Musica e canto nelle Chiese della Riforma

di:

sfredda

Nell’ambito della rassegna Musicar Parlando, per conversare di libri emusica – promossa dalla Biblioteca del Conservatorio di Mantova, il 24 marzo scorso, la pastora valdese Ilenya Goss ha dialogato col maestro Nicola Sfredda autore del volume La musica nelle chiese della Riforma (Claudiana). Registrazione video integrale della lezione qui. La cura dei testi è di Andrea Cappelletti.

Ilenya Goss. Ringrazio innanzi tutto il maestro Sfredda, perché del suo libro, pubblicato un po’ di tempo fa, ho avuto modo di fare ampio uso, ad esempio, quando ho scritto un articolo dedicato al canto liturgico per un numero monografico della rivista della Facoltà Valdese di Teologia di Roma interamente dedicato alla musica in ambito protestante.

Si tratta di un libro di scorrevole lettura, sia per specialisti, musicisti e musicologi interessati ad approfondimenti tecnici, sia per non–specialisti e per persone interessate alla cultura e all’arte legata alla Riforma del ’500.

Ci proponiamo oggi, dopo la ricostruzione delle ragioni che hanno portato a questo lavoro, di fare alcuni affondi su figure e momenti determinanti della ricca e complessa storia raccontata dal volume, e sull’intreccio tra il pensiero teologico e la musica nel mondo protestante.

Vogliamo evidenziare come molta musica oggi eseguita in concerto sia nata nelle chiese e per le chiese, specificamente per funzioni di culto.

Aggiungo che il maestro Sfredda – docente di questo Conservatorio – è anche membro della Chiesa Valdese, impegnato nella pratica liturgico-musicale, anche in proiezione ecumenica.

Nicola Sfredda. Questo libro è nato, infatti, dalla mia pratica liturgica. Sin da ragazzo – sin dal momento in cui ho imparato a suonare su una tastiera – sono stato portato ad accompagnare il canto nel tempio. Negli anni ho acquisito sempre maggiore dimestichezza e maturato passione nel repertorio liturgico, unito al mio percorso di studi musicali.

Sulla scorta dell’esperienza, quindi, ho pensato di redigere una piccola sintesi storica – quasi un manuale – in cui si possono rintracciare notizie sui periodi storici attraversati dalle Chiese riformate in riferimento alla musica liturgica.

Un altro aspetto che mi ha indotto a scriverne, per me molto importante, è quello didattico, in quanto sono docente di musica, e soprattutto sono un appassionato di didattica. Ho avuto peraltro modo di insegnare qualcosa di attinente ai contenuti del libro in due ambiti molto diversi: un corso tenuto presso la Facoltà Valdese di Teologia, ove si formano i nuovi pastori e ove ho incontrato studenti molto ferrati in teologia, ma meno, musicalmente, preparati; un corso di Storia della liturgia presso il Conservatorio “Lucio Campiani” di Mantova, soprattutto per studenti di organo, la cui competenza, per ovvie ragioni, viceversa, era più sicura in ambito musicale, ma molto meno in teologia.

In questa seconda esperienza, gli studenti hanno potuto conoscere e apprezzare sia musicisti cattolici che protestanti, in particolare Johann Sebastian Bach, naturalmente conosciutissimo sin dai primi anni di corso quale sommo musicista, ma spesso ignorato sul piano della teologia e della spiritualità.

L’unione delle competenze musicali con la sottesa spiritualità sta al principio della composizione bachiana e ne fa, penso, la caratteristica peculiare.

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Goss. Aprendo questo volume si incontra il primo personaggio che viene immediatamente alla mente quando si parla di Riforma protestante, ovvero Lutero. Poi si passa a Calvino, a Bucero e a Zwingli. Ricordiamo, di passaggio, che i Valdesi sono nati come movimento già nel XII secolo, confluendo poi nella Riforma protestante nel 1532 acquisendo un’ecclesiologia calvinista.

Il testo si snoda dagli inizi della Riforma e ci conduce alla contemporaneità esaminandone gli esiti musicali molto diversificati al suo interno. Non è possibile, infatti, parlare di una sola “musica della Riforma”, se così si può dire, bensì di stili diversificati sin dalla sua origine.

Sono almeno due gli aspetti storici fondamentali che hanno reso la musica così importante per le Chiese nate dalla Riforma: Lutero era innamorato della musica, sia vocale – era appassionato della polifonia fiamminga – sia strumentale. Suonava il liuto e il flauto e scriveva musica egli stesso facendosi aiutare da amici musicisti e innografi.

