
Questi primi decenni del XXI secolo, pur di fronte a problemi inediti che hanno bisogno di nuovi strumenti per essere colti con tutto il loro portato di eventi di verità e che vedono a tal fine impegnate su diversi fronti le varie comunità pensanti, non ci esimono dal fare debitamente i conti con vicende e figure del secolo scorso che lo hanno contrassegnato profondamente e che ancora possono rappresentare dei punti riferimento per affrontare cruciali questioni del mondo odierno.
Anche un’operazione del genere comporta inevitabilmente dei rischi di natura interpretativa, diventa in alcuni casi più che mai necessario farla specialmente quando ci si trova di fronte a quello che è stato definito, per analogia con casi simili, il «Caso Teilhard de Chardin», per una serie di controversie legate al suo essere stato insieme uomo di fede e savant nel campo della paleontologia, disciplina diventata in questi ultimi tempi sempre più strategica per comprendere la storia e le origini dell’Homo con le sue diverse ramificazioni.
Diverse sono le ragioni che già, da quando era in vita il gesuita e scienziato Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955), hanno portato diverse generazioni di studiosi e non solo, sia credenti che laici come, ad esempio, Boris Pasternak che lo considerava «il più importante, il più vicino, il più intimo», a confrontarsi con le sue idee e soprattutto con l’esperienza della sua vita, in fin dei conti poi quella decisiva.
Una delle ragioni di fondo sta sicuramente nel fatto che Teilhard ha «incarnato due anime», tenendole per tutta la vita intrecciate senza cedere: quella di dover «andare al cielo con… tutto il gusto della Terra», con la profonda convinzione «che non ci sia per la vita religiosa nutrimento naturale più potente del contatto con le realtà scientifiche ben comprese», come scriveva in uno dei testi di natura filosofica e teologica, molti dei quali usciti postumi, ma che già circolavano dagli anni Trenta sino a creare diverse ondate di «teilhardismo».
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Per spiegarci il percorso di una delle figure più affascinanti e complesse del XX secolo e alcune delle ragioni che hanno portato «questo sacerdote, spesso incompreso», oggetto di un Monitum nel 1962 da parte dell’allora Sant’Uffizio e nello stesso tempo preso in considerazione da vari pontefici (La Laudato si’ nella visione di P. Teilhard de Chardin, 7 dicembre 2019), a essere stato ed essere ancora al centro dell’attenzione, ci viene in aiuto il recente lavoro di Mercè Prats, Pierre Teilhard de Chardin. Una biografia, con prefazione del Cardinale José Tolentino de Mendonça (LEV, Città del Vaticano 2025).
Nella ricca letteratura critica, va segnalato il fatto che l’autrice si distingue nel portare a termine un lavoro sulla ricezione del pensiero di Teilhard avvenuta in vari ambienti, e soprattutto nella cultura francese degli anni Trenta-Cinquanta, sino a provocare quello che lei chiama «lo tsumani del teilhardismo», causa non secondaria che portò al Monitum, come l’autrice mostra in Le Teilhardisme. Réception, Adoptions et Travestissement de la pensée de Pierre Teilhard de Chardin (1955-1968) (sua tesi di dottorato in corso di pubblicazione).
Inoltre, Prats ha approfondito le sue ricerche consultando numerosi archivi in vari Paesi, compreso quello sul Pontificato di Pio XII, aperto solo nel 2020, e la ricca corrispondenza, «fonte di primaria importanza» strategica per mettere in piedi «una biografia» e per avere una visione d’insieme: una vera e propria «scommessa», ma necessaria per «portare alla luce il personaggio, sepolto sotto tutti gli strati di commenti che si sono sovrapposti per decenni».
Un primo e non secondario risultato che Mercè Prats ci mette davanti, nel ripercorrere i momenti salienti del vita dello scienziato-teologo con le sue varie vicissitudini dall’esperienza del primo conflitto mondiale ai lavori di scavo in Asia ed in Cina, dalle prime incomprensioni con i superiori al non pubblicare le riflessioni teologiche per obbedienza in quanto già sotto costante controllo delle autorità vaticane, è quello di offrire un non comune panorama della situazione culturale francese dopo «la crisi modernista» dei primi decenni del secolo scorso.
Era allora in atto un serrato dibattito tra scienza e religione e si riteneva necessaria «una svolta» in tale campo dove gli stessi gesuiti erano impegnati col fondare nel 1910 la Recherches de Science Religieuse. In tale ricco clima di stimoli si formò il giovane Teilhard, stimolato anche dall’interesse del padre per la storia naturale, col trovare durante gli studi filosofici presso i gesuiti, come dice in una lettera ai genitori del 1903, gli elementi per studiare «le spiegazioni del mondo», che sono quelle che lo affascinano di più anche perché le scienze naturali in quel periodo stavano attraversando un periodo denso di nuove scoperte.
