
Sono trascorsi dieci anni dalla pubblicazione della nota pastorale «Create in Me a Clean Heart» approvata dai vescovi degli Stati Uniti nel 2015 come «risposta pastorale alla pornografia». Il fenomeno veniva descritto – dopo «la bellezza e la vocazione della persona umana in Cristo» (cap. II) – nella sua natura di grave offesa alla dignità umana il cui impatto si riconosceva esponenzialmente accresciuto per la diffusione e facilità di accesso della rete.
Dieci anni dopo, l’episcopato americano ha scelto di ripubblicare la stessa nota pastorale con un titolo appena diverso («Create in Me a Pure Heart»), aggiungendovi una nuova prefazione curata dalla stessa Commissione per il laicato, matrimonio, vita familiare e giovani che aveva già preparato il testo approvato nel 2015.
Vi sono alcune ragioni precise che hanno spinto a ripubblicare il documento e che la prefazione esplicita. La prima è la presa d’atto di una diminuita coscienza critica circa la pericolosità del fenomeno e delle sue conseguenze. «Durante il decennio dalla prima pubblicazione della risposta pastorale alla pornografia – scrivono i vescovi – il contrasto a questo grave male si è in generale affievolito tra la popolazione». Coloro che valutano la pornografia «moralmente accettabile», secondo un sondaggio del 2022, sono il 41% degli intervistati (erano il 34% nel 2015).
La seconda ragione è la percezione di una svolta in negativo provocata dalla crisi della pandemia da Covid19. Tra le motivazioni del ricorso alla pornografia, infatti, la nota riconosce alcune «ferite personali profonde» che sono state accentuate da tendenze seguite alla crisi pandemica. Prima fra tutte l’isolamento sociale, che il testo descrive come espressione di una vera «epidemia di solitudine» (nel 2018 gli americani trascorrevano da soli in media 40 ore alla settimana; dopo la pandemia sono diventate quasi 48). L’isolamento – anche per l’accresciuta esposizione ai social media – non solo provoca seri danni alla salute mentale (soprattutto nelle persone più vulnerabili, come gli adolescenti, effetto ormai attestato da numerosi studi), ma «minaccia uno dei desideri più profondi del cuore umano»: quello di stabilire e vivere relazioni che siano genuina espressione della dignità personale di tutti, compresa evidentemente la dimensione della corporeità, sul cui valore il testo insiste opportunamente.
«La carenza di opportunità di relazione con altri e l’erosione delle istituzioni sociali possono frustrare tale desiderio fino al punto di causare il ritiro volontario del singolo nell’isolamento come apparente stato di comfort. In questo isolamento, la pornografia si offre come ingannevole sostituto di una concreta relazionalità». Questa scelta ha una serie di conseguenze negative che i vescovi richiamano e approfondiscono. Non ultima, quella di corroborare una chiusura mortificante della persona su di sé (dentro la sua «bolla») che toglie libertà, rende più difficile la dinamica sociale e minaccia la stessa apertura alla trascendenza e dunque la relazione con Dio e la vita spirituale.
La terza ragione è la strategia «opaca» portata avanti senza scrupoli dalla «industria pornografica», che ha fatto della tecnologia un’arma finalizzata a creare dipendenza tra gli utenti e talvolta per ingannarli e spingerli verso crimini anche molto gravi, come lo sfruttamento sessuale per scopi commerciali e il traffico di esseri umani.
La prefazione è molto dura ed esplicita nella condanna di tale strategia guidata dal profitto e favorita dal progresso tecnologico. Anzitutto, i vescovi riconoscono che l’industria pornografica utilizza intelligenze artificiali generative sempre più sofisticate in almeno due modi: «La creazione di un immaginario che esagera le attese dei consumatori e gratifica ogni loro impulso», coltivando nei fruitori atteggiamenti che accrescono le loro difficoltà di stare dentro a concrete relazioni di amore; e in secondo luogo, facendo uso «di persone realmente esistenti come base per la creazione di un immaginario deepfake [creato digitalmente – ndr]», senza il minimo consenso legalmente previsto da parte degli interessati (si cita, tra i tanti, il caso della cantante Taylor Swift).
A questo si aggiunge l’ingannevole induzione alla dipendenza da pornografia – attraverso le piatteforme digitali – dei soggetti più vulnerabili (i minori), spinti ad assumere atteggiamenti compulsivi. Un minore «può fare ricerche online per una parola che ha sentito e che non ha compreso; oppure può cercare contenuti inopportuni per curiosità. La mancanza di adeguate politiche di safeguard [la verifica dell’età dell’utente, ad esempio − ndr] da parte di molti siti rende questa precoce esposizione a materiale sessuale e violento un fatto comunissimo».
La nota denuncia inoltre la difficoltà – anche volendolo – di sottrarsi alla pervasività delle immagini veicolate oggi dalle piattaforme social media e il fenomeno di crescente induzione – attraverso la pressione dei pari o la falsa promessa di un facile guadagno – alla condivisione in rete anche di materiale pornografico personalmente prodotto. «Il modello di business dei maggiori siti pornografici è basato sul fatto di rendere dipendenti i giovani tanto che alcuni siti, anziché verificare l’età degli utenti – come legalmente prescritto – hanno eliminato ogni filtro».
Una serie di raccomandazioni ai genitori, ai chierici, agli educatori e alle autorità civili chiude la nuova prefazione della nota pastorale. Con un richiamo perentorio, che si rivolge ad intra e ad extra: «C’è ancora bisogno di accountability [di sviluppare prassi e norme che vincolino a dover rendere conto delle proprie responsabilità – ndr] per tutti coloro che consentono lo sfruttamento sessuale di minori e di altre persone vulnerabili, sia nella società secolare sia nella Chiesa. (…) Permettere agli abusatori e ai loro complici di sfuggire alla giustizia e di continuare a ricoprire ruoli influenti per preservare la propria reputazione è una cooperazione profonda al male».