Il secondo aspetto riguarda la teologia di Lutero che mette in rapporto l’ecclesiologia e la liturgia con il modo di far musica in chiesa. Lutero, da monaco agostiniano, aveva fatto un’esperienza di Chiesa in cui vigeva una netta differenza tra clero e laici, manifestata anche nella liturgia: la partecipazione dell’assemblea al canto era molto ridotta, se non nulla, perché il cantar messa era appannaggio dei chierici preparati. Con Lutero tale separazione viene meno, perché i cristiani vengono considerati tutti discepoli del Cristo, ciascuno con la propria vocazione, tutti chiamati a partecipare attivamente anche al canto liturgico.

Il cambiamento non fu semplice: la non conoscenza del latino e delle tecniche canore costituiva la normalità nella maggioranza dei fedeli. Nasceva l’esigenza di disporre di musica e testi che le persone comuni potessero cantare imparando facilmente a memoria: la lingua vernacolare e le melodie anche popolari, diventano la base su cui si svilupperà la composizione in forma strofica col testo biblico, che diventerà il corale.

L’innovazione si comprende nel più generale progetto di alfabetizzazione della Riforma per cui la didattica mira ormai a trovare vie per cui sia possibile apprendere elementi di teologia, facilmente: negli inni e nei corali iniziano così a comparire testi tratti dalla Bibbia, cantabili anche da parte di chi non aveva una specifica preparazione musicale.

Sfredda. La grande passione di Lutero per la musica ha spinto il riformatore a cercare melodie che potessero, al tempo stesso, muovere il cuore ed educare. Lutero – com’è noto – è considerato il fondatore del tedesco moderno proprio in forza di questa sua volontà di coinvolgere il popolo e di formarlo cristianamente, nel maggior grado possibile.

A noi, oggi, i suoi inni possono apparire lontani per gusto musicale, ma dobbiamo pensare ai gusti del tempo di cui erano espressione. Non va dimenticato l’impiego dei canti popolari dell’epoca – di cui molti natalizi – in cui già si potevano trovare contaminazioni tra lingua tedesca e latina.

È a partire dal 1523 che Lutero comincia a produrre gli Innari, inizialmente su otto fogli volanti, poi in raccolte sempre più ampie e organizzate. Nel 1545, un anno prima della sua morte, fu pubblicato un grande Innario contenente più di cento canti. Scrisse molti testi, ma anche alcune melodie, tra cui la più famosa Ein’ feste Burg ist unser Gott divenuta quasi il simbolo musicale della Riforma.

Ma Lutero ha solo dato inizio a una produzione sterminata di canti, inni e testi poetici, che nelle Chiese riformate si protrarrà sin dopo la metà del ’700, sempre in stretto collegamento con le origini: ricordo, appunto, la famosa Cantata di Bach scritta sulla melodia di Ein’ feste Burg ist unser Gott (oggi BWV 80); anche più avanti nel tempo, precisamente nel 1830, in occasione del 300° anniversario della Confessione di Augusta, Mendelssohn dedicherà un assolo del flauto della sua quinta sinfonia al tema Ein’ feste Burg ist unser Gott: Forte rocca è il nostro Dio (incipit del salmo 46).

Video 1: Corale cinquecentesco versione Lukas Osiander (qui al minuto 30.00 della registrazione).

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Goss. Questo Corale, con una armonizzazione un po’ diversa, è presente nell’Innario in uso attualmente nelle Chiese protestanti con testo in italiano. Vorrei fare un’osservazione comparativa: mentre nei libretti dei canti nelle chiese cattoliche normalmente si trovano soltanto i testi, negli innari delle chiese protestanti vi sono sempre le partiture musicali. Varcata la soglia del locale di culto, ciascuno è invitato a prendere dagli scaffali la Bibbia e l’Innario per seguire la liturgia e partecipare al canto corale. Anche questo semplice gesto testimonia il legame istituito dalla Riforma tra sacra Scrittura, teologia e canto.

L’altro grande riformatore che si incontra nel libro del maestro Sfredda è Giovanni Calvino. Calvino ha avuto un approccio con la musica molto diverso da quello di Lutero: era preoccupato che la musica potesse coinvolgere “troppo” i fedeli distraendoli dall’ascolto della Parola, e sconsigliava l’uso della polifonia in chiesa limitandola al canto familiare dei Salmi, in casa. Calvino riteneva inoltre che i Salmi fossero una fonte più che sufficiente di testi da cantare, senza che vi fosse bisogno di comporre ulteriori testi.

Il riformatore francese nutriva un certo sospetto anche nei confronti della musica strumentale, per cui, almeno nella prima fase dell’esperienza ginevrina, l’impiego di strumenti in chiesa ha rappresentato un evento raro; ma anche il canto gregoriano fu abolito, perché chiaramente rappresentava la tradizione del culto cattolico.