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Mercè Prats segue Teilhard nelle prime esperienze sul campo grazie al «decisivo incontro» col botanico e algologo Ferdinand van Heurck, nell’insegnamento in Egitto come professore di scienze, nelle prime scoperte nel deserto di pesce fossilizzato e di nuove varietà e con l’inizio della sua collaborazione col Museo di Storia naturale. Ma già nel giovane Teilhard emergono i pilastri del pensiero successivo come quelli che chiama «primo sotto delle cose che è l’organizzazione della materia» ed «energie della terra», in occasione della stesura di un articolo per la rivista dei gesuiti Études nel 1911 sulla questione dei miracoli di Lourdes.
Tale approccio viene potenziato dalla lettura del fondamentale testo del 1907 di Bergson L’evoluzione creatrice e dal fatto che gli viene affidato, sempre nel 1911, il compito di redigere un articolo Homme per il Dictionnaire apologétique de la foi catholique, dove si dice che l’uomo è «cresciuto nel mondo, più che esservi stato innestato» per una serie di condizioni dettate «dall’insieme delle leggi fisiche e biologiche». In tal modo si ritengono contestualmente accettabili i postulati della concezione evoluzionistica che «fa emergere l’Uomo da una forza generatrice immanente al mondo», temi che per Prats contengono «in germe, la tematica del posto dell’uomo nella natura», centrale ne Il fenomeno umano, opera poi concepita nel «pensatoio di Pechino».
Dopo la tragica esperienza al fronte nel primo conflitto mondiale, si rivela decisiva l’esperienza sul campo come «apprendista paelontologo» sia in Europa in Inghilterra nella “culla dell’Uomo di Piltdown» ed esploratore poi in Cina dal 1923 a Tientsin con relativi viaggi, missioni scientifiche e scavi. Seguono le analisi di laboratorio per verificare i fossili trovati ed in particolare un cranio, le cui ricerche vengono condotte in collaborazione con un eminente paleontologo come George Barbour grazie alla Fondazione Rockefeller col dare insieme vita al cosiddetto Sinanthropus pekinensis, evento che per Prats fu un vero e proprio «sasso nello stagno… teologico».
Già Teilhard, per un articolo nel 1931, Lo Spirito della Terra, era sotto controllo per le sue idee in quanto, essendo già uno scienziato famoso, non si era limitato a fare solo ricerche scientifiche, come gli era stato chiesto da padre Agostino Gemelli il quale, nel prendere in esame altri articoli teilhardiani apparsi nella Revue de Questions Scientifiques sul trasformismo, ne vedeva la parentela con le idee Eduard Le Roy, già condannate.
Sempre dalle lettere di quegli anni, e dall’articolo su Le phénomène humain (1930), emerge un atteggiamento non più difensivo ma di conquista di un nuovo modo apologetico di impostare il problema dei rapporti tra scienza e fede, nel sostenere che «il disaccordo tra scienza e fede è solo provvisorio». Teilhard ribadisce, infatti, con forza che il credente «non ha da ricercare, con pazienza e fiducia, sui due versanti. Tra il suo Credo e la conoscenza umana, la fede gli garantisce che non potrà esserci contraddizione». Allo stesso tempo, egli invita il credente ad avere una visione unitaria del mondo, del cosmo e della vita come realtà in continua evoluzione, in quanto dotate di una sempre maggiore complessità da cogliere sia con l’esperienza scientifica sia con la fede per «non mentire» sulla loro realtà, come negli stessi anni e da una prospettiva diversa invitava a fare Simone Weil.
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In occasione della volontà di Pio XI di creare un’apposita accademia delle scienze e così «rinnovare l’antica Accademia dei Lincei» con lo «smarcarsi dall’Accademia d’Italia, organo della rivoluzione culturale fascista», viene istituita nel 1936 la Pontificia Accademia delle Scienze con una lista di membri. Padre Gemelli ritenne che Teilhard poteva trovare un posto come scienziato che non rinnega la fede, ma dato che la paleontologia come scienza che studia le origini non poteva avere uno spazio adeguato cancella con un «no» secco il suo nome.
Mercè Prats, oltre a segnalare questo fatto, segue Teilhard tra i vari «sospetti» sollevatisi nei suoi confronti, come negli USA, ad esempio, e nei viaggi successivi, e poi negli anni passati in Cina tra il 1939 ed il 1946. Si sofferma sulla ferma volontà di pubblicare Il fenomeno umano, lavoro definito dallo stesso gesuita «mezzo scientifico mezzo filosofico, in cui ho messo tutta la sostanza delle mie idee più care», sulle dense attività all’interno dell’Istituto di Geobiologia a Pechino visitato da un flusso continuo di visitatori, diventato quasi «l’esercizio del suo apostolato» mentre i suoi superiori non vi vedevano altro «che mondanità».
