
Il filosofo Vittorio Possenti presenta il volume di Giuseppe Savagnone dedicato al pensiero di Tommaso d’Aquino a ottocento anni dalla nascita (Lo stupore dell’essere. Il pensiero alternativo di Tommaso d’Aquino). «Nella “civiltà della Tecnica” in cui siamo immersi fino al collo, col palpabile rischio di essere da essa soverchiati, il pensiero dell’Aquinate rappresenta l’oltrepassamento di tutte le chiusure cui spesso ci inchiniamo e una rivendicazione della dignità umana: non siamo solo soggetti di consumo o oggetti di manipolazione tecnica. Anche per questo la sua “filosofia dell’essere e dell’uomo” è in potenza attiva verso il futuro. Il libro di Savagnone lo mostra con persuasiva chiarezza» (Avvenire, 28 maggio 2025).
Luce alta sui monti e stella orientatrice del cammino della Chiesa e dei popoli è stato ed è il pensiero di san Tommaso d’Aquino, di cui in quest’anno giubilare ricorre l’800° anniversario della nascita: 1225-2025. Egli è stato dalla Chiesa chiamato in vari modi: Doctor Angelicus, Doctor Communis, Doctor Humanitatis, ecc. Giovanni Paolo II nel discorso all’UNESCO (giugno 1980) lo indicò come uno dei più grandi geni del cristianesimo, non solo teologo ma pure filosofo.
Da quasi due secoli e con alterne vicende il Tommaso filosofo e metafisico è ritornato ad essere meditato, sia pure fiocamente, dai filosofi che cercano sin dai tempi più lontani la verità dell’essere. Dico fiocamente in quanto rimane in una parte della cultura, forse però in declino, una diffidenza quasi sprezzante per il Medioevo e per l’Aquinate, in specie nell’area continentale, e in minor misura in ambito anglosassone.
Dodici conversazioni
Meditare sull’essere, la vita, Dio, l’uomo e la verità fu il suo itinerario, mosso dallo stupore e dalla sete di conoscenza; coloro che anche oggi lo seguono provano lo stesso sentimento. Un bel libro di Giuseppe Savagnone (Lo stupore dell’essere. Il pensiero alternativo di Tommaso d’Aquino, Marcianum Press, pagine 280, euro 23,00) invita il lettore a percorrere un cammino simile al suo. Savagnone incontrò il pensiero di Tommaso quando era giovane, trovandovi «una chiave di lettura della realtà alternativa alle mode culturali che oggi dominano la scena», e un vivaio inesauribile di itinerari.
Il libro si compone di dodici conversazioni che, partendo dalla situazione culturale del giovane Tommaso (1240 e oltre), descrivono il suo stile di pensiero e la ricerca, anche filosofica, vissuta come la compenetrazione tra ricerca intellettuale e ricerca spirituale, in cui hanno parte l’intelletto, la volontà e il cuore. Chi filosofa con tutto sé stesso non è semplicemente assimilabile all’esperto accademico che dispensa saperi specializzati.
Le dodici conversazioni concernono le questioni massime di una filosofia che si volge a tutta la realtà, senza operare esclusioni preliminari, tra cui frequente quella relativa alla trascendenza: un rapporto positivo tra ragione e fede, la scoperta dell’essere e delle sue leggi, l’esistenza di Dio, la creazione, l’identità della persona umana, il fascino del bene e le domande sull’amore. Nel percorso dell’autore si avvertono la meraviglia, la gratitudine, la responsabilità dinanzi all’essere e alla vita di cui fu testimone l’Aquinate.
L’esposizione si dipana entro un costante riferimento ai suoi testi, ampiamente citati per offrire al lettore un appoggio di verifica e di ricerche ulteriori, e con il ricorso a pensatori contemporanei che osservano la condizione umana. Il cammino è necessario per distinguere il pensiero di Tommaso da quello di Aristotele. Certamente il primo conobbe e commentò a fondo l’opus aristotelico, ma non fu un aristotelico in più, perché oltrepassò l’aristotelismo in nuclei essenziali. Il testo ricorda i punti su cui Tommaso segue Aristotele non meno di quelli in cui va oltre. Da molti decenni numerosi studiosi hanno notato che la formula “filosofia aristotelico-tomista”, a lungo in auge, emette un suono non genuino e dovrebbe essere posta da parte.
Un antidoto contro le riduzioni dell’umano
In certo modo il nucleo primario dell’esposizione di Savagnone riguarda il rapporto del soggetto con la realtà: qui Tommaso non fu né un cartesiano né un hegeliano o un’idealista ante litteram. Egli afferma il primato del piano reale dove vivono ed operano solo gli enti reali, gli individui e le sostanze individuali.
L’Aquinate aborre dall’assumere che il piano reale sia quello delle Idee, di modo che l’approccio alla realtà diventa essenzialmente logico. Il reale non è una deduzione dell’idea, ma è la cosa stessa da cui si deve partire, e il reale è composto di individui concreti. Non si può modellare il mondo concreto sul pensiero; occorre viceversa prendere le mosse dal mondo di vita, dagli enti che si danno e che stupiscono.
