Doni gerarchici e doni carismatici

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Premessa

Le due parole, poste nel titolo del presente contributo, sono tratte, la prima – carismi –, oltre che dal dibattito teologico, da un particolare riferimento agli scritti di Albino Luciani, poi papa Giovanni Paolo I, che vorremmo opportunamente attualizzare nella discussione, in corso oggi come allora, circa il più ampio orizzonte suscitato dal Concilio ecumenico Vaticano II; la seconda parola – istituzione –, anch’essa comune nella riflessione teologica e canonistica, risulta ribadita, proprio in relazione ai carismi, dall’Instrumentum laboris per le assemblee sinodali di ottobre 2023 e ottobre 2024.[1]

Albino Luciani

Albino Luciani

Per dare gambe al Sinodo dei vescovi in continuità con il Vaticano II,[2] il tema fondamentale da centrare, ci sembra, è quello del corretto rapporto tra “doni gerarchici” e “doni carismatici”, che consente alla comunità ecclesiale cattolica di porsi in continuità con la dottrina rivelata e definita dai concili ecumenici o dal magistero infallibile (per esempio, il dogma mariano dell’Assunta).

Pur considerandolo, come faremo, da vari punti di vista (attingendo a documenti e a opinioni teologiche), il tema ritorna costantemente con i medesimi termini e con la stessa urgenza, anche a motivo della costante tentazione che tende a contrapporre i due “doni dello Spirito Santo”: carismatici e gerarchici.

In un mio volumetto sul Sinodo,[3] ho già offerto gli elementi per comprendere cos’è un Sinodo, in che cosa si distingue dal Concilio ecumenico, quali ne sono le origini storiche e le esigenze ecclesiali che lo hanno reso oggi urgente e importante.

Il lettore avrà certamente colto il senso della sinodalità e che cosa essa comporti per l’intera comunità, in particolare per la novità, la problematicità e la fecondità del laicato cristiano, chiamato a vivere in assetto sinodale, in unione con i Pastori della Chiesa e con i consacrati che vivono nel mondo e sono espressione del mondo che verrà.

Ora intenderei approfondire un altro peculiare aspetto, condensato nel titolo del presente contributo.[4] Sarebbe bene, in premessa, ricordare la struttura carismatica della Chiesa, in cui lo Spirito Santo, mediante i carismi istitutivi, dà vita al “ministero petrino” e al “ministero episcopale”, e poi anche agli altri ministeri ordinati, tutti funzionali alla comunione.

I carismi sono sia istitutivi che funzionali e, nella comunione ecclesiale, sono sempre presenti entrambi. Per questo motivo, il sommo pontefice Francesco, attingendo al Vaticano II, afferma che la dimensione carismatica della Chiesa, nonostante il variare storico dei carismi non istitutivi, non può mai venire a mancare.

Inoltre, nella Chiesa, tra i tanti carismi, c’è anche quello dei teologi, i quali sono titolari del cosiddetto “magistero dei teologi”, che non può essere concepito come antagonista o parallelo a quello del papa e dei vescovi. I teologi hanno, infatti, il compito di avviare cammini nella Chiesa e nella loro personale ricerca teologica, ma devono sempre essere pronti ad accogliere le conclusioni e l’approvazione da parte dei titolari del “dono gerarchico”.

Il Concilio di Trento, come altri concili che lo avevano preceduto, prevedeva anche delle sessioni dei teologi, cioè delle sessioni parallele a quelle dei padri conciliari: gli argomenti erano, infatti, redatti da speciali congregazioni, composte da teologi e canonisti; gli schemi prodotti erano, poi, esaminati dalle congregazioni generali e approvati dalle congregazioni solenni dei vescovi.

A partire dal Vaticano I, il ruolo dei teologi è stato ri-qualificato come servizio di consulenza teologica dei padri conciliari,[5] mentre nelle assemblee del XVI Sinodo dei vescovi, oltre a delegati che sono teologi, ci sono dei teologi-facilitatori nei circoli minori, che preparano anche le proposizioni conclusive, da votare nelle Congregazioni generali.

