È il momento di ascoltare storie di vita di chi esterna la propria omosessualità per capire quanto di positivo possa esserci. È questa la convinzione espressa dal teologo vicentino don Dario Vivian pubblicata sul settimanale diocesano “La Voce dei Berici” l’11 luglio 2021.
«Le persone omosessuali hanno doti e qualità da offrire alla comunità cristiana: siamo in grado di accogliere queste persone, garantendo loro uno spazio di fraternità nelle nostre comunità?». Questa affermazione, che diventa una domanda, è risuonata al Sinodo dei vescovi sulla famiglia. L’avevano proposta nella relazione a metà della discussione sinodale, poi è stata tolta.
Passi in avanti ne sono stati fatti, nella Chiesa cattolica, sul tema dell’omosessualità. Dalla condanna in nome di ciò che è secondo natura e contro natura, all’accettazione della persona omosessuale…, purché metta tra parentesi il suo orientamento sessuale e soprattutto non arrivi a praticarlo.
Le persone omosessuali dono per la comunità?
In inglese c’è una frase significativa: Don’t ask, don’t tell, non chiederlo e non dirlo. Da sempre le comunità cristiane e la Chiesa cattolica nel suo insieme si è arricchita di doti e qualità delle persone omosessuali tra le cristiane e cristiani laici, le religiose e i religiosi, i preti e vescovi. L’importante è che non divenga esplicito. In questo la Chiesa trovava e in parte trova ancora sintonia con la società, ma da noi il vento sta cambiando e questa alleanza di sostanziale condanna viene meno sempre di più.
Che sia occasione di un ritorno all’esempio di Gesù, che ha condiviso con tutti gli irregolari del suo tempo lo sprezzante giudizio di essere un eunuco?
Forse è venuto il momento di ascoltare storie di vita, nelle quali chi vive l’omosessualità possa raccontare non solo le difficoltà, ma anche quanto di positivo ha segnato gli affetti e le relazioni, donando una comprensione più significativa del vangelo. Non aspettiamo però i pronunciamenti dall’alto, che arrivano sempre dopo e spesso tardi, ma iniziamo a farlo nei gruppi, nelle associazioni, nelle parrocchie.
Nel mondo omosessuale si distingue tra coming out e outing. Il primo temine indica che la persona ha sentito la libertà di dichiararsi, il secondo invece che sono stati altri a dirlo a tutti, spesso in modalità giudicanti o addirittura violente.
Outing nelle comunità cristiane se ne sentono e talvolta sono voci diffuse ad arte. E se creassimo l’occasione di coming out fraterni e solidali, non per compassione, ma per convinzione appunto delle risorse anche spirituali che la condizione omosessuale è per la Chiesa?
Chi benedice chi?
Ha suscitato reazioni diverse la dichiarazione della Congregazione per la dottrina della fede, che nega la benedizione alle coppie omosessuali. Il cardinale di Vienna non ha esitato a dirsi disobbediente: «Non sono stato contento di questa dichiarazione. Se è sincera ed è domanda della benedizione di Dio per un cammino di vita che due persone stanno cercando di percorrere, allora non sarà negata». E si tratta del primo estensore del Catechismo della Chiesa cattolica, che però ha colto l’azione della grazia.
Tempo fa invitò a cena due ragazzi omosessuali, che avevano stabilizzato la loro unione con riconoscimento civile e per questo vennero esclusi dal consiglio pastorale parrocchiale. Dopo la serata trascorsa con loro, il vescovo scrisse al parroco di reintegrarli, perché edificato dalla loro fede.
Nella sua disobbedienza, giustamente riconosce che la benedizione è di Dio, che i suoi doni li fa non interrogando prima le dichiarazioni della Chiesa.
Il vero scoglio è di come s’interpreta la relazione tra persone dello stesso sesso: si può parlare, come si è iniziato a fare, di amore omosessuale? Se sì, la parola di Dio è chiara: «L’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio, perché Dio è amore» (1Gv 4,7-8). Riconoscere con gratitudine questo amore non è più, nella Chiesa cattolica, di qualcuno dottrinalmente e pastoralmente spericolato.
