Leone XIV in Libano: perdono e giustizia

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C’è un’immagine che resterà nella storia di Beirut e di questo tormentato “piccolo Libano”: è l’immagine di papa Leone che prega tra  i resti del porto di Beirut, quella grandiosa infrastruttura che è stata per un secolo il principale ponte tra il Mediterraneo orientale e quello centro-occidentale – e che il 4 agosto 2020 è stata polverizzata dall’esplosione di 2750 tonnellate di nitrato d’ammonio scrupolosamente nascoste nel porto commerciale, presumibilmente da chi ne aveva l’illegittimo ma pieno controllo.

Per la prima volta si sono visti i parenti delle vittime ascoltati, non dispersi con idranti come è accaduto prima che il governo tecnico di Nawaf Salam venisse insediato, ridando una speranza che l’inchiesta possa finalmente procedere.

Le riprese sul circuito internazionale consentivano di vedere distintamente il cimitero delle tantissime auto gravemente danneggiate da quell’esplosione che ricordò un fungo atomico, ma sulla quale le precedenti autorità libanesi non hanno mai consentito indagini vere.

Ora i parenti delle vittime sono stati ascoltati, abbracciati, dal papa accompagnato per una volta dai vescovi di Beirut e non dai sempre presenti patriarchi.

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C’è poi l’esortazione di papa Leone, durante l’omelia pronunciata davanti a 150mila fedeli: “Rialzati Libano!”. E qui l’auspicio è tanto forte e sentito da tutti quanto più difficile. Non c’è solo il peso enorme della perdita del proprio porto a pesare sulla città. C’è una crisi economica devastante e che dura anch’essa da cinque anni, di tale portata da aver reso necessario l’illegittimo congelamento di tutti i conti correnti in valuta pregiata, cioè quelli che tutti i libanesi che hanno un parente che vive all’estero possiedono.

O meglio possedevano, visto che sono ancora congelati. Restituire quel denaro sarà possibile? Pochi ci sperano, come pochi sperano che si risolva in Libano un’altra confisca, quella delle armi di Hezbollah. La guerra di nuovo possibile ha seguito costantemente, quasi come una compagna di viaggio celata, il pellegrinaggio del papa.

Ma il punto non è solo la guerra che potrebbe tornare: il punto è perché Hezbollah debba essere in armi e perché gli sia stato consentito. All’inizio, negli anni Ottanta, emerse come forza impegnata contro l’invasore israeliano, che occupava il sud del paese. Ma quando nel 2000 l’invasore si è ritirato gli è stato concesso di restare in armi, senza saper dire perché.

Quando un solo soggetto politico è armato in un Paese con molti soggetti politici, è chiaro che le userà anche contro i suoi avversari politici, e lo ha fatto, è chiaro che esproprierà lo Stato del suo diritto a elaborare una sua strategia nazionale di difesa, e lo ha affatto. Può rimanere in questo equivoco il Libano?

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La fiducia nello Stato così viene meno, e il sistema politico è rimasto in gran parte in conseguenza di ciò, ma non solo, legato alla forma che aveva alla fine della guerra civile, nel 1990. Ma quei partiti confessionali legati a famiglie o leader della guerra civile oggi hanno senso? O quella non è diventata una “cupola” sempre più distante dal paese reale?

È quello che Leone ha detto in modo composto ma efficace appena arrivato a Beirut: “Una cultura della riconciliazione, perciò, non nasce solo dal basso, dalla disponibilità e dal coraggio di alcuni, ma ha bisogno di autorità e istituzioni che riconoscano il bene comune superiore a quello di parte. Il bene comune è più della somma di tanti interessi: avvicina il più possibile gli obiettivi di ciascuno e li muove in una direzione in cui tutti avranno di più che andando avanti da soli”.

Per questo non può che balzare agli occhi il fatto che il Gran Mufti sunnita, Abdul Letif Ledrian, in occasione dell’incontro interreligioso, abbia citato il documento  di Abu Dhabi, sulla fratellanza umana, firmato da papa Francesco e dall’imam di al-Azhar.

È questo il vero, naturale sviluppo, soprattutto in un Paese come il Libano, di impianto sociale e istituzionale multiconfessionale, di quanto proposto nel citato intervento da papa Leone, visto che solo la fratellanza in un Paese plurale può portare a riconoscere e servire il bene comune.

Il fatto che il mufti lo abbia citato rappresenta un balzo in avanti significativo per un islam sunnita che è chiamato a rilanciarsi dopo che i suoi esponenti istituzionali sono apparsi a lungo troppo legati all’ufficialità, ai governi.

Le parole di Ledrian, che ha detto di augurare successo a papa Leone nel guidare la nave cristiana proprio nello spirito del documento di Abu Dhabi, hanno dunque dato l’indicazione diversa, nel contemporaneo disinteressarsi alle èlites di governo e allontanarsi dagli estremismi fanatici.

Anche altri intervenuti avrebbero potuto unirsi nel richiamo a un documento che fa del Libano-messaggio di pluralismo, convivenza e libertà, come disse Giovanni Paolo II, una bussola regionale. Evidentemente le paure frenano ancora oggi.

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Il momento più importante è stato forse l’incontro del papa con i giovani, non solo libanesi, ma anche giunti da diversi paesi arabi. Da questi giovani è emerso il desiderio di un futuro diverso dal presente, per esempio nel preservare i rapporti davanti alla superficialità dilagante grazie ai social in questa era digitale.

Altri hanno raccontato della loro non facile scelta, nella difficoltà economica che vivono, di ospitare dei profughi del sud, musulmani sciiti, mentre il loro villaggio era sotto le bombe. Molti quotidiani libanesi hanno riportato una citazione di Giovanni Paolo II fatta da papa Leone in questa occasione: “Il perdono conduce alla giustizia, che è il fondamento della pace”.

Prima di partire, dall’aeroporto nazionale, il papa è tornato a rivolgersi alla popolazione più che alle istituzioni, in particolare a quelle del sud del Libano, che vivono “nell’instabilità”: “I conflitti armati non portano soluzioni” – ha aggiunto.

Difficile non risentire quanto aveva detto durante l’omelia, poco prima: “La via dell’ostilità reciproca e della distruzione nell’orrore è stata percorsa troppo a lungo, con i risultati deplorevoli che sono sotto gli occhi di tutti”.

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