Non è un caso che papa Francesco, aprendo l’assemblea generale ordinaria del Sinodo il 4 ottobre 2023, abbia citato l’aiuto preparatorio dei teologi, funzionale all’azione di approfondimento e di “conversazione nello Spirito” dei delegati al Sinodo, che devono comunque lasciarsi condurre dal protagonismo dello Spirito Santo: «Quando, nel 50° della creazione del Sinodo, i teologi mi hanno preparato una lettera che ho firmato, è stato un bel passo avanti. Ma adesso dobbiamo noi trovare la spiegazione su quella strada. Protagonisti del Sinodo non siamo noi, è lo Spirito Santo, e se noi lasciamo posto allo Spirito Santo, il Sinodo andrà bene. Questi fogli su San Basilio li hanno dati a voi in diverse lingue: inglese, francese, portoghese e spagnolo, così avete nelle mani questo. Io non menziono questi testi, sui quali vi prego poi di riflettere e meditare».

Tra i carismi, inoltre, ci sono anche quelli infusi e attivati dal battesimo, che rendono idonei tutti i christifideles, anche laici, formulare le domande, che sgorgano dalla realtà complessa e spesso drammatica della vita, a presentarle ai titolari degli altri carismi, ad interpretarle insieme a loro e a cercare, pregando, studiando e dialogando sempre insieme a loro, le risposte che la divina Rivelazione cristiana custodisce per tutti i tempi e per tutti i luoghi e che, con pedagogia sapiente e divina, manifesta gradualmente nella storia in molteplici e vari modi. Tuttavia, i carismi dei fedeli devono essere, comunque, verificati dai pastori. Non viceversa, anche se i carismi dei pastori sono “controllati” dai fedeli.

Tuttavia, se ciò vale per l’immediato, bisogna altresì considerare che il cosiddetto sensus fidelium, ovvero il sensus fidei del santo popolo cristiano – che è guidato sempre dallo Spirito Santo –, è l’alveo all’interno del quale sgorga e si esplicita la stessa infallibilità della Chiesa.

La cosiddetta receptio (= recezione), da parte del popolo di Dio, della dottrina insegnata dal Magistero, per esempio nelle encicliche o nelle esortazioni apostoliche pontificie (che concludono ordinariamente i lavori delle Assemblee sinodali), resta, perciò, un punto qualificante di tutto questo discorso. Il popolo cristiano accetta le definizioni dei Concili e del pontefice romano, ma le corrobora con la receptio.[6]

Dove c’è carisma, e cioè dono che viene dall’alto, non si può mai essere guidati dalla logica del rapporto tra maggioranza e minoranza. Intendo, però, dire che tale logica non può essere adottata allo stato puro e, perciò, si può pervenire, nel tempo, ad un compromesso ecclesialmente fecondo in alcuni ambiti, che vengono poi recepiti dal sensus fidelium. Fermo restando il semper idem della dottrina rivelata, promulgata dal Magistero infallibile e ciò che viene definito nei concili, non si può avallare l’adozione della democrazia nella Chiesa: dove c’è carisma, e cioè dono che viene dall’alto, non si può essere guidati dalla logica del rapporto tra maggioranza e minoranza, e tuttavia, è bene ricordare che, nei concili, le dottrine accolte sono quelle approvate dalla maggioranza; nel conclave si procede con la logica della maggioranza; nelle famiglie religiose i superiori vengono scelti a maggioranza; le eventuali proposte che il sinodo presenterà al papa saranno decise a maggioranza. Dobbiamo continuamente riflettere: o «lo Spirito soffia dove vuole» (Gv 3,8), oppure siamo noi a stabilire, mediante le maggioranze, dove, come e quando il suo soffio dovrà fare irruzione nel mondo e nella Chiesa?

Il vescovo di Vittorio Veneto e poi di Venezia, Albino Luciani – nell’ordito di un più ampio discorso su carismi e istituzione, che egli andò conducendo per diversi anni, sia allo scopo di esporre in merito la genuina dottrina del Vaticano II, sia allo scopo di contestare certune ecclesiologie allora emergenti (come quella di H. Küng) –, si rivolse, nel 1974, alle Superiore religiose, evidentemente anch’esse alla ricerca di un possibile equilibrio tra doni carismatici e istituzione ecclesiastica, parlando ad esse di certi eccessi di carismatismo facile: «Non è opportuno – penso – avere il carismatismo facile e distribuire patenti di carismatico a destra e specialmente a sinistra. Un teologo ha di recente chiamato “profeti” gli audaci che alzano la bandiera della rivoluzione armata e saltano sulle barricate oppure conducono la guerriglia nell’America Latina. Tra le “guerrigliere” americane non è mancata qualche suora».[7]

