La nostra ipocrisia sul Medio Oriente

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Il presidente dell’Iran Ebrahim Raisi e il principe saudita Mohammed Bin Salman al vertice di Riyad dell’11 novembre

Ebrahim Raisi e Mohammed Bin Salman al vertice di Riyad dell’11 novembre

Il senso di oltraggio per la percezione dell’uso di due pesi e due misure nella politica internazionale è cresciuto molto rapidamente da quando Israele ha iniziato a bombardare Gaza dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre.

Si sente spesso l’argomento che Israele non sia chiamato a rendere conto di quello che fa come le altre nazioni, vista la sua storica indifferenza per molte risoluzioni dell’ONU sui territori occupati e come vengono trattate le persone che ci vivono.

Il fatto che Israele goda di uno status privilegiato come protegé degli Stati Uniti, che hanno messo il veto su 34 risoluzioni per proteggere il paese dalle critiche, esaspera queste perplessità.

Comunque, quelli che oggi protestano contro questa apparente indulgenza verso Israele non notano (o fingono di non vedere) che anche loro stanno applicando un doppio standard.

Nelle manifestazioni a Londra, Parigi o Berlino non si sente praticamente nulla sui massacri indiscriminati di bambini, bambini e anziani yemeniti, sudanesi, sud-sudanesi, tigray o rohingya.

C’è stata scarsa indignazione anche per i bombardamenti indiscriminati − talvolta con armi chimiche − di ospedali, scuole e rifugi in Siria, durante una guerra civile nella quale sono morte più di 500.000 persone e 6,7 milioni sono sfollate all’interno del paese, mentre altri 6,6 milioni hanno dovuto fuggire all’estero.

Mentre le proteste a difesa dei palestinesi sono numerose, c’è un sostegno pubblico ben modesto ai 13 milioni di rifugiati siriani. Anzi, per quanto un po’ paradossale, molti di loro sono diventati vittima dell’ostilità verso gli immigrati negli stessi paesi nei quali le proteste per i diritti dei palestinesi sono più diffuse.

Quando i capi di stato e di governo di paesi musulmani si sono incontrati a Riyad, in Arabia Saudita, l’11 novembre, abbiamo assistito a una manifestazione ancora più evidente dell’uso di un doppio standard, oltre che a una manifestazione dell’ipocrisia internazionale.

I paesi arabi e alcuni altri (in particolare Turchia e Iran) sfruttano la «causa palestinese» dagli anni Settanta per sostenere e legittimare le loro lotte per il potere domestiche e regionali.

Se oggi c’è ancora una questione palestinese, la maggiore responsabilità è proprio di questi paesi che hanno fatto qualunque cosa in loro potere per impedire ogni soluzione. Continuando a invocare il piano dei «due stati» continuano a fare quello che hanno fatto negli ultimi 70 anni, proprio perché sanno che quella dei «due stati» non è una soluzione.

Anche se per ipotesi fosse realizzabile, le sofferenze dei palestinesi finirebbero soltanto per aumentare, con «due stati» in una condizione di perenne odio e ostilità. Anche in questo caso, gli ipocriti sostenitori della «causa palestinese» potrebbero continuare a sfruttare e alimentare la tensione per i propri obiettivi.

L’incontro di Riyad è stato anche una prova di ipocrisia. I leader che si sono riuniti lì hanno condannato unanimi i crimini di guerra israeliani e chiesto l’intervento della Corte internazionale, di giustizia ma il padrone di casa, il principe Mohammed bin Salman, è stato accusato dei peggiori crimini di guerra in Yemen ed è accusato di essere dietro il brutale omicidio del giornalista Jamal Kashoggi a Istanbul nel 2018.

Tra i partecipanti all’incontro c’era poi Bashar al-Assad, responsabile di troppe atrocità nel conflitto in Siria, con lui Isaias Afwerki, presidente a vita dell’Eritrea, il cui governo è accusato di torture, detenzioni arbitrarie, lavoro forzato, con un esercito responsabile dell’invasione, dei saccheggi, degli stupri e delle uccisioni sistematiche in Tigray, insieme all’esercito dell’Etiopia, tra 2020-2021.

Infine, non poteva mancare il presidente dell’Iran Ebrahim Raisi, che ha una indiscussa reputazione per la propensione a violare i diritti umani.

Ovviamente, a Riyad, non hanno speso una parola per condannare gli attacchi del 7 ottobre e denunciare l’uso della popolazione di Gaza come scudo umano da parte dei miliziani di Hamas. Questa situazione rivela ancora una volta l’ipocrisia intrinseca nelle competizioni per il potere tra paesi che sfruttano senza scrupoli le sofferenze delle persone per ottenere ritorni politici.

In tempi di passioni surriscaldate, nei quali tutti si sentono chiamati a schierarsi da una parte o dall’altra in una presunta disfida tra bene e male, tra i buoni e i cattivi, è fondamentale mantenere una prospettiva più distaccata. E ricordarsi che in politica non ci sono «buoni» o «cattivi» in senso assoluto. Ci sono soltanto varie gradazioni di «cattivi».

  • Pubblicato sul Substack di Stefano Feltri Appunti, 15 novembre 2023

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