L’ampio dibattito su cattolicesimo e cultura, sviluppato lungo sei mesi sulle pagine di Avvenire e anche altrove, mi induce ad aggiungere qualche considerazione.
La situazione di chi, come me, insegna da tempo in una università statale Storia del pensiero teologico (e da alcuni anni anche Filosofia della religione) è molto felice: insegnare è già bello di per sé, particolarmente lo è quando si insegnano cose che appassionano, ancor di più lo è quando ci si accorge che questa passione è in parte contagiosa (non per merito proprio, ma delle cose stesse).
È una grande soddisfazione vedere che certi temi, certi nomi, certe pagine, certi eventi, vengono scoperti per la prima volta, come una cosa nuova mai sentita prima. In una certa misura ciò è ovvio (sarebbe ben grave se, in un corso universitario, si ripetessero solo cose già note!), in un’altra misura no, e quindi doppiamente gratificante. Certo, c’è una certa emozione nel far scoprire (puta caso) Teodoreto di Ciro o Hadewijch o Paul Tillich, ma ancora più emozionante è far scoprire (puta caso) i Vangeli o la Lettera ai Romani.
Temo però che tale emozione riveli un piccolo problema. Non dovrebbe uno studente medio universitario, indipendentemente dalle sue convinzioni personali (che peraltro io stesso raramente vengo a conoscere), conoscere con un minimo di dettaglio i Vangeli o la Lettera ai Romani?
Il catechismo e l’ora di religione
Non credo che qui porti lontano rammaricarsi dell’«atmosfera» in cui qualsiasi giovane oggi vive: certo, è vero che il sapere si trasmette anche per una sorta di osmosi, vi sono tantissime cose che conosciamo senza che sappiamo dire quando e da chi le abbiamo apprese. Ma, in questo caso, vi sono un paio di circostanze precise in cui molti giovani avrebbero potuto imparare qualcosa: l’ora di religione a scuola e il catechismo in parrocchia.
Sono moltissimi coloro che si «avvalgono» della prima, fino all’ultima classe della scuola media superiore: facendo due conti, si tratta di almeno 400 ore di lezione durante la propria vita. E sono moltissimi coloro che frequentano il catechismo per la prima comunione: qui le prassi variano, ma si possono ipotizzare almeno 60 ore distribuite su due anni (altrettante per il catechismo per la cresima, che però è notoriamente molto meno scelto).
In entrambi i casi non sarebbe giusto sottrarre dal conto come irrilevante il tempo occupato in età infantile: anzi, qualcuno potrebbe sostenere che proprio esso è il più importante (ora sto scrivendo usando anzitutto le cognizioni imparate all’età di sei anni, e ad ogni R che scrivo mi può tornare alla memoria la Rana presente nel timbro che il maestro mi stampò sul quaderno, circondata ai quattro angoli dalla R maiuscola e minuscola, corsiva e in stampatello).
Qualche tempo fa parlavo con un giovane prete e professore di liceo, che mestamente ammetteva: l’insegnamento della religione è dal punto di vista culturale un fallimento completo: tredici anni, e alla fine gli studenti non sanno niente.
Ho cercato dati in proposito, ma ne ho trovati pochissimi (per questo insegnamento non esiste nulla di paragonabile ai pur discutibili test Invalsi). Ho trovato i dati di una ricerca svolta in Lombardia nel 2010-2011, in cui risultava che gli studenti che alla fine avevano una «buona conoscenza» della religione cattolica erano tra il 20% e il 40%: un dato disastroso per chi, come me, è convinto dall’idea che, nell’insegnamento, l’obiettivo giusto è che il 90% degli studenti raggiunga un livello del 90% di padronanza.
Immagino che, a distanza di anni, la situazione non sia migliorata, e comunque il problema appare ormai di lunga data, se già alla fine degli anni Novanta Usenet poteva ospitare un’accesa polemica in merito.