Un altro cardinale, stavolta di Monaco, osserva: «Se c’è una relazione omosessuale, fedele per trent’anni, non posso dire che non è niente».
Chiediamoci se queste storie d’amore ricche di grazia debbano restare tra i gruppi di omosessuali credenti, come il gruppo La Parola che c’è in Vicenza, oppure possano iniziare ad essere condivise nella vita quotidiana delle parrocchie.
Cammino sinodale
La Chiesa italiana – e quindi anche la diocesi di Vicenza – è stata messa da papa Francesco in stato di sinodo. Il camminare insieme può escludere le persone omosessuali in quanto portatrici di doti e qualità, non nonostante la loro condizione, ma grazie ad essa?
Nei giorni in cui la Santa Sede è intervenuta in riferimento alla proposta di legge Zan, papa Francesco ha scritto una lettera autografa a padre James Martin, da tempo impegnato nella pastorale con le persone omosessuali: «Lo stile di Dio ha tre tratti: vicinanza, compassione, tenerezza. Questo è il modo in cui si avvicina a ciascuno di noi. Pensando al tuo lavoro pastorale, vedo che cerchi continuamente di imitare la stile di Dio. Prego affinché tu possa continuare in questo modo, essendo vicino, compassionevole e con molta tenerezza».
E se il primo dono di queste persone alla Chiesa, alle nostre parrocchie, fosse proprio quello di farci riapprendere lo stile di Dio sperimentato nella concretezza del loro osteggiato amore?
L’amore omosessuale non per tutti è acquiescenza alla lussuria o desiderio di realizzazione intramondana: per i gay credenti è una vocazione, che impegna la persona, la sua coscienza e la sua anima immortale; è una condizione di cui si porta pienamente la responsabilità, anche di fronte a Dio.
L’amore “sessuale” (non inteso nel senso solo fisico ma come amore di desiderio) è sempre realizzazione o appagamento intramondano. Etero o omo, quando questo amore confligge con la volontà di Dio così come è espressa nella Rivelazione – e ciò può avvenire in tanti modi – crea in noi una profonda frattura (che è il disordine di cui parla il Catechismo della Chiesa Cattolica). E siamo noi stessi poi a portarne con profonda sofferenza le stimmate nella nostra carne viva, a volte senza neanche rendercene conto. Lo Spirito Santo ci faccia vedere coi suoi occhi la nostra vita e ci trasformi sempre più ad immagine del Figlio.
Spiace constatare che si fanno tanti discorsi, a volte direi elucubrazioni, sulla parola di Dio manipolandola a proprio piacimento e piegandola allo “spirito del tempo” (da non confondersi coi “segni dei tempi”). E’ francamente stucchevole elencare i passi dell’antico e del nuovo testamento (Vangeli inclusi) in cui la pratica omosessuale è chiaramente condannata e la sessualità umana è declinata unicamente come rapporto uomo-donna all’interno del matrimonio.
Ora, a meno di non seguire la pratica ermeneutica del p. Sosa (per intenderci quella de “ai tempi di Cristo non c’era il registratore”), occorrerebbe che si dicesse apertamente di voler andare “contra scripturas” assumendosene la reponsabilità nei confronti delle persone omosessuali – senza infingimenti – così come faceva Gesù (che però è il Logos incarnato). Purtroppo la morale opportunistica di marca liberale sta travolgendo anche la nostra onestà intellettuale, spingendoci ai più estremi funanbolismi pur di giustificarci da soli dinnanzi a Dio (questo lo dico prima a me stesso). Sullo sfondo resta la sofferenza delle persone omosessuali credenti che, volendo valutare con onestà il dato rivelato, non si risolve col semplice inclusivismo contemporaneo.
Quanto alla “compassione, vicinanza e tenerezza” io le vedo esercitate quotidianamente nelle parrocchie dove tante sono le persone omosessuali notoriamente presenti e attive senza pretendere che si benedica la loro vita affettiva o attività sessuale (quando contrarie alla legge divina). Esse danno il loro apporto ben sapendo di non essere in una perfetta obbedienza alla volontà di Dio ma d’altronde chi di noi figli di Dio lo è? Tuttavia il Signore chiama ognuno di noi a conformarci a Cristo sempre più, allo scopo di farci raggiungere la maturità dei figli di Dio.