Inoltre, in un diverso contesto, Luciani affermava, precisando il genuino senso dei cosiddetti carismi straordinari suscitati dallo Spirito nella Chiesa: «Nel corso dei secoli i carismi straordinari continuarono: ricordo, tra i moltissimi casi, i miracoli di sant’Antonio di Padova, di Lourdes, di san Giovanni Bosco. Ma comparve anche un carismatismo artificiale di gente che pretese vivere in una perpetua pentecoste clamorosa e stupefacente».[8]

La Lumen gentium distingue opportunamente, perciò, tra doni carismatici e doni gerarchici, la cui fonte unica resta lo Spirito Santo: «Egli introduce la Chiesa nella pienezza della verità (cf. Gv 16,13), la unifica nella comunione e nel ministero, la provvede e la dirige con diversi doni gerarchici e carismatici, la abbellisce dei suoi frutti (cf. Ef 4,11-12; 1Cor 12,4; Gal 5,22)» (LG, n. 4).

Inoltre, fra i doni dello Spirito, «eccelle quello degli apostoli, alla cui autorità lo stesso Spirito sottomette anche i carismatici (cf. 1Cor 14)» (LG, n. 7).

Esiste anche un carisma dell’infallibilità: «In effetti allora il romano Pontefice pronunzia sentenza non come persona privata, ma espone o difende la dottrina della fede cattolica quale supremo maestro della Chiesa universale, singolarmente insignito del carisma dell’infallibilità della Chiesa stessa.

L’infallibilità promessa alla Chiesa risiede pure nel corpo episcopale quando esercita il supremo magistero col successore di Pietro» (LG, n. 25).

Ri-emergere contemporaneo del tema

Il tema, che resta potenzialmente conflittuale, come già segnalava a suo tempo la simbolica ecclesiale di Johann A. Möhler,[9] ri-emerge ai nostri giorni, significativamente nell’attuale clima di sinodalità, che caratterizza da alcuni anni la Chiesa cattolica e per questo s’intende qui richiamare la dottrina e offrire spunti di riflessione. Colpisce, perciò, il lettore del ricco Instrumentum laboris (d’ora in poi IL),[10] predisposto per le assemblee sinodali di ottobre 2023, un certo ricorrente insistere sui rischi di contrapposizione tra carisma e istituzione. La stessa asserita opportunità d’intervenire – allo scopo del ri-equilibrio nel rapporto tra principio di autorità e principio di partecipazione –, sul corpus giuridico-normativo della Chiesa, viene oggi non soltanto descritta, ma suggerita da IL come opportunità per evitare squilibri storicamente intervenuti tra principio di autorità (che sarebbe, secondo questa rilettura di sintesi di IL, fortemente affermato nel Codice di diritto canonico vigente) e principio di partecipazione.

Si legge testualmente in uno dei cosiddetti fasci di luce della Sezione B di IL: «Sembra opportuno intervenire anche sul diritto canonico, riequilibrando il rapporto tra il principio di autorità, fortemente affermato nella normativa vigente, e il principio di partecipazione; rafforzando l’orientamento sinodale degli istituti già esistenti; creando nuovi istituti, ove ciò appaia necessario per le esigenze della vita della comunità; vigilando sull’effettiva applicazione della normativa» (B.3.3. e).

Certo, il relatore generale Jean-Claude card. Hollerich, introducendo la Congregazione generale che si è svolta dal 4 al 9 ottobre 2023, ha ricordato ai delegati sinodali il dovere di partire dal sentire comune del popolo di Dio: «Dobbiamo pensare, dobbiamo riflettere, ma la nostra riflessione non deve assumere la forma di un trattato teologico o sociologico. Dobbiamo partire da esperienze concrete, le nostre personali e, soprattutto, l’esperienza collettiva del Popolo di Dio che ha parlato attraverso la fase di ascolto».

E tuttavia, gli interrogativi restano: all’affermazione del principio di autorità, che sarebbe affermato fortemente nel diritto vigente, sarebbe forse ancora da opporre, ai fini di un bilanciamento, il principio di partecipazione? Ecco una domanda cruciale. Esprimendo questo medesimo nodo problematico con parole nostre: la rigidità della norma (applicata di autorità) andrebbe, forse, finalmente rivista dalla partecipazione nell’applicazione di essa?

Ma, poste così le cose, di qui non sorgerebbe forse una domanda ulteriore per chiunque rifletta bene sulla sinodalità? Difatti, all’antica contrapposizione tra carismatismo facile e istituzione ecclesiastica, come espressa a suo tempo da Luciani, si associa, forse, e perdura ancor oggi, una tendenziale contrapposizione tra autorità/norma giuridica e partecipazione più ampia nella formulazione e nell’applicazione di una legge?