Sfredda. L’opera di Calvino, in materia, è stata caratterizzata dall’idea di musicare tutti i Salmi traducendone i testi nella lingua del popolo, nella fattispecie in francese. Calvino aveva una formazione culturale laica e giuridica, molto diversa da quella di Lutero. Non aveva, poi, la stessa passione musicale, ma soprattutto soggiaceva a quello scrupolo di origine ecclesiastica, per cui il fedele non deve farsi prendere dalle emozioni facilmente ingenerate dalla musica.

L’abilità di Calvino fu di avvalersi della collaborazione di famosi musicisti e poeti, non solo nella produzione di semplici melodie e armonizzazioni: nonostante le riserve che abbiamo evidenziato, anche l’ambito riformato derivante da Calvino ha prodotto musica di una certa complessità, quale quella polifonica dei grandi mottetti, brani in cui emerge comunque lo sforzo di far cantare tutta l’assemblea.

Video 2: il Salmo 42 (Come la cerva assetata) dall’Innario di Ginevra (qui al minuto 43.00 della registrazione).

Goss. Notiamo qui come si raggiunge l’obiettivo di far cantare tutta l’assemblea: la linea melodica è molto semplice e facilmente memorizzabile.

Passando al ’600 e al ’700 non si può parlare di musica liturgica protestante senza soffermarsi su Johann Sebastian Bach. Fondamentale fonte di ispirazione del Kantor fu il Catechismo di Lutero.

Lutero è autore dei due Catechismi: il Piccolo è un libricino scritto ad uso dei Pastori, una sorta di piccolo manuale da utilizzare per la catechesi dei fedeli; il Grande è un testo molto ricco e corposo. Le due opere sono state lettura costante da parte di Bach che attingeva da qui ispirazione per le sue composizioni destinate al culto luterano.

Ricordiamo, in proposito, che le Cantate sacre che oggi ascoltiamo in concerto sono nate per il culto, legate quindi al tempo liturgico e ai testi dei sermoni predicati dal pastore nella domenica.

Sfredda. C’è stato un periodo, una ventina d’anni fa, in cui è stato di moda dire che Bach potesse essere considerato alla stregua di un dipendente dell’istituzione, per cui costretto a comporre un certo tipo di musica senza un’autentica convinzione: non è un’ipotesi sostenibile, perché, ascoltando la sua musica e analizzandola a fondo, ben si ritrova il senso della teologia che ha voluto, convintamente, esprimere.

Assai interessante è il fatto che Bach ha composto la Grande Messa in si minore. Qualcuno ha avanzato l’ipotesi che Bach avesse accondisceso alla teologia cattolica. Naturalmente non è così. Va ricordato, piuttosto, che la struttura dell’Ordinarium MissaeKyrie, Gloria, Credo, Sanctus e Agnus Dei – in realtà era rimasto tale anche nella liturgia luterana.

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Video 3: primo movimento della Cantata BWV 80 (qui).

Sfredda. In questa Cantata, come detto, Bach riprende sia il testo che la melodia dell’Inno di Lutero Ein’ feste Burg ist unser Gott, ovviamente elaborandola notevolmente con strumenti e polifonia.

Goss. Per introdurre il capitolo sullo sviluppo della musica organistica e strumentale nelle Chiese della Riforma, va ripetuto che anche il Corale diventa occasione per improvvisazioni all’organo e per la forma del Preludio strumentale che precede il canto dell’assemblea.

Nel protestantesimo del ’700 e ’800 si assiste alla nascita di correnti spirituali dette dei Risvegli: il rinnovamento portato da tali movimenti si riflette anche nella produzione di nuova musica con uno stile specifico. L’innario in uso nelle chiese protestanti italiane consente di conoscere queste diverse stagioni di produzione musicale liturgica: i primi trenta brani sono tratti dal Salterio di Ginevra, ma poi vi si trovano anche composizioni tipiche del Risveglio del XIX secolo.

Sfredda. Lo stile musicale dell’800 si differenzia dalla tradizione, specie nell’ambito anglofono. Tuttavia, pure questi inni conservano la caratteristica di un linguaggio musicale semplice, alla portata dell’assemblea liturgica.

Video 4: In questa placida ora – autore? – periodo dei “risvegli” (qui al minuto 59.00 della registrazione).

Goss. Anche dal punto di vista testuale, teologico e spirituale si notano le differenze. Il testo, ad esempio, è molto più svincolato dalla Scrittura di quanto non fossero gli inni più antichi.

Come esempio di presenza liturgica della musica in ambito protestante presento un ordine del culto classico di una chiesa valdese.