Una parte della ricostruzione della sua vita si concentra sul ritorno a Parigi, nel 1946, sugli ulteriori sforzi per pubblicare Il fenomeno umano, nella cui avvertenza si sottolinea che non è «un saggio teologico, ma esclusivamente una memoria scientifica», anche se un suo superiore gli fa notare che le questioni trattate riguardano «l’interpretazione dei risultati generali della scienza» tanto da rendere alquanto difficile separare «il territorio dello scienziato» da quello del «filosofo».
Particolare attenzione viene riservata da Prats «all’ondata anti-teilhardiana a Roma» negli anni Cinquanta, con le prese di posizione dello stesso Osservatore Romano che, pur riconoscendo le competenze nel campo della paleontologia, evidenziavano «oscurità e ambiguità pericolose», col diventare così un vero e proprio avvertimento che fece entrare Teilhard nel «mirino del Sant’Uffizio».
Molto pertinente si rivela, nel volume, la presa in considerazione degli anni passati negli USA, il «Paese degli australopitechi», dove grazie alla Fondazione Wenner-Gren partecipa a ulteriori viaggi esplorativi e organizza una serie di convegni sui «cambiamenti introdotti dall’uomo sulla faccia della Terra», sedendo in uno di questi accanto a Niels Bohr e quasi perfezionando il suo particolare metodo di «vedere nel reale quello che sta al di là del visibile». L’autrice riserva una particolare attenzione anche alla Francia, definita da Teilhard il «Paese dell’invenzione religiosa» in una lettera del 1954, per la nascita di alcune esperienze come la vicenda dei preti operai, esperienze ecumeniche varie, l’Espérance chrétienne.
La morte lo coglie il 10 aprile del 1955, domenica di Pasqua, evento desiderato spesso e predetto, come quando davanti ad amici e parenti aveva affermato: «Mi piacerebbe morire nel giorno della Resurrezione». Subito dopo la sua morte «si abbatte sulla Francia un’ondata di teilhardismo», quando le sue opere iniziano a essere pubblicate con «riletture differenti», dove in un primo momento si sottolinea il forte ruolo assegnato all’uomo nell’essere «asse e freccia dell’evoluzione», oltre alla nascita di varie iniziative ispirate al suo pensiero.
Dopo un periodo di appannamento del suo pensiero, nei primi decenni del nostro secolo il «teilhardismo viene ufficialmente inserito come soggetto di tesi di storia contemporanea» sino a entrare, insieme a Romano Guardini, nella Laudato si’. Nel 2023 viene inaugurato a Parigi, il «Centre Teilhard de Chardin» in quanto molte delle problematiche affrontate dal gesuita francese «fanno ritorno nel XXI secolo con rinnovata forza» come, da una parte, il posto dell’uomo nella natura e «in seno» ad essa; e, dall’altra, col diventare il suo percorso «il simbolo di una possibile riconciliazione tra scienza e fede», obiettivo su cui convergono in questi ultimi tempi diverse iniziative in alcune Facoltà Pontificie (Documentazione Interdisciplinare di Scienza e Fede; Master biennale in Scienza e Fede) e in vari gruppi su Scienza e Religione nell’ambito degli studi teologici in area protestante (Quando cosmologia ed escatologia si incontrano, 9 dicembre 2021).
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Il lavoro di Mercè Prats non è solo una miniera di informazioni biografiche di prima mano, ma si presenta come un riuscito tentativo di dare uno sguardo di insieme alle vicende della vita di uno scienziato al lavoro e di uomo di fede, facendo i conti, al di là delle molte interpretazioni, con un autentico percorso di vita che può essere d’aiuto per chi cerca un equilibrio tra dimensioni umane che se non ben comprese e armonizzate possono degenerare su posizioni antitetiche col produrre profonde lacerazioni.
Nello stesso tempo la lettura che ci viene offerta, come afferma nella prefazione il card. Tolentino de Mendonça, è un modo per interrogare tale figura di «gesuita, paleontologo e mistico… alla luce delle sfide del mondo contemporaneo» e di farla «dialogare con temi attuali, come la crisi ecologica, la globalizzazione e la ricerca di un significato spirituale nell’era tecnologica». In tal modo, Pierre Teilhard de Chardin viene reso un indispensabile compagno di viaggio per orientarci nell’ipercomplessità della situazione odierna e per costruire insieme una «nuova Paideia», nel senso di Edgar Morin e Mauro Ceruti, tesa a gettare le basi di un rinnovato umanesimo più capace di cogliere le istanze profonde dell’uomo di oggi e di coniugarle criticamente senza escluderne alcuna.
Mercè Prats, Pierre Teilhard de Chardin. Una biografia, LEV, Citta del Vaticano 2025. La recensione pubblicata sulla rivista digitale Odysseo, il 26 giugno 2025