Riguardo al catechismo, non esiste nessun dato comparabile: certo, la percentuale degli ammessi alla celebrazione del sacramento è il 100% (qualche eccezione approda regolarmente sui giornali come scandalosa), ma non mi risulta che tale ammissione dipenda da una verifica delle conoscenze, com’era ancora per la mia generazione.
A scanso di equivoci, non credo affatto che il problema sia negli insegnanti: ne ho conosciuti e continuo a conoscerne di coltissimi, intelligentissimi, con grande sensibilità pedagogica. Il loro percorso di formazione è esigente, molti hanno titoli superiori rispetto a quelli richiesti. Anche il loro processo di selezione è in genere rigoroso. (La mia valutazione sarebbe alquanto differenziata se, anziché degli insegnanti, si parlasse dei libri di testo: ma il discorso sarebbe lungo e preferisco non entrarvi). Per quanto riguarda i catechisti, le diocesi normalmente prevedono serie possibilità di preparazione e aggiornamento.
A scanso di ulteriori equivoci, non credo neppure che l’ora di religione sia di per sé fallimentare: il fatto che sia così ampiamente scelta testimonia, al contrario, quanto essa sia apprezzata. Poco tempo fa, avendo attraversato parecchie scuole medie superiori, sono rimasto colpito da quanto gli studenti possano amarla, fino a rispondere in coro, alla domanda su quale fosse la loro materia preferita, «religione!».
Alla scuola, che ciò piaccia o no, sono demandati oggi tanti e difficili compiti, ed evidentemente l’insegnamento della religione cattolica ne intercetta alcuni cruciali, che possono lecitamente essere ritenuti di gran lunga più importanti della conoscenza della Lettera ai Romani.
Alcuni di questi compiti, peraltro, riguardano il campo della sensibilità religiosa o spirituale in generale, altri la missione culturale della scuola (per esempio, dal punto di vista dell’interdisciplinarietà, che spesso ha proprio nell’insegnamento della religione cattolica un luogo privilegiato). Mutatis mutandis, osservazioni analoghe possono essere fatte per il catechismo.
La fede e il suo rapporto col sapere
Ciononostante, credo che qui si sfiori un punto cruciale per spiegare l’insuccesso culturale dell’ora di religione (e anche del catechismo). Certo, riconosciamo francamente che un insegnamento senza voti assume un profilo diverso agli occhi degli studenti (e riconosciamo che il catechismo non appare affatto come un insegnamento). Riconosciamo anche che la scuola ha i suoi bei problemi di efficacia non solo riguardo all’ora di religione. Ma, probabilmente, un ruolo non piccolo è giocato anche dal fatto che le questioni di fede (o di religione) non vengono oggi comunemente ritenute questioni di sapere, né questioni aventi alcun rapporto con il sapere.
In questo, una certa evoluzione del pensiero teologico cristiano del Novecento ha giocato un ruolo importante. La fede cristiana è anzitutto una forma di sapere o una forma di atteggiamento esistenziale? Molta teologia del Novecento ha preso posizione, con varie sfumature, per la seconda cosa, e questa comprensione coincide oggi in gran parte con la coscienza comune.
Un altro ridimensionamento è venuto dal versante teologico-politico: anche ammesso che nel cristianesimo vi sia una componente conoscitiva, è più importante essa o quella dell’azione? Un’importante parte della teologia del Novecento ha sostenuto un primato dell’azione: e questo, variamente interpretato, è stato anche ritenuto la sana via d’uscita nei confronti di dissensi sempre più ritenuti come puramente concettuali, o addirittura puramente verbali. Perché dare importanza alle idee che dividono, anziché al fare che accomuna, o che, perlomeno, stabilisce discrimini ben più decisivi di quelli puramente dottrinali?
Non c’è bisogno di notare quanto questa posizione, con varie sfumature, ha avuto e ha successo: e questa convinzione è certo rafforzata dal fatto che la visibilità pubblica del cattolicesimo è sempre più affidata ad istanze morali e politiche a prima vista raggiungibili da mille altre strade (per esempio l’ambiente, l’immigrazione, la pace).