Se così fosse, infatti, ciò non sarebbe che l’altro nome di una perdurante e ricorrente contrapposizione tra carismi e istituzione, o anche tra carismaticità (che viene tendenzialmente assegnata al popolo di Dio e alle figure in esso suscitate dallo Spirito che soffia dove vuole) e autorità ecclesiastica gerarchica, soprattutto episcopale, ridotta, però, a svolgere un ruolo prevalentemente giuridico-istituzionale. Per dirla ancora con le parole di Luciani, il rischio è quello di alcuni estremismi interpretativi, che egli paventava con una peculiare interpretazione di un filone del gioachimismo medievale.[11]

Nella medesima, o almeno analoga ottica, l’IL afferma oggi opportunamente, in vista della conversazione nello Spirito dei delegati e votanti nell’assembla del Sinodo (vescovi, teologi e laici uomini e donne): «Altrettanto forte è la consapevolezza che ogni autorità nella Chiesa procede da Cristo ed è guidata dallo Spirito Santo. La diversità dei carismi senza l’autorità diventa anarchia, così come il rigore dell’autorità senza la ricchezza dei carismi, dei ministeri, delle vocazioni diventa dittatura. La Chiesa è, al tempo stesso, sinodale e gerarchica e per questo un esercizio sinodale dell’autorità episcopale si connota come accompagnamento e salvaguardia dell’unità. La via per realizzare la ricomprensione del ministero episcopale è la pratica della sinodalità, che compone nell’unità le differenze di doni, carismi, ministeri e vocazioni che lo Spirito suscita nella Chiesa».[12]

E la Lettera della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi al popolo di Dio (25 ottobre 2023) aggiunge: «Ci auguriamo che i mesi che ci separano dalla seconda sessione, nell’ottobre 2024, permettano a ognuno di partecipare concretamente al dinamismo della comunione missionaria indicata dalla parola “sinodo”. Non si tratta di un’ideologia ma di un’esperienza radicata nella Tradizione Apostolica. Come ci ha ricordato il papa all’inizio di questo processo: “Comunione e missione rischiano di restare termini un po’ astratti se non si coltiva una prassi ecclesiale che esprima la concretezza della sinodalità (…), promuovendo il reale coinvolgimento di tutti” (9 ottobre 2021). Le sfide sono molteplici e le domande numerose: la relazione di sintesi della prima sessione chiarirà i punti di accordo raggiunti, evidenzierà le questioni aperte e indicherà come proseguire il lavoro».[13]

La forza propulsiva dello Spirito Santo quale unità nelle differenze

Proporre la pratica della sinodalità, in questo preciso momento storico della Chiesa, implica preliminarmente anche uno sguardo franco e, per così dire, “spietato” sul contesto ecclesiale e socio-culturale odierno. Sulla peculiare famiglia delle famiglie, che è la Chiesa, frattanto veglia, da sempre e per sempre, Colui che è stato opportunamente denominato il “protagonista escatologico”, cioè lo Spirito Santo.

Preso atto della critica di oblio dello Spirito Santo, rivolta alla Chiesa di Occidente e alla sua teologia da parte dell’Oriente cristiano, con la conseguenza dell’attenzione dedicata, forse in modo eccessivo dalla Chiesa d’Occidente, agli aspetti istituzionali, giuridici e organizzativi della comunità cristiana, occorrerà, quindi, procedere nell’orizzonte di un’esplicita e compiuta teologia dello Spirito Santo, ben in grado d’ispirare e nutrire la vita del popolo cristiano e tutti gli ambiti della ricerca teologica, nonché di renderli custodi fecondi e annunciatori fedeli della Rûah (vento), che l’Eterno, con assoluta libertà, dona a chi lo invoca con cuore umile e sincero.

L’azione di adombramento e quasi di cova materna, compiuta dallo Spirito Santo, viene esercitata maternamente sulla Chiesa-sposa di Cristo, con la divina dynamis, che talvolta genera anche il sogno e la fantasia, e non vieta la formulazione di dubbi e discussioni; così come sulla Vergine di Nazaret al momento dell’annunciazione, oggi quella medesima potenza soprannaturale aleggia sull’assemblea sinodale, senza attutire le differenze, anzi mantenendole, ma tutto e tutti finalizzando al sentire comune, che non comporta mai l’eliminare le diversità.

Ora, è dottrina consolidata che, nella Chiesa, coesistono sia dei battezzati, che hanno ricevuto doni gerarchici, sia dei battezzati i quali hanno ricevuto doni carismatici, a partire dai consacrati che si dedicano alla vita religiosa sulla scia dei carismi peculiari dei loro fondatori e fondatrici.