Ecco il vero camminare insieme, partendo ognuno dalle nostre miserie (senza amarle), diretti verso la metà che Dio ci pone davanti che è quella della santità al suo cospetto nell’amore ai fratelli, in Cristo Gesù.
Ma se il nostro scopo non è più questo ma diventa unicamente la nostra realizzazione intramondana allora ogni dottrina “contra scripturas” diventa lecita, alimentata dall’andirivieni continuo delle “dottrine” dominanti nel tempo, le quali fanno e disfano le visioni della vita e dell’identità individuale. Scusate la logorrea e grazie per l’attenzione.
Lei è sicuro che le Scritture condannino senza appello le relazioni di amore omosessuale? Ha la preparazione esegetica ed ermeneutica per dirlo? Oppure le basta interpretare alcuni versetti o passi al di fuori del loro contesto? Le ricordo che esiste il metodo storico-critico e che l’interpretazione fondamentalista è chiaramente disapprovata dal Magistero Cattolico. E soprattutto le ricordo che qualsiasi interpretazione della Scrittura in contrasto con l’Amore di Dio rivelato in Cristo è sbagliata. Esistono, su questo, studi autorevoli che dimostrano come e perché è legittimo mettere in discussione il Magistero -che fra l’altro ormai mette in discussione se stesso. Oppure (spero di no) per lei è importante che le Scritture forniscano una pseudo-giustificazione al suo personale disgusto verso l’omosessualità? Per stare bene con Dio è davvero così necessario avere qualcuno da disprezzare, come il fariseo al tempio?
Come sempre in questo tipo di dibattito si scade nel processo alle intenzioni del contraddittore col malcelato scopo di svalutarlo (mio disgusto verso l’omosessualità… bah). Purtroppo darmi del fariseo o dell’odiatore (ahimé prassi oramai fin troppo abusata) non avvalorerà le sue tesi.
Lei parla di interpretazione fondamentalista contraria al Magistero cattolico salvo poi sostenere che è legittimo metterlo in discussione quando va contro l’amore di Dio rivelato in Cristo… e come il Magistero sarebbe andato contro l’amore divino? Piuttosto è proprio l’amore di Dio che ha spinto in ogni tempo la Chiesa ad indicare ai suoi figli la via della santità nella verità così come ha fatto e fa Cristo. Quanto ai versetti decontestualizzati temo che questo tipo di problema lo abbiano gli ermeneuti-funamboli sostenitori di un vero e proprio revisionismo biblico. Infatti – e un esempio per tutti sono le lettere paoline – è proprio il contesto testuale ad essere profondamente avverso all’omosessualità per cui non c’è proprio bisogno di decontestualizzare nulla per interpretare molti passi nel senso del Magistero millenario della Chiesa. Così arriviamo al metodo storico-critico che – nelle mani di alcuni – suole diventare metodo storicista. Infatti dallo studio del “sitz im leben” – fondamentale per la comprensione dei testi antichi – si passa con nonchalance alla sistematica ed ideologica svalutazione dei versetti in argomento perché “condizionati dalla cultura del tempo”. E’ evidente il fraudolento passaggio dallo studio del milieu storico per la comprensione testuale all’utilizzo dello stesso milieu per far dire (o non dire) al testo ciò che si vuole. Infine una parola sugli studi autorevoli. Il tempo delle “auctoritates” e degli “ipse dixit” sono ben tramontati. Quindi se si vuole sostenere una tesi, come lei tenta di fare, o si utilizzano argomenti chiari e ragionevoli basati sulle vere autorità che sono il Magistero e le Scritture oppure il dialogo diventa stucchevole. Beh spero di non averla disgustata ulteriormente col mio fariseismo. La saluto fraternamente rammentandole che quando uno è in Cristo è una persona nuova perché si lascia trasformare oltre ogni ideologia o desiderio carnale: l’uomo/donna maturo in Cristo è diventato una persona spirituale. Non per questo è una persona disincarnata ma restando con i piedi al suolo, le mani strette a quelle dei fratelli (etero o lgbtqi+ non conta) guarda al cielo ed al secolo futuro in cui saremo come angeli.