Ovviamente, per ciascuno di questi punti si potrebbe fare un lungo discorso, e riconoscere che, dietro ogni ridimensionamento del sapere, si trova sempre un’esigenza giusta che (ironia della cultura!) meriterebbe di essere conosciuta, discussa, valutata.
Tuttavia (a questo volevamo arrivare) la conseguenza è che, in relazione al cristianesimo, la stragrande maggioranza delle persone non si aspetta più che vi sia qualcosa che valga la pena di essere saputo e imparato, qualunque sia il proprio atteggiamento personale nei riguardi di esso.
Il vuoto che resta
Non c’è da meravigliarsi se, in un misto di convinzione, realismo e rassegnazione, a questa non domanda corrisponda sempre più una non offerta, e che, per esempio, molti libri di testo di religione cattolica (vìolo il silenzio che mi ero imposto qualche riga fa) vengano esplicitamente presentati come un contributo al «dialogo»: non al sapere.
Un libro per adolescenti scritto sull’onda conciliare come Non di solo pane (contemporaneamente catechismo e libro di testo di religione), che, per esempio, come primi cinque autori cita Bernardo di Chiaravalle, Kant, Guardini, Camus e Dostoevskij, sembra oggi provenire da Marte. (È sicuro che un giovane o una giovane di oggi lo disprezzerebbero? Ecco una buona idea per un editore che voglia mostrare che ristampare vecchi catechismi non è necessariamente un’operazione reazionaria).
Le periodiche lamentele riguardo all’ignoranza religiosa o all’ignoranza teologica sono destinate così a cadere nel vuoto, o a sembrare addirittura cerimoniali e insincere quando formulate da chi, in effetti, qualche piccolo potere di cambiare le cose lo avrebbe sì.
Una variante sulla quale periodicamente ci si illude di ottenere maggior ascolto è quella della denuncia dell’ignoranza biblica: ma perché mai la conoscenza della Bibbia dovrebbe essere più appetibile della conoscenza della patristica, o della grande tradizione teologica (anche contemporanea), o magari della conoscenza della liturgia, o della mistica, quando ciò che appare squalificato è appunto il sapere? Non c’è da meravigliarsi che abbiano avuto effetti limitati benemerite iniziative come l’intesa tra il MIUR e l’associazione culturale laica Biblia, sottoscritta nel 2010 e poi rinnovata.
Certo, la cultura non s’identifica con un semplice sapere, e comunque vi sono cose più importanti della cultura: però è anche vero che le alternative ad essa spesso non sono affatto migliori. Come non è necessario per la propria vita leggere Giacomo Leopardi o ammirare l’opera di Michelangelo, così non è affatto indispensabile la conoscenza dei documenti fondanti del cristianesimo e dei loro criteri interpretativi, della ricchezza (e ambiguità) delle sue esperienze, dei testi e delle opere che hanno (nel bene e nel male) mediato il rapporto tra fede e civiltà.
Il problema è che il posto lasciato libero da questa conoscenza viene facilmente occupato da cose molto peggiori, o da un nulla che non è meno dannoso. Questo vale pure per i credenti: la «santa ignoranza» era un grande rischio quando Olivier Roy ne scriveva nel 2008: oggi lo è ancor più.
Da parte mia, seppure a malincuore ma generosamente, sarei pronto a rinunciare alla soddisfazione di far scoprire per la prima volta i Vangeli o la Lettera ai Romani, se questo significasse che tutti gli studenti dicessero: «Bellissimo, ma lo sappiamo già».
Il rischio in cui l’articolo permette di cadere, poiché tratta due argomenti religiosi dissimili, è quello di equiparare IRC e catechismo. In realtà se il compito del catechismo è quello di far crescere e motivare la fede, quello dell’IRC è invece strettamente culturale, cioè aiutare a interpretare e a “leggere” la storia, i monumenti, le opere letterarie, l’arte… che la presenza della Chiesa cattolica ha prodotto sul territorio italiano. Purtroppo il declino interessa tutta la scuola italiana (non solo l’IRC), ogni disciplina e materia, perché non ci sono più studenti disposti a studiare seriamente e nemmeno ci sono più genitori che facilitino il compito educativo degli insegnanti.