Frattanto, dal Sinodo ci viene continuamente chiesta una conversione di mentalità e di cultura, che si ritiene di poter tradurre anche in un cambiamento non occasionale, bensì strutturale, in vista, cioè, di una Chiesa – denominata appunto sinodale –, la quale viene descritta mediante la metafora di una piazza aperta, dove tutti, pur nelle differenze di origine, di scelte e di situazioni, possano sentirsi a casa e partecipare.

Quali passi – insiste IL – lo Spirito Santo c’invita oggi a compiere per crescere nella direzione della piazza aperta, cioè come Chiesa sinodale?

Aperti alle sorprese che certamente lo Spirito predisporrà per noi e per ciascun delegato alle assemblee sinodali, vogliamo-dobbiamo comunque fare memoria di come Egli ha già guidato il cammino della Chiesa nella storia. Ci accorgeremo, in particolare, che mai Egli contrappone antitesi, né tra carismi e istituzione, né tra norme e partecipazione, mai assolutizzando né la fantasia ad oltranza (quella che Luciani denominava carismatismi), né la regola istituzionale ad oltranza, fino a spegnere la fantasia legittima e la libertà dei figli di Dio.

Questo ci viene, del resto, chiesto esplicitamente da IL, non solo ad intra ma ad extra: come accreditare la comunità cristiana quale soggetto credibile e partner affidabile in percorsi di dialogo sociale, guarigione, riconciliazione, inclusione e partecipazione, ricostruzione della democrazia, promozione della fraternità e dell’amicizia sociale?

Si legge ancora nel n. 57 dell’IL: «Dalla preoccupazione per la partecipazione nel senso integrale qui ricordato scaturisce la terza priorità emersa dalla tappa continentale: la questione dell’autorità, del suo senso e dello stile del suo esercizio all’interno di una Chiesa sinodale. In particolare, essa si pone nella linea di parametri di derivazione mondana o in quella del servizio? L’obiettivo dichiarato continua a essere tra autorità e libertà, o anche tra istituzione e carismaticità, oppure tra originalità/creatività di ognuno e tendenziale supposta rigidità di strutture e istituzioni: “Tra voi non sarà così” (Mt 20,26; cf. Mc 10,43), dice il Signore, che dopo aver lavato i piedi ai discepoli li ammonisce: “Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi” (Gv 13,15). A questa domanda se ne collega una seconda, carica della preoccupazione per la concretezza e la continuità nel tempo: come possiamo imprimere alle nostre strutture e istituzioni il dinamismo della Chiesa sinodale missionaria?».[14]

No al Concilio (e al Sinodo) “delle teste”

In riferimento al Vaticano II, il medesimo Albino Luciani deprecava coloro che pretenderebbero di avere una sorta di filo diretto, peraltro esclusivo, con lo Spirito Santo, bypassando la mediazione gerarchica e, di conseguenza, fanno delle proposte che provengono soltanto dalle loro teste, non certamente dallo Spirito: «Il concilio di Roma ha dato risalto al ruolo dello Spirito Santo e ai carismi, che ogni fedele può avere. Il “concilio delle teste” attribuisce la missione profetico-carismatica a tutti. Ogni fedele avrebbe il suo filo telefonico diretto con lo Spirito Santo. La mediazione dei vescovi e dei sacerdoti diventa dunque superflua. Basta la “Chiesa eucaristica” ossia la “comunità conviviale” senza impacci di dottrine, di gerarchia, di disciplina. Il concilio di Roma ha dato importanza all’eucaristia: intendeva la tradizionale eucaristia, che è sacrificio di Cristo ripresentato sull’altare in modo misterioso e cibo che nutre di vita spirituale chi lo riceve in stato di grazia. Il “concilio delle teste” mette in risalto la nuova eucaristia: una semplice cena, cui si vogliono assisi tutti, non importa se giusti o peccatori, credenti o non credenti. Il pane e il vino sfamano e dissetano, ma il corpo per il mondo di qua, non l’anima per il mondo di là. Così – dicono – ci si adegua ai nuovi tempi, in cui “le care immagini del paradiso non hanno più presa negli animi”. Così si “libera” l’eucaristia, che il medioevo aveva imprigionato, creandole attorno “uno spazio sacro (il tempio) e una casta sacra (il clero)”. Così si mette fine a una visione teologica della storia, nella quale l’unico disegno di Dio si frantumò abusivamente nei due fini dell’uomo: naturale e soprannaturale, temporale e spirituale, terreno e celeste».[15]