Tommaso non poteva prevedere che una parte più che consistente della filosofia moderna avrebbe preso la via senza uscita del primato dell’idea e della deduzione dell’esistenza dall’essenza, ossia la schematizzazione logica del Tutto. Ci ha però fornito gli strumenti essenziali per rigettare l’identità hegeliana di Logica e di Metafisica. Bisogna dimenticarsi di sé e delle categorie a priori quando ci si confronta con l’oggetto. Questo è ciò che ci sta dinanzi e con cui occorre fare i conti. Allontanare il proprio narcisismo e lasciare il campo ad un «puro guardare»: nel nostro connaturale desiderio di conoscere il primato compete perciò all’ente e all’essere che dovunque ci circondano.
Proprio su questi aspetti spicca il contributo preziosissimo dell’Aquinate che contemplando le cose e il cosmo, intende che una corrente universale di vita e di esistenza percorre il tutto. Il suo fu un esistenzialismo metafisico: la grande scoperta dell’atto d’essere (actus essendi) che vivifica dall’interno ogni esistente concreto. Siamo così posti dinanzi alla questione di Dio quale esse ipsum per se subsistens che è causa di tutto l’essere diveniente. Dio abbraccia tutto e niente lo può abbracciare.
La cultura tardo moderna e contemporanea manifesta in genere una considerevole indifferenza verso Dio, già notata da Nietzsche. Nella «civiltà della Tecnica» in cui siamo immersi fino al collo, col palpabile rischio di essere da essa soverchiati, il pensiero dell’Aquinate rappresenta l’oltrepassamento di tutte le chiusure cui spesso ci inchiniamo e una rivendicazione della dignità umana: non siamo solo soggetti di consumo o oggetti di manipolazione tecnica.
Anche per questo la sua «filosofia dell’essere e dell’uomo» è in potenza attiva verso il futuro. Il libro di Savagnone lo mostra con persuasiva chiarezza.






Le osservazioni di Fabrizio Mastrofini riguardano anche il libro di cui sono autore e ritengo perciò che due mie riflessioni possano essere utili al confronto, senza pretndere di chiuderlo. La prima riguarda l’affermazione secondo cui non sarebbe corretto paragonare due filosofi, distantissimi nel tempo, con la pretesa di trovare nel più antico gli strumenti per confutare quello più moderno. Sicuramente sarebbe ancronistico estrrapolare le teorie dei diversi filosofi dal loro contsto storico. Ma in una filosofia ci sono concezioni che vanno al di là della loro collocazione in un dato tempo e in un dato ambienete, perchè esprimono un possibile approccio alla realtà da parte dello spirito umano, e si prestano a ripresetarsi, in forme nuove, in epoche e contesto storci successivi e differenti. A questo livello teoretico, confrontare due autori come Tommaso ed Hegel – senza perdere di vista le loro peculiari collocazioni storiche – su temi di fondo, come il rapporto tra il nostro pensiero e la realtà, non solo non mi sembra scorretto, ma è indispensabile per capire il senso più profondo delle loro tesi. Lo hanno fatto, del resto, tutti i pensatori, a cominciare dallo stesso Hegel, che ha concepito tutto il suo sistema a partire dal confronto critico con le filosofie precendenti. Da qui la seconda osservazione. Se è vero che in una impostazione filosofica del passato ci sono elementi che esprimono qualcosa di vero, riguardante la realtà – del mondo, dell’uomo, di Dio – , essa può essere con frutto riproposta anche oggi, ovviamente non pretendendo di assumerla nella forma che storicamente ha avuto in passato, ma nell’anima di verità che è valida anche nel nostro presente.
Sottolineo due aspetti. Il primo. Scrive Possenti che Tommaso: “Ci ha però fornito gli strumenti essenziali per rigettare l’identità hegeliana di Logica e di Metafisica”. Capisco che siamo dentro un breve articolo. Ma trattare Tommaso ed Hegel in modo così sommario, non aiuta. Il tentativo hegeliano è molto più complicato di così e non mi sembra corretto dal punto di vista della storia della filosofia, paragonare due autori distanti 600 anni uno dall’altro, soprattutto attribuendo al più antico gli strumenti per confutare il meno antico. Non è un buon servizio alla storia della filosofia. Secondo aspetto. Tommaso dovrebbe venire più esattamente collocato nella storia della teologia (e della filosofia). Come ho argomentato in modo più ampio nella seconda parte di “Fede Malata” (Alpes editore, Roma, 2025), ci incartiamo se e quando riteniamo che teorie o dottrine o impostazioni teologiche del passato possano servirci in pieno oggi, in contesti storici, culturali, scientifici molto differenti.
Forse è una critica all’idealismo? La cui nascita volendo può essere ricondotta al primo rasoio di Occam? Stessa cosa con Cartesio che divide tra res cogitans res extensa, il tomismo è l’ultimo tentativo di tenere insieme tutta la realtà..