
Foto: Helenna Castro / CPT-BA
Dal 21 al 25 luglio 2025 abbiamo celebrato i cinquant’anni di vita della Commissione Pastorale della Terra (Comissão Pastoral da Terra, CPT) riuniti nel V Congresso Nazionale, in São Luís, Maranhão. «CPT 50 anni – Presenza, Resistenza e Profezia»; «Tagliate il filo spinato e tessete ragnatele: La Terra è di Dio! (Lv 25)».
Tagliare il filo spinato del latifondo: sfondare le recinzioni, vecchie e nuove. Maledette tutte le recinzioni! E tessere ragnatele: tessitura di tutte le resistenze e le esperienze dei popoli e delle comunità contadine tradizionali, organizzazione, articolazione, mobilizzazione.
Hanno partecipato più di mille persone, per due terzi rappresentanti delle diverse realtà rurali e comunitarie del Brasile, insieme a rappresentanti di popolazioni indigene, quilombolas, ribeirinhas e delle foreste, attivisti e ricercatori impegnati nella giustizia agraria e agenti della pastorale. Programma ricco di protagonismo contadino con ampi spazi di discussione sulle esperienze di lotta.
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Mi aspettavo novità dal V Congresso Nazionale del CPT, e non le novità che emergono dal discorso, dalla metodologia corretta, dalla razionalità che analizza, rivede, valuta, ripensa, riorienta. Pensavo a quelle che nascono dall’ascolto dei discorsi e dei silenzi dei contadini e che provocano domande e dialoghi, ma che spesso, nonostante il rischio di mitizzare, sono frutto di processi maturi di lotta. Così, in queste note, darò priorità alla lettura dell’evento, non rinunciando all’urgente dovere di analizzare seriamente i documenti del Congresso.

Foto: Rodrigo Correia
In questa tensione tra poesia e sociologia, ricordo come i contadini del IV Congresso del CPT, Porto Velho, Rondônia, 2015, trasfigurarono, in una traduzione celebrativa fatta di poesia, canti e tamburi, il processo metodologico ben preparato basato sulle esperienze contadine di riproduzione della vita e della lotta.
Era come se il canto contadino mostrasse una luce nel buio delle congiunture, qualcosa di presente ma non ancora del tutto spiegato e che, rivelato, avrebbe potuto addirittura essere proposto come prioritario: l’affermazione radicale e matura dell’autonomia dei territori fisici e spirituali dei popoli contadini; ripresa di quel paradigma germinale della CPT, quello dell’«autonomia relativa», inizialmente pensato per il discernimento delle relazioni ecclesiali della CPT e che sembrava essere la parola d’ordine indiscutibile della lotta per l’autonomia di organizzazioni e alleanze, che, nonostante la dura realtà del latifondo e dell’agrobusiness, sono inevitabilmente chiamate a relazionarsi, in autonomia, con i nemici: il mercato e lo Stato.
Mi sembra che l’attesa di novità significative, in questo V Congresso, sia stata davvero premiata. Il clima ci ha fornito forti indicazioni di cambiamenti pratici e teorici nelle lotte indigene e contadine. Un clima che forse può aggiungere qualcosa di estremamente importante alla lunga lista di Priorità e Linee d’Azione della CPT decise per il quinquennio 2025-2030.
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In questo incontro tra i popoli della terra e delle acque di Pindorama e gli agenti della CPT, siamo stati prepotentemente chiamati, fin dai primi battiti dei tamburi e dai ritmi delle maracas, a immergerci in profondità, a respirare l’atmosfera che sosteneva tutto il movimento dei corpi, dei canti, dei discorsi.

Foto: Helenna Castro / CPT-BA
Non si è vissuta solo la festosa celebrazione dei reincontri e dei nuovi incontri, nel ricordo martiriale di tanti combattenti che ci aspettano a Casa, né si trattava solo della ripetizione dell’antico rito degli oppressi che da sempre imparano dal sangue versato a calpestare il lutto e il dolore. Insomma, l’atmosfera del Congresso ci ha sorpreso. Ci siamo immersi in un ambiente in cui l’indomita volontà di difendersi dai nemici della vita era imperiosamente sfacciata.
Un’ondata di sentimenti e di desideri, che è andata ben oltre lo scopo di celebrare il 50° anniversario del CPT, ci ha portato ad unirci ai contadini nello sfogo di un’innegabile energia collettiva, che proclamava la dura lotta, na lei ou na marra: «per legge o con la forza», per difendere la vita dei popoli e del pianeta. E, negando tutte le chiacchiere che diffidano dei giovani di oggi, abbiamo incontrato giovani che riaffermano serenamente e radicalmente il loro impegno per le lotte dei loro popoli.
In questo Congresso, la CPT è rimasta quasi in silenzio e non ha voluto guidare il processo moltiplicando i suoi discorsi in plenaria. Forse è stata quasi costretta al suo ruolo fondamentale di ascolto dai contadini, da sempre capaci di parlare autonomamente. Sembra la rinnovata profezia sul nostro ruolo di servizio, che esclude l’avanguardismo presuntuoso e, allo stesso tempo, anche l’illusorio «basismo».
Non ci è voluto molto per scoprire un’altra realtà sorprendente: questa energia collettiva era un’energia femminile potente, sicura, determinata e forte. Energia che si è modulata in un abbraccio che ha coinvolto tutti, senza escludere nessuno nella chiamata a combattere contro il sistema maschile e patriarcale. Un abbraccio sororale che rinunciava a costruire muri e recinzioni. Una rete di complicità critiche e autocritiche. E la pastora luterana Romi Benke, guidata da teologia e poesia, ha voluto dare il nome giusto a questo «abbraccio», ricordando che nel Tanakh lo Spirito Santo è femminile: ruah! Insomma, osiamo affermare che il V Congresso ci è stato dato come una piccola Pentecoste femminile, che ci parla di un ruolo innegabile e fondamentale delle donne nelle lotte di oggi e alimenta la nostra speranza nel domani.
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Straordinaria, al punto da abbracciare e illuminare ogni angolo nascosto del sacro, è stata la benedizione di Dona Maria Roxa, sciamana Akroá-Gamella, una pacifica trasfigurazione di religiosità che normalmente privilegiano il maschile patriarcale.