Nessuno, insomma, è autorizzato ad auto-dichiararsi titolare esclusivo dei carismi, che sono segni della presenza dinamica, libera e creativa dello Spirito Santo nella comunità ecclesiale e nelle sue strutture gerarchiche, del suo “estro” (con evidenti inflessioni di tipo femminile). Anche coloro che, come i vescovi, ricevono, nella comunione ecclesiale, il carisma di riconoscere l’autenticità dei carismi, come, peraltro, insegnava in più contesti il medesimo Albino Luciani, commentando i documenti del Vaticano II: la Chiesa «ha anche detto che i pastori hanno il compito di “giudicare sulla genuinità e retto uso dei carismi” (LG, n. 7). Che, se i carismi sono doni distribuiti dallo Spirito, “fra i doni eccelle quello degli apostoli, alla cui autorità lo stesso Spirito sottomette i carismatici” (LG, n. 4). A rimedio, i fedeli siano ben istruiti sulla dottrina esatta: lo Spirito Santo “istruisce e dirige (la Chiesa) con doni gerarchici e carismatici” (GS, n. 62). I “doni gerarchici” sono: il primato del papa, l’episcopato, il presbiterato, il diaconato con i relativi poteri di giurisdizione e di ordine, che operano in permanenza. Con i “doni carismatici”, Dio, attraverso canali misteriosi, si è riservato di agire, se e quando crede – di solito saltuariamente – direttamente a favore della Chiesa sulle anime, siano esse anime di pastori o di semplici fedeli».[16]

E ancora: «Lo Spirito Santo “istruisce e dirige (la Chiesa) con doni gerarchici e carismatici” (LG, n. 4). I fedeli onorati di “carismi, anche i più semplici, hanno il diritto e il dovere di esercitarli per il bene degli uomini e a edificazione della Chiesa”… “i sacerdoti devono scoprirli con senso di fede… ammetterli con gioia e fomentarli con diligenza” (AA, n. 3). Certo, “fra i doni eccelle quello degli apostoli, alla cui autorità lo stesso Spirito sottomette i carismatici” (LG, n. 7). I pastori hanno il compito di “giudicare sulla genuinità e retto uso dei carismi” (AA, n. 3.); quindi, se sono “saltati” dallo Spirito, ciò è solo in un primo tempo. Viene il secondo tempo, in cui il dono venuto da Dio, deve venire, come “dono da Dio”, proclamato dai pastori stessi».[17]

Siamo quasi di fronte all’altro aspetto del medesimo nodo problematico già enunciato, come notava lo stesso Luciani: «Infatti la Chiesa, da un lato, è organizzazione esterna, ha bisogno che ci siano in modo permanente e la predicazione e il culto pubblico e la legge, lex canonum, diceva san Tommaso;[18] dall’altro lato, essa è anche organismo soprannaturale, fornito di canali molteplici e misteriosi, per cui passano doni di grazia e verità direttamente da Dio alle singole anime; questo passaggio di doni è la lex privata Spiritus Sancti, con cui Dio fortifica e orienta la Chiesa e che papa Gregorio XV descriveva così: “…Nei secoli successivi, Dio si degnò, secondo i tempi prestabiliti, visitare il suo popolo per mezzo dei suoi servi: per lo più ha scelto i piccoli e gli umili per comunicare grandi cose alla Chiesa cattolica”».[19]

Conclusione. I carismi dei fedeli devono essere verificati dai pastori. Non viceversa

È stata, così, illuminata la problematica dialettica di carismi e istituzione, osservando – anche grazie ad alcune intuizioni di Albino Luciani, poi papa Giovanni Paolo I – che occorre evitare sia l’estremo del carismatismo a oltranza (che tutto affida all’imprevedibilità dei doni dello Spirito), sia l’estremo che riconduce la vita ecclesiale ai soli aspetti istituzionali e giuridici, dimenticando che, nella Chiesa, la norma è funzionale alla salus animarum.[20]

Un armonico rapporto garantisce, tra l’altro, sia la giusta valorizzazione del femminile nella Chiesa, sia il punto nodale del cosiddetto “sviluppo” storico delle dottrine teologiche: qual è la dialettica, ci si domanda ancora, tra verità perenne e dottrine in sviluppo? La perennità della Rivelazione biblica è conciliabile col fatto che la sacra Scrittura cresce insieme con chi la legge? A riprova della delicatezza e attualità del tema, non è un caso che uno dei dubia, espressi da alcuni cardinali, domandasse al papa, proprio sul punto fondamentale della dialettica perennità/sviluppo della divina Rivelazione, se «la divina Rivelazione sia vincolante per sempre, immutabile, quindi da non contraddire».