Ringrazio tutti coloro che sono qui intervenuti, e anche coloro che sono scritto nel gruppo Facebook «Supporto IRC/IDR», il cui amministratore ha gentilmente rilanciato questo articolo. Da parte mia aggiungo solo una considerazione: forse era prevedibile che dei due luoghi che ho chiamato in causa (l’insegnamento scolastico della religione e il catechismo) il primo attirasse maggiore attenzione. Del catechismo è stato invece opportunamente ricordato che le sue finalità sono completamente differenti. È giustissimo. Ma questo non toglie che *alcuni* dei *mezzi* siano simili: sia il lungo Direttorio catechistico del 1971, sia il più breve Direttorio generale per la catechesi del 1997, sia il recente enorme Direttorio per la catechesi del 2020, sia (per quanto riguarda l’Italia) il cosiddetto Documento di Base del 1970, sia la sua ripresa nella lettera per il quarantennale nel 2010, sottolineano, con accenti diversi, l’aspetto conoscitivo della catechesi: non è l’unico né quello principale, però vi è anche esso, in una certa misura indispensabile. Come diceva Paolo: «Come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci?». Mi chiedo appunto se qui non vi sia un problema grande. Perlomeno, una Chiesa che giustamente deplora l’analfabetismo religioso deve chiedersi se le occasioni che ha per scongiurarlo siano valorizzate, o sottoutilizzate, o addirittura controproducenti (nella misura in cui *creano* una mentalità secondo cui nel cristianesimo non c’è nulla che valga la pena di essere conosciuto seriamente).
La Religione Cattolica è un insegnamento di tipo confessionale nel contenuto e laico nelle finalità, appunto dall’ Intesa definito “nelle finalità della scuola”, che è laica. Come ogni insegnamento disciplinare parte dalle Indicazioni nazionali che fanno partire la progettazione dei vari percorsi “dai concreti bisogni formativi” degli allievi. Dalle Indicazioni, ma da ben prima, si è consapevoli che la formazione di una personalità ha una dimensione integrale che riguarda tutto della persona e tutto del mondo. Posto che la dimensione religiosa del mondo e della persona è un dato di fatto da cui non possiamo prescindere in un discorso serio, possiamo riflettere sul come “affinare” un insegnamento religioso svolto secondo i canoni che possiamo giudicare ristretti, del Cristianesimo cattolico. (Personalmente, questi ambito mi sembra vastissimo e come abbiamo riscontrato, per molti sconosciuti). Ma come poter anche solo pensare di eludere, in ambito di formazione della persona umana, dalla sfera religiosa? Quella cristiana cattolica è una affermazione storica concreta che è alla base della costruzione della nostra civiltà; potremmo allargare, ma non eliminare. Ma potremmo anche solo, pacatamente, conoscere!
Se tu vivessi in un paese islamico , poni per lavoro , e i tuoi figli andassero a scuola e dovessero frequentare l’ora di religione islamica – con tutti quelli che comporta a livello di morale – come ti sentiresti? È la cultura di quel luogo e quindi va pacatamente conosciuta ? O ti porresti il problema che magari alcuni dei loro insegnamenti stridono coi tuoi principi etici ? E magari potrebbero anche mettere in dubbio la tua dimensione sociale, culturale e religiosa ? Le popolazioni del mondo viaggiano , si spostano per studio e per lavoro e credo sia un valore se tutti si sentono rispettati : non è un “affinamento “ quello che dovremo attuare , ma un cambiamento di prospettiva ben più significativo.
