire nell’intento, la regia risulta estremamente piatta e priva del nerbo che avrebbe dovuto avere, nonostante l’interpretazione di Noomi Rapace, comunque credibile e appassionata.
Un’occasione mancata anche il film in concorso The Testament of Ann Lee della regista Mona Fastvold che usa il genere musical per raccontare la storia della giovane sposa Ann Lee che nella Manchester della metà del XVIII secolo, dopo essersi unita alla comunità quacchera degli shakers, ne diventa la guida spirituale, proponendo una vita di sobrietà, astinenza sessuale ed egalitarismo quale espressione dello Spirito. Con i suoi discepoli, che iniziano a vederla come la seconda venuta di Cristo, Ann decide nel 1774 di abbandonare tutto ciò che conosce e si rifugia nella Nuova Inghilterra, convinta di poter dare vita a un nuovo Eden.
La parte tecnica è molto interessante: scene, costumi e la fotografia rendono benissimo l’ambientazione, ma la qualità delle musiche, prese proprio dopo una approfondita ricerca storica, con la ridondanza della sceneggiatura, rende il film indigesto, troppo pesante; anche in questo caso però colpisce l’interpretazione di Amanda Seyfried nel ruolo principale.
Paolo Sorrentino affronta due interessanti argomenti nel suo ultimo riuscito film La grazia dove Toni Servillo interpreta un Presidente della Repubblica alla fine del suo mandato che deve affrontare alcune questioni, tra cui due domande di grazia e una legge sull’eutanasia. Sorrentino non giudica e non vuole giudicare, ma affronta queste due tematiche in modo sereno e giudizioso, come dovrebbe essere la politica oggi.
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Nei film visti a Venezia nella prima settimana, una trentina circa, gli argomenti sono stati davvero i più disparati, sempre però legati a questioni del presente, come la salvaguardia del pianeta nel film Bugonia del regista greco Yorgos Lanthinos, il tema dell’adolescenza, come ad esempio in Un anno di scuola di Laura Samani e in Strange river del catalano Jaume Claret Muxat; il tema dell’infanzia e dell’abbandono in Orphan del regista ungherese Lazlo Nemesz, l’ascesa di Putin nel notevole The Wizard of Kremlin di Olivier Assayas; il mondo del lavoro in No other choice di Park Chan Wook, A pied d’oeuvre di Valerie Donzelli e in Made in EU del bulgaro Stephan Komandarev; la terza età nel notevole Calle Malaga di Maryam Touzani; la condizione femminile nei paesi arabi in Hijra di Shahed Ameen; gli abusi ai danni delle donne nell’ultimo film di Luca Guadagnino After the hunt; le tragedie familiari in Father di Tereza Nvotova.
Certamente non sono mancati i film di puro intrattenimento come il maestoso Frankenstein di Guillermo Del Toro o The last viking di Anders Thomas Jensen o il sorprendente Motor City di Potsy Ponciroli, un film d’azione senza dialoghi.
Ma il film che ha scosso il festival è stato sicuramente The voice of Hind Rajab che racconta la tragica vicenda della bambina palestinese bloccata nel mezzo di un attacco dell’esercito israeliano e che chiede aiuto al telefono di essere salvata; un film straziante a testimonianza di una guerra in cui ogni risoluzione sembra ancora lontana ed in cui gli innocenti stanno pagando il prezzo più alto.
In conclusione, ancora una volta la Mostra di Venezia ha evidenziato un cinema ancora vivo, capace di raccontare e testimoniare il presente verso un futuro molto incerto.