Ora, non è un caso che, proprio su questo punto specifico della re-interpretazione storica della verità dogmatica, papa Francesco abbia risposto, ribadendo il per sempre, ma non escludendo un’interpretazione “che migliora nel tempo”: «Se s’intende come un “interpretare migliore”, l’espressione è valida»; con l’aiuto degli esegeti e dei teologi e in linea con Dei Verbum 12, puntualizza infatti il papa, «va maturando il giudizio della Chiesa» (Pregunta 1.a).

Detto altrimenti, se è vero che la Rivelazione è immutabile e sempre vincolante, «la Chiesa dev’essere umile e riconoscere» che, nel processo dei tempi, «è necessario crescere nella sua comprensione» (Pregunta 1.b), distinguendo sempre tra sostanza perenne delle Scritture e della Tradizione e condizionamenti culturali emergenti nella storia (Pregunta 1.f).[21]

 ✠ p. Vincenzo Bertolone SdP
Arcivescovo emerito di Catanzaro-Squillace


[1] In merito alla dialettica carisma e istituzione, che nella Chiesa e nel mondo si svolge sotto la “regìa” dello Spirito Santo, cf F. Conigliaro, Adombrati dallo spirito. Creazione, Eschaton, Pnèuma, Carlo Saladino Editore, Palermo 2023.
[2] G. Costa S.J., Dare gambe al Concilio, “La civiltà cattolica” 174 (2023), 531–544.
[3] V. Bertolone, Sinodalità, cioè?, Edizioni la Valle del tempo, Napoli 2023. Il presente saggio, rifacendosi al mio secondo volume, Carismi e istituzione (Edizioni la Valle del tempo, Napoli 2023), intende proporsi come un ulteriore contributo al processo sinodale, avviato e sostenuto della XVI Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”.
[4] Sul tema, cf A. Franzini, Carismi e istituzione nella Chiesa, in Ernesto Cappellini (a cura), La legge per l’uomo: una Chiesa al servizio…, Rogate, Roma 1980, 25–55. Sulla rilevanza del tema nel dibattito teologico, cf C. Guarini, Il dono nella sua dinamica: carisma e istituzione, Fondazione Biblioteca ecclesiale, Mesagne 2020; Carisma e istituzione in movimenti e comunità ecclesiali. Atti della giornata di studio, Roma, 18 gennaio 2018, a cura di Carlo Fusco, Pasquale De Rosa, Elisabetta Scomazzon, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 2018; P. Coda, Santa Sede, movimenti ecclesiali: con Benedetto e con Francesco. La lettera Iuvenescit Ecclesia e la ‘co-essenzialità’ di carisma e istituzione, “Il Regno: mensile di attualità cattolica” 61/14(2016), 394–398.
[5] Tuttavia, va ricordato che lungo e complesso fu il lavoro della Commissione teologica preparatoria del Concilio ecumenico Vaticano II, che operò dal giugno 1960 fino al completamento degli schemi, avvenuto ancora durante le prime settimane dopo l’apertura del concilio nell’ottobre del 1962. In ogni caso, su determinati temi, anche di rilevanza etica, la Santa Sede, oltre al servizio offerto dai Dicasteri, continui ad ascoltare pareri di ampie, possibilmente mondiali, Commissioni di studio create ad hoc. In merito, cf R. Burigana, Progetto dogmatico del Vaticano II: la commissione teologica preparatoria (1960–1962), Marietti, Genova 1993.
[6] Sul punto, cf. G. Albano, Un popolo profetico: la centralità del sensus fidelium nella vita e nella missione della Chiesa, Centro Liturgico Vincenziano, Roma 2022; A. Ekpo, The breath of the spirit in the Church: the sensus fidelium and canon law, St. Pauls Publications, Strathfield–NSW 2014. Sui riverberi morali della dottrina del sensus fidelium, A. Rovello (a cura), La morale ecclesiale tra sensus fidelium e magistero, Cittadella, Assisi 2016.
[7] Albino Luciani, I doni dello Spirito Santo e la vita religiosa [RV, LIX (1974), pp. 276–282; ritiro spirituale predicato alle superiore], 18 maggio 1974, in Opera omnia, Edizioni Messaggero, Padova 20112, VI [Venezia, 1973–1974. Discorsi, scritti, articoli], 332. Tra i tanti studi, cf almeno E. Malnati-M. Roncalli, Albino Luciani-Giovanni Paolo I. Una biografia, Morcelliana, Brescia 2022