In ogni caso qualsiasi cultura di un determinato territorio risulterebbe impositiva per un estraneo. Che sia la religione, un’impronta fortemente laica, un regime politico come quello presente nei paesi più o meno comunisti, anche il tubo capitalismo americano. E anche la popolazione locale non necessariamente condivide i programmi scolastici ecc. anzi nelle democrazie avanzate non si fa altro che litigare su questi argomenti, come nelle famiglie, al lavoro e nei condomini. Non è quello il motivo per cui l’ora di religione andrebbe tolta. Andrebbe tolta perché la teologia attuale è in crisi, è in crisi il cristianesimo, e la cultura umanistica in generale. Se non hai un minimo di riferimenti comuni è del tutto inutile.
Bell’articolo
Questo nostro ‘modello’ italiano di fare ‘religione’ a scuola reggerà ancora a lungo? Ho seri dubbi. Là dove non arriverà la volontà di riforma, arriverà prima ancora la realtà dei numeri e la percezione collettiva dell’IRC: non interessa gli italiani… nella misura nella quale non interessa nemmeno più la questione religiosa. Tra i nati dopo il 1980 mettono piede in chiesa la domenica il 7% (cioè il 93% degli italiani nati dopo il 1980 non ha alcun interesse per la religione Istituzionalizzata.. inchiesta de Il Regno presentata a Camaldoli qualche anno fa, forse l’anno scorso se non erro). L’ora di religione è ormai puro folklore… una roba ‘macchiettistica’. Il grosso dei docenti è preparato, serio… ma il contorno, la percezione collettiva… è da commedia. Ed è proprio questo a danneggiare il sapere religioso in generale: avendo relegato all’IRC il compito di portare la cultura religiosa nella scuola italiana… ed essendo questo ormai completamente svilito e reso ‘comico’ (da mille fattori… la mancanza di voto, il giudizio che non fa media alcuna, la presenza dell’IdR all’esame di terza come una sorta di convitato di pietra inutile…)… di riflesso il sapere religioso viene percepito come ‘facoltativo’, inutile… ‘tanto è roba che fa l’insegnante di religione… che importanza può avere?’. Riformare l’IRC potrebbe essere una soluzione seria per salvaguardare proprio la cultura religiosa… gli IdR sono sprovvisti di armi ed entrano in classe da soli, senza alcuna autorità (tantè che l’alunno esonerato può preferire all’IRC uscire dalla scuola per andarsi a fare un cappuccino al bar…bella roba)…. dare all’IRC uno spessore scolastico diverso, profondo, ecumenico… obbligatorio, affidarlo allo Stato completamente (quindi laico per davvero e con cambiamenti significativi)… ma significherebbe ‘perdere un potere’ per la Chiesa Cattolica.. cederlo… roba difficile. Comunque senza cambiamenti volontari… arriveranno quelli obbligatori per la natura stessa della Storia che certo non attende… il piano è inclinato e la pallina scivola… lo si voglia oppure no.
Si ma in altri paesi dove hanno modelli diversi come sono messi? Ad esempio Germania ecc. Sia l’ondata di secolarizzazione sia eventuali fondamentalismi di ritorno vanno per i fatti loro, sono entrambi figli del postmoderno.
Nella scuola pubblica di uno stato laico l’ora di religione non deve esistere, così come non devono esistere i simboli di una religione. Chi vuole la religione e i suoi simboli in classe mandi i figli nelle scuole gestite da religiosi, ma non imponga la sua fede, oltre che ai propri figli (che dovrebbero comunque essere lasciati liberi di scegliere da adulti), anche ai figli di chi non si riconosce in quella religione.