Foto: Helenna Castro / CPT-BA
Esemplare, tra le molte altre testimonianze di donne, è stato il discorso di Marly Borges, del quilombo Guerreiro, Parnarama, Maranhão. Ha offerto un’analisi della situazione attuale, con incredibile e accattivante chiarezza e passione, senza però ridurla alle più recenti aggressioni e lotte del quilombo Guerreiro, collocandola in contesti più ampi, che includono il ruolo genocida del capitale e dello Stato, a livello internazionale. Ha descritto con numerosi esempi ciò che gli esperti chiamano guerra civile e lotta di classe: L’agrobusiness è venuto per uccidere il pianeta e noi siamo parte del pianeta. Si definiva una guerriera imbattuta e invincibile, erede della lotta dei suoi antenati e felice perché un nipote, ancora bambino, le ha confessato che erediterà questa lotta dopo la sua morte.
Questa sensibilità era esplicita nei contadini del Congresso, che non si sono limitati a trattare la questione della terra in termini frammentati e provinciali, consapevoli che, oggi, la violenza planetaria del progetto coloniale dell’Occidente si rivela in una pienezza senza precedenti in un progetto genocida non più mascherato. Quello che sta accadendo alle popolazioni indigene della Palestina e ai Guarani-Kaiowa del Mato Grosso, nonostante le differenze statistiche, è lo stesso processo coloniale che vuole distruggerli e nasconderli definitivamente.
Di fronte alla continuità e crescita spaventosa dell’estrema destra, bianca, suprematista, antidemocratica, aporofoba, razzista, misogina, anti-LGBTQIAP+, negazionista, fondamentalista e tradizionalista, guerrafondaia, non c’è più posto per gli indigeni e i poveri né nella Pindorama, né in Abya Ayala, né a Gaza, né in Europa, né negli Stati Uniti. A loro è riservato il genocidio, l’espulsione di massa se sono migranti in fuga da guerre e fame, l’esclusione costitutiva dal banchetto della vita se sono popoli africani.
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In sintesi, la gioia del Congresso non è stata la sospensione temporanea delle sofferenze indigene e contadine. È stata, senza una soluzione di continuità, un’affermazione di lotta, ispirata dalla presenza liberatrice di Gesù e di Maria di Nazareth, testimoni e martiri, santi, «encantados»: fratelli e sorelle passati a un’altra forma di esistenza, continuando presenti come compagni di strada, Orixás e antenati di Palmares, Canudos, Caldeirão de Santa Cruz do Deserto, Contestado, Cabanagem, Balaiada, Trombas e Formoso, Ligas Camponesas, Encruzilhada Natalino… Una gioia che non può, però, mettere a tacere il grido di dolore e di rivolta, colonna sonora drammatica che accompagna cinquecento anni di genocidi indigeni, colonizzazioni materiali e spirituali, schiavitù, accaparramento doloso e fraudolento di terreni, pubblici o comunitari, espropriazione di territori, latifondo ed emarginazione. Colonizzazione che non è un mero processo di dominazione territoriale, ma una violenza sistematica contro i corpi delle donne, degli indigeni, dei neri e dei meticci. Colonizzazione che non è solo una conquista violenta della terra, ma anche il dominio dell’anima e del sacro, con l’imposizione di credenze, cosmologie e pratiche religiose, per sostituire le religiosità considerate false e diaboliche.

Foto: João Palhares / Agro É Fogo
Mentre continuiamo a sorprenderci del miracolo dell’indomabile insistenza dei contadini di Abya Ayala nel rompere il filo spinato e tessere le ragnatele, invochiamo la ruah divina, perché rafforzi le organizzazioni, le articolazioni, le riconquiste territoriali e spirituali, le ricostruzioni dei saperi ancestrali e le lotte per salvare la Vita.
E ricordiamo la profezia esistenziale, che trova la sua piena rivelazione nella vita dei nostri fratelli e sorelle che hanno testimoniato la loro fedeltà con il martirio, parenti di Gesù, il Figlio dell’uomo che lotta contro i poteri di questo mondo e sulla croce sconfigge definitivamente la violenza e la morte.
E le profezie esistenziali che, prima di rivelarsi nella resistenza e nella lotta, sono una ricerca di fedeltà all’eredità ancestrale nel modo di rapportarsi alla terra non come una «cosa», peccato mortale del capitalismo, ma come un «tu» fraterno, sororale, filiale, alla scuola di Francesco e Chiara.





