Non solo messa e parrocchia

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Lo scorso 20 gennaio la tenda del Pizzigoni, la nostra chiesa parrocchiale di Longuelo (BG), ha ospitato la teologa francese Valérie Le Chevalier, molto vicina per pensiero e per formazione alla Compagnia di Gesù che gestisce a Parigi l’istituto universitario Centre Sèvres, e, in particolare, a padre Christoph Theobald. Valérie è laica, moglie e madre, e ha concluso in età adulta il suo percorso di studi teologici. Qualche anno fa ha pubblicato un saggio, edito in Italia nel 2019 dalle edizioni Qiqajon di Bose, dal titolo Credenti non praticanti. Il libro, che si interroga sull’attenzione che la Chiesa dovrebbe dare a tutte quelle persone – e oramai sono la maggior parte – che, pur non frequentando regolarmente la messa, sono, si sentono, vorrebbero dirsi, cristiani cattolici. Le abbiamo posto alcune domande, questioni urgenti anche per noi, che siamo alla ricerca di un modo di essere e fare Chiesa che accolga le istanze nuove, prendendo atto della crisi che sta svuotando le nostre chiese. L’incontro è stato organizzato insieme con altre parrocchie, la comunità San Fermo, l’ufficio per la pastorale sociale.

– Signora Valérie, la crisi del cristianesimo è la fine di un mondo oppure è un momento nel quale dobbiamo intravvedere lo spuntare di nuovi germogli? E che ruolo hanno la Chiesa e i cristiani in questa situazione?

Io credo che la crisi sia presente da sempre nel cristianesimo. Non conosco epoche del cristianesimo in cui non ci sia stata crisi e in cui il magistero non abbia provato a regolamentare la vita dei fedeli laici.

Per contro, nella storia del cristianesimo – in particolare in Francia – c’è stato, tra la Prima e la Seconda guerra mondiale, una crisi importante in seno della Chiesa: i vescovi si sono appellati ai sociologi per analizzare il popolo cristiano.

Questa inchiesta ha considerato i fedeli come praticanti solo in relazione alla loro partecipazione alla messa, senza tener conto della preghiera, delle opere di solidarietà, della pietà popolare.

Negli anni ’50-’60, dunque, molti cristiani francesi si sono scoperti non praticanti, perché non si recavano alla messa con cadenza settimanale. Tuttavia, l’appartenenza alla Chiesa è a molti livelli: ci sono i preti, i religiosi e i praticanti, ma c’è anche chi si avvicina per chiedere il battesimo, il funerale, il matrimonio. Sono persone che conoscono l’indirizzo della parrocchia e, ogni tanto, vengono a bussare alla porta.

Io, Valérie, noi cristiani, dobbiamo fare in modo di non impedire l’accesso ai sacramenti di chi – secondo noi – ha una fede non solida o non esplicita.

– Secondo la sua tesi, le comunità hanno ereditato dalla tradizione cristiana una forte attenzione alla figura del discepolo a scapito di numerose figure, come, ad esempio, la folla che seguiva Gesù. Forse la figura del discepolo può rappresentare il problema delle nostre comunità parrocchiali?

Dopo la moltiplicazione dei pani, Gesù rimanda a casa le folle. Queste persone sono anche loro inviate in missione e la loro storia è raccontata nei vangeli: ricordiamo la Samaritana al pozzo di Sicar, il cieco Bartimeo, la donna cananea che avvicina Gesù. Questi personaggi minori sono molto importanti.

Le nostre chiese e le nostre comunità sono dei luoghi di passaggio e dobbiamo sentirci liberi di lasciare tornare a casa le persone che passano. Gesù di Nazaret agiva con incondizionata gratuità.

Noi, che siamo discepoli e siamo radicati nella comunità, ci dobbiamo sentire investiti da una responsabilità nei confronti di tutti coloro che sono di passaggio e che hanno un altro modo di stare in relazione con Cristo. Il nostro modo di comportarci con loro non deve impedire il loro avvicinamento: come dice papa Francesco, dobbiamo essere dei doganieri.

 – In ordine all’esperienza di fede, qual è il ruolo delle pratiche rituali? La centralità dell’eucaristia è diventata un problema rispetto al valore di ogni cammino di fede?

Per prima cosa, occorre dire che l’ultima cena di Gesù non è stata una moltiplicazione dei pani: Gesù ha invitato solo dodici persone e ha chiesto loro di replicare la cena in memoria di lui, per molti, in remissione dei peccati.

Il Covid ci ha fatto sperimentare che si può sopravvivere senza la messa e che la vita ha dimensioni eucaristiche. Ci siamo resi conto che l’eucaristia è un sacramento che può fare a meno della nostra presenza, ha bisogno solo di una persona per essere celebrato: il prete. Abbiamo sperimentato che fare comunità è diverso dall’essere presenti in chiesa al momento dell’eucaristia.

Questo deve metterci in questione: l’eucaristia è vitale, ma c’è altro che accade in questo sacramento che ci supera e ci rende non necessari.

– Se le pratiche religiose non sono più così decisive per i credenti, ci troviamo davanti a un possibile dissolvimento dell’idea di religione?

No, io penso che la presenza di luoghi di riferimento, come la parrocchia, sia indispensabile. Prenderanno forse forme e modelli diversi, ma il cattolicesimo deve continuare ad esistere e ad essere visibile e ospitante.

Dobbiamo continuare a trasmettere ai nostri figli, ai nostri eredi, le nostre passioni per la montagna, per il jazz, per il buon vino e, nel pacchetto delle trasmissioni, non dobbiamo smettere di trasmettere la nostra fede, in un modo o nell’altro.

– Valérie, lei è donna, mamma, moglie, teologa, credente, praticante: è una persona adatta a parlare del ruolo della donna nella Chiesa.

Io credo che il ruolo delle donne nella Chiesa sia di essere una sorta di partner di Dio. Non è immodesto ciò che dico: infatti, nella storia biblica si può leggere che Dio lavora molto spesso con le donne.

Personalmente non combatto perché le donne diventino preti o diaconi, ma perché non sia più necessario un sacramento per diventare ministri della Chiesa. Penso che la teologia dei ministeri debba riflettere seriamente su questo.

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6 Commenti

  1. Tobia Cioce 21 febbraio 2023
  2. SAVIO GIRELLI 20 febbraio 2023
  3. Fabrizio Ferretti 18 febbraio 2023
    • Arcangela 20 febbraio 2023
      • Pietro 21 febbraio 2023
  4. Tommaso 16 febbraio 2023

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