Ma, guardi… la vedrei in modo pragmatico: sempre in meno seguono l’ora di religione, è un fatto. Sempre più le nostre classi sono multietniche e come tali devono essere curate. La spesa annua per portare avanti l’istituto, per paradosso, non cala al calare dei discenti, ma aumenta, arrivando ad 859 milioni di euro nel 2024, quasi un miliardo. L’OdR è, in ogni caso, valutata dai discenti come irrilevante, tanto vale anche per la maggior parte dei colleghi docenti dell’IdR; sfido, purtroppo, a sostenere il contrario. Ciò non perché gli IdR siano incompetenti o debosciati, i discenti sciocchi, i colleghi malevoli, ma perché l’Istituto è ormai fuori contesto. La sua origine come sappiamo è ottocentesca, poi consolidata in epoca moderna dal Concordato e dai ben noti Patti Lateranensi, val la pena di ricordare di matrice fascista. E’ passato quasi un secolo. Vi sembra possibile immaginare di persistere. Personalmente credo che con quel quasi miliardo di euro di cui prima, si potrebbero mettere in sicurezza molti edifici scolastici od efficientarli. Mi pare, anche qui opinione personale, che quel miliardo di euro sia sostanzialmente una “marchetta” che ha una motivazione politica, piuttosto che rappresentare una vera dimensione culturale o sociale. Sarebbe come inserire per legge, pervicacemente, l’insegnamento della guida delle carrozze nelle scuole primarie e secondarie; sarebbe affascinante per alcuni, non per altri, per alcuni forse utile (magari ne faranno una professione); per la stragrande maggioranza, però, sarà inutile, per la collettività saranno risorse buttate, quindi un danno, al limite di quello erariale.
L’articolo adotta una prospettiva positiva, mostrando il “bicchiere mezzo pieno”, e per questo mi trovo d’accordo: c’è sempre un raggio di luce che squarcia il velo delle nuvole! ma la situazione attuale sembra essere davvero drammatica. Riguardo all’ora di religione, a mio parere, per approfondire l’argomento, sarebbe utile che noi cattolici rispondessimo a una domanda, forse un po’ provocatoria: perché ancora oggi l’ora di religione (per la quale, tengo a precisare, sono favorevole)? Per il sapere (in questo caso, sarebbe opportuno estendere la conoscenza a tutte le religioni, almeno a quelle più rilevanti, con la possibilità di avere anche docenti di religione non cattolica)? Per la ‘buona azione’? Per formare-proporre ai giovani, un modello di vita evangelica, dove i docenti testimoniano, attraverso il loro lavoro, il mistero di Gesù morto e risorto, anche nei luoghi del quotidiano, fuori dagli ambienti di culto (ormai poco frequentati!), al fine di “costruire” una società migliore? Per altri motivi…? Onestamente, non saprei rispondere… dipende da cosa si vuole fare … . Certamente, l’ora di religione, così com’è concepita oggi, è priva di senso, fuori tempo. Sono convinto che a partire dalla risposta potremmo individuare diversi elementi che ci aiuterebbero a comprendere le ragioni dei “fallimenti” e magari a trovare soluzioni pastorali, sociali e, perché no, politiche da mettere in atto.
L’ora di religione, di cui ho esperienza sia come studente che come madre , mi pare un totale fallimento. È sempre stata un’ora per ripassare per la verifica dell’ora dopo , in totale disinteresse per ciò che viene detto. Se poi è la prima o l’ultima ora della giornata si salta a piè pari . Guardate il trend di adesione all’ora di religione alle superiori: mi pare in calo costante . Sarebbe più dignitoso per la chiesa cattolica rinunciare a mantenere in piedi quell’ufficio di collocamento privato pagato con soldi pubblici che è l’ora di religione . Tanto non è quell’ora che cambierà le sorti del disinteresse dei giovani per la cultura religiosa , anzi , una sana curiosità autonomamente sviluppata mi pare assai più sana e produttiva. Inoltre la società europea è sempre più multiculturale, fino a quando pensiamo di poter monopolizzare la “cultura religiosa” dei giovani in chiave cattolica ? Ci sono due strade in Europa : una è la scelta della Francia – la religione resta fuori dalla scuola – l’altra è la scelta della Germania – insegnanti di religione formato dalle università pubbliche / fra diverse denominazioni cristiane e non . Il monopolio italiano non può reggere nel breve/ medio periodo.