In molte chiese di ridotte dimensioni oggi non si è in grado di avere la corale, e non sempre vi sono musicisti che possano offrire il contributo necessario al culto; tuttavia, non si rinuncia al preludio strumentale scelto in base al tema della domenica e al suo filo conduttore biblico. Poi si eseguono gli inni di apertura, gli inni dopo il salmo, gli inni di confessione: ogni stanza liturgica è caratterizzata da un inno.

Il coro, quando c’è, ha il ruolo di guida per l’assemblea; solo in qualche occasione speciale, come il venerdì santo, il coro propone un proprio repertorio così che tutta la liturgia ne viene caratterizzata. L’interludio strumentale viene eseguito dopo la lettura del testo biblico. C’è poi il postludio, momento in cui le persone – invocata la benedizione finale – sono invitate a sedersi per ascoltare in silenzio il brano organistico o strumentale che conclude il culto.

Sfredda. Nel ’900 si è data una grande novità, ossia lo sviluppo della tradizione musicale cristiana afroamericana, nata fin dal secolo precedente in ambito protestante negli Stati Uniti. È una musica stilisticamente molto particolare, distante dai nostri canoni tradizionali, anche perché sviluppatasi in ambienti di lavoro.

Tutti abbiamo ascoltato almeno una volta la bellissima canzone interpretata da Harry Belafonte, Banana boat song, che bene esprime lo spirito dei canti di lavoro a sfondo religioso, melodia caratterizzata dallo stile chiamata/risposta – quindi antifonale – strettamente legata alla sacra Scrittura, quale punto di riferimento per la sofferenza causata dalla segregazione razziale.

Lo stesso pastore Martin Luther King, famoso per la sua battaglia a favore dell’emancipazione della comunità afroamericana, era spesso accompagnato dal canto We shall Overcome, nato come canto religioso di protesta, ma divenuto anche un inno alla pace, all’uguaglianza e alla libertà.

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Qui proponiamo l’ascolto del noto brano Joshua fit battle of Jericho – ispirato all’episodio biblico della battaglia di Gerico – quale esempio di quella produzione musicale che le Chiese afroamericane, nel solco della tradizione protestante, hanno manifestato nelle lotte non violente di emancipazione razziale.

Video 5: Joshua fit battle of Jerico – Golden Gate Quartett (qui).

Goss. Penso che la distanza dal primo ascolto a quest’ultimo dia la misura di un percorso storico in cui il protestantesimo ha creato musica di stili anche molto diversi tra loro.

Oggi ci troviamo in una situazione in cui – anche per effetto della presenza nelle chiese occidentali di molti immigrati – vecchie e nuove sonorità si incontrano nelle liturgie. Potremmo dire che le nostre chiese sono anche dei laboratori dal punto di vista musicale.

In questa situazione si esprimono sensibilità diverse: ci sono coloro che vogliono conservare ad ogni costo la tradizione e ci sono coloro che vogliono aggiornare il patrimonio musicale lasciando indietro parti più antiche considerate poco coinvolgenti oggi.

Sfredda. Nella contemporaneità stiamo assistendo, pure, ad un incontro-scambio di repertori e di tradizioni tra le Chiese, causa ed effetto del movimento ecumenico sviluppatosi nel XX secolo: ci sono inni protestanti cantati nelle chiese cattoliche e canti cattolici nelle chiese protestanti.

Ho amici cattolici che spesso mi esprimono la loro preoccupazione per la deriva della musica sacra verso stili ritenuti troppo “pop” o che possano far perdere il senso propriamente liturgico. Penso anch’io che, da una parte, non possiamo lasciare la tradizione di cui abbiamo parlato, dall’altra, sia sempre necessario ricercare nuovi equilibri.

Voglio concludere citando figure di musicisti contemporanei che sono a me molto cari: oltre a Paul Hindemith – uno dei compositori del ’900 che più amo, autore anche di magnifiche sonate per organo –, padre Terenzio Zardini, francescano di Verona, grandissimo maestro di musica liturgica, e padre Giovanni Maria Rossi, camilliano, musicista, direttore di coro e compositore – conosciuto personalmente.

Padre Rossi, in linea col carisma di cura del suo ordine, ha dedicato molto di sé stesso alla musicoterapia – alla terapia con la musica – di cui troviamo prefigurazione nella Bibbia laddove il giovane Davide, con la sua musica, si prende cura del tormento – probabilmente un disturbo psichico – del re Saul. Ecco: la musica può curare molti dei nostri mali, specie in questi momenti, nel mondo tutto.

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Un commento

  1. 68ina felice 28 maggio 2025

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