[8] Albino Luciani, Opera omnia, VI, 352.
[9] Johann A. Möhler, Simbolica. Esposizione delle antitesi dogmatiche tra cattolici e protestanti secondo il loro scritti confessionali pubblici, a cura di Joseph Rupert Geiselmann, I edizione italiana, Milano, Jaca Book, 1984.
[10] “Instrumentum laboris” [IL] per la prima sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (20.06.2023), pubblicato sul Bollettino ufficiale della Sala stampa della Santa Sede. Dopo una Premessa, IL è suddiviso in due Sezioni (A e B), che corrispondono all’articolazione dei compiti delle Assemblee continentali (e quindi ai contenuti dei relativi Documenti finali). La Sezione A raccoglie i frutti della rilettura del cammino percorso circa una Chiesa sinodale; la Sezione B esprime in forma di interrogativo le tre priorità che con maggiore forza emergono dal lavoro di tutti i continenti, ponendosi al servizio del metodo sinodale della “conversazione nello Spirito” (che non indica un generico scambio di idee, ma la dinamica in cui la parola pronunciata e ascoltata genera familiarità, consentendo ai partecipanti di diventare intimi gli uni degli altri, dopo la preghiera, la domanda di fondo per il discernimento e i nodi ai quali dare il proprio apporto). Conversazione nello Spirito è una preghiera condivisa in vista di un discernimento in comune, a cui i partecipanti si preparano con la riflessione e la meditazione personale. La Sezione B fa emergere tre questioni prioritarie per la Chiesa sinodale (IL, n. 45).
[11] Albino Luciani, Il Pastore d’anime secondo san Gregorio Magno, 12 marzo 1973, Opera omnia, VI [Venezia, 1973-1974. Discorsi, scritti, articoli], 54: «Siamo tutti fervidi per lo Spirito e i suoi carismi. Ma cosa riteniamo? Che lo Spirito sia quello stesso che ha animato la Chiesa dei secoli passati o no? Nel primo caso, dobbiamo amare anche la Chiesa costantiniana, instituzionalizzata, eccetera, pur ammettendo che essa ha dovuto pagare un tributo ai mali del suo tempo e che deve migliorare. Nel secondo caso, vediamo di non lasciarci coinvolgere tra i seguaci dell’abate Gioacchino da Fiore, e di non aspettare anche noi un’era nuova e una Chiesa novella da contrapporre e sostituire all’antica!».
[12] IL, Schede di lavoro, B.2.5 d.
[13] Lettera della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi al popolo di Dio.
[14] IL, n. 57. Ricordiamo che la Sezione B di IL esprime, in forma di interrogativi, le tre priorità che con maggiore forza sono emerse dal lavoro di tutti i continenti nella fase continentale del Sinodo, sottoponendole al discernimento dell’Assemblea sinodale conclusiva.
[15] Albino Luciani, Omelia di fine d’anno, 31 dicembre 1973, Opera omnia, VI [Venezia, 1973–1974], 264.
[16] Ivi, IV [Vittorio Veneto, 1967–1969 Discorsi, scritti, articoli], 72.
[17] ivi, III [Vittorio Veneto], 211.
[18] In realtà, l’espressione lex canonum non è dell’Aquinate, ma di Helvicus Theutonicus, De dilectione Dei et proximi, pars 3 cap. 11.
[19] Albino Luciani, Omelia di fine d’anno, 464.
[20] V. Bertolone S.d.P., La salus animarum nell’ordinamento giuridico della Chiesa, Città nuova della P.A.M.O.M., Roma 1987.
[21] Lettera del Dicastero per la dottrina della fede (25.9.2023), con il permesso del santo Padre a pubblicare le sue risposte dell’11.7.2023 ai dubia espressi dai cardinali (sono citati Burke e Brandmuller). Tutte le risposte del Papa ai dubia meritano approfondimenti ad hoc, anche perché dai mezzi di stampa si apprende che, in agosto, i medesimi cardinali si sarebbero dichiarati insoddisfatti delle risposte avute, che, a loro avviso, non avrebbero ancora risolto i dubbi da essi sollevati.

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4 Commenti

  1. Giuseppe 21 gennaio 2024
  2. Mario 18 gennaio 2024
  3. Mario 17 gennaio 2024
  4. Emanuele 16 gennaio 2024

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