Egregia signora, capisco cosa dice. La normativa sull’ora di religione c’è. Se poi docenti e presidi soprattutto (dato che parla di collocazione oraria) la interpretano a modo loro è un altro discorso. Ripeto se ci sono colleghi che non fanno niente e prendono lo stipendio lo stesso sono loro il problema e non l’ora di religione.
Il punto, a mio vedere, non è tra insegnanti che fanno bene o meno bene il loro lavoro, piuttosto nel fatto che l’Istituto è anacronistico, va quanto meno riformato. L’ora di religione, per come è ancora generalmente intesa, se non altro nella concezione comune, vorrebbe, tra detto e non detto, adiuvare la “propagazione” della religione cattolica come religione di stato. Purtroppo questa via non è più percorribile ed accettata, per tanti motivi. Sono d’accordo con Chiara. O l’Istituto si rimuove totalmente andando incontro ad una posizione pienamente laica, oppure si deve riformare profondamente per far sì che quell’ora e quella risorsa pubblica, che tutti paghiamo, anche chi cattolico non è e paga le tasse nel paese, sia dedicata non ad orientare verso una religione di stato, quale che sia, quanto piuttosto ad orientare generalmente verso la spiritutalità, cosa molto importante. Quest’ultima opzione, che personalmente preferirei, non può certo esser portata avanti esclusivamente dagli attuali profili professionali, maturati attraverso i percorsi di accreditamento canonici degli istituti superiori di scienze religiose o altre realtà sui generis. Per dirla in altri termini ci vorrebbero figure che affrontino il tema in modo storico, filosofico, antropologico, sociologico, cosa che non mi pare gli attuali insegnanti abbiano mediamente la competenza necessaria e sufficiente per poterlo fare. Servono percorsi appositi di formazione; non ci si può affidare alla bravura, premura, apertura mentale del singolo.
Mi scusi Fabio ma il catechismo a cosa serve se non a creare una spiritualità solida del cristiano credente e praticante? Quello che dice lei ha il sapore di una specie di percorso semi o para-psicologico e in alcune scuole ci sono. Ma poi la famiglia che educa alla spiritualità dove è in questa visione?
Buongiorno, Fabio. Anzitutto grazie per il suo modo garbato. Il punto, a mio vedere, ma credo a vedere di tanti altri, è proprio da lei ben richiamato: l’ora di religione non deve avere una funzione catechetica. Non può essere uno strumento di indottrinamento cattolico, manifestamente o velatamente. I propositi anacronisctici con i quali fu istituita, devono cambiare. L’ora di religione, per come è concepita ora, è uno dei tanti puntelli ormai logori di una Chiesa declinante. Bisogna cambiare. La scuola di stato deve essere laica; questo non toglie debba, ancora una volta a mio vedere, provvedere ad aprire gli occhi sul tema della spiritualità, senza la quale l’uomo è misero. In questo punto non concordo con l’approccio francese, che sembra piuttosto voler rifuggire qualsiasi dinamica non pragmaticamente materiale. Di spiritualità che valga la pena di approfondire non c’è solo la nostra; per chi nasce in Europa è certamente fondamentale, anche banalmente per motivi di derivazione culturale, conoscere la spiritualità del proprio luogo, quindi principalmente quella cristiana tout court, ma è forse opportuno uscire dall’orticello di casa e farlo in modo strutturato, tanto da evitare che ciascuno, in ogni caso, vuoi per curiosità, desiderio di sperimentare, ricerca di risposte che la Cheisa cattolica non dà, si arrangi da sé e magari lo faccia maldestramente affidandosi a ciarlatani.
Egregio signore , non mi pare di avere parlato solo di collocazione oraria o di contenuti delle lezioni , ma – come ben ha chiarito il signore dell’ intervento seguente – di motivazioni di fondo che dovrebbero portarci a rivedere tutto l’impianto dell’ora di religione : formazione pubblica certificata e multiculturale, incarico ministeriale ( e non diocesano ) , materie alternative eventuali . Mi permetto inoltre di rilevare che in una città come Bologna il 28% degli studenti non si avvale più della religione cattolica e il trend è in crescita .. esprimo solo l’augurio che qualcosa cambi prima che i dati di fatto ci obblighino ad una “riforma” .
Egregia Chiara ed egregio Fabio, comprendo molto bene cosa dite. Ma voi avete in mente come l’ora di religione veniva fatta tempo fa. Dal 2007 ci sono indicazioni ministeriali precise che ci invitano a pensarla in modo diverso da un’altra catechesi. Io parlo dell’Islam, per esempio (se volete potete vedere il mio canale YouTube). Se ci sono docenti che fanno quello che non deve essere fatto è un’altra storia. Vi inviterei a vedere il curriculum studiorum attuale dove si dà spazio alle altre tradizioni religiose. Purtroppo tanto, a mio avviso troppo, è affidato alla bontà del singolo docente!
Egregio Sig Cittadini , i miei figli hanno terminato la scuola superiore non più di cinque anni fa e le assicuro che ho esperienze fresche post 2007 . E ciò nulla toglie alla desolazione e al fallimento sostanziale di tale materia , non sempre è solo per “colpa” dei professori, ma anche e soprattutto per il clima culturale che è cambiato e ci impone un ripensamento su formazione pubblica multiculturale + incarico ministeriale + materie alternative per chi non crede .
Alla fine penso che l’ora di religione vada abbandonata, chi vuole si informa e chi non vuole amen. Tanto se prendi 10 cattolici trovi 20 opinioni diverse. Fortunati noi che abbiamo vissuto una stagione tutto sommato straordinaria, è finita e pazienza, non credo che qualche dibattito sporadico o qualche ora di costrizione scolastica possa portare giovamento.
L’analisi del prof. Salmeri mette in luce, con la solita lucidità dell’autore, la radice di tanti problemi del cattolicesimo contemporaneo. Sembra di assistere all’affermazione di un cristianesimo a intermittenza in cui quello che una volta era il «credente» oggi pare essere piuttosto solo un «agente». Con il terminare dell’azione termina anche il (vago?) sentimento cristiano che l’ha animata! È tramontato il tempo dei dibattiti tra la Hack e Zenti: la partita non si gioca più sul campo delle convinzioni interiori (di qualunque livello), ma solo su quello del tesseramento. Insomma, non importa quello che credo, ma solo con quale associazione di volontariato mi trovo a collaborare! Ancor prima del sapere teologico, la chiesa (con la lettera minuscola) ha rinunciato al sapere umanistico. Quanti sono i preti che possono dire di posare abitualmente le loro mani sul Rocci (SJ)? Non è certo nostalgia o inutile indietrismo: è invece la convinzione di poter aiutare l’uomo solo conoscendolo, e di potergli indicare una direzione, anche di senso, solo sapendo da dove egli proviene.
Concordo in parte. Rimane il fatto che c’è un problema culturale (anche dei preti che in seminario studiano o dovrebbe studiare!) ad ampio livello!
Nella lettura sembrano che non si tengano conto di alcuni aspetti. Vado per punti.
1) Il catechismo non è l’ora di religione e viceversa. Hanno finalità completamente differenti. Inoltre c’è anche la pastorale giovanile, ci sono gli oratori, i movimenti, ci sono corsi biblici, scuole della parola.
2) L’ora di religione è una a settimana e la programmazione, secondo le indicazioni nazionali ministeriali è vastissima. In più, purtroppo, molti colleghi svendono la materia con v8sione di film o altro in modo tale da avere le classi l’anno successivo perché tanto “non si fa niente”. Infine non c’è un voto per cui gli studenti non si impegnano come nelle altre materie.
3) In famiglia di certe tematiche non si parla. Non tutto può la scuola o la parrocchia.
Il problema è un problema di carattere culturale. Siamo un Paese che sta scivolando verso un analbetismo e non se ne parla anche perché, se uno non fa l’ora di religione, a scuola ci sono altre materie che vuoi o non vuoi hanno a che fare con la religione (storia dell’arte, italiano, filosofia, storia per citarne alcune).