Libano: San Valentino di sangue

di:

nasrallah

Beirut 15 febbraio.

È stato un San Valentino di pioggia quest’anno in Libano, ma anche di sangue.

Giorno festivo, non per il patrono degli innamorati ma in ricordo dell’assassinio dell’ex primo ministro sunnita Rafik Hariri, fatto saltare da un’autobomba assieme ad altre 22 persone il 14 febbraio 2005, il giorno 131 del conflitto a Gaza ha forse segnato un’ulteriore tappa nell’escalation di violenza tra Libano ed Israele.

Hezbollah attacca

Mentre a Beirut autorità politiche e religiose, il figlio Saad in testa, e migliaia di simpatizzanti del Future Movement convogliavano festosi verso Martyrs Square dove Hariri è tumulato assieme alle sue guardie del corpo, di buon mattino dal Sud del Libano è partito un missile che si è spinto fino a Safad, capitale della Galilea, a trenta chilometri dal confine, uccidendo una soldatessa e ferendo altre sette persone.

Del resto il giorno prima il capo di Hezbollah Hassan Nasrallah l’aveva annunciato, durante un videocollegamento con un centinaio di suoi durante una celebrazione religiosa in una scuola della Dahye, la periferia sciita di Beirut: «Le nostre azioni termineranno solo quando Israele smetterà di attaccare Gaza. Se Israele allarga il conflitto, se crede di portare la guerra in Libano, noi siamo pronti a fare lo stesso, e per certo i coloni israeliani evacuati dai villaggi al confine con il Libano non saranno in grado di tornare nelle loro case».

Nasrallah ha anche aggiunto che le varie proposte per un cessate il fuoco nel Sud del Libano presentate nelle ultime settimane dalla comunità internazionale, ultima in ordine di tempo la proposta del Ministro degli Esteri francese Stephane Sejourne, «hanno un solo scopo: la sicurezza e la protezione di Israele. Ma non siamo né deboli né impauriti, e nessuno deve pensare di poter imporre al Libano le proprie condizioni, incluso il ritiro dei combattenti di Hezbollah» a dieci chilometri dal confine, come proposto da Sejourne.

Israele risponde

Detto, fatto. L’attacco su Sefad «costituisce una dichiarazione di guerra», ha commentato a caldo il Ministro per la Sicurezza Nazionale di Israele Ben Gvir. La risposta israeliana è stata dunque immediata: secondo fonti libanesi, tra pomeriggio e sera si sono registrati un attacco al villaggio di Al-Sowanah (due bambini di tredici e due anni uccisi assieme alla loro mamma); un raid su un edificio di Nabatieh, (quattro bambini, tre donne ed un uomo uccisi).

In una nota, Hezbollah ha fatto inoltre sapere che quattro dei suoi miliziani sono stati uccisi in diversi attacchi, tra cui uno nel villaggio di confine di Adshit. Dunque al momento il bilancio totale dei vari attacchi del giorno di San Valentino è di quindici vittime accertate e qualche decina di feriti.

Come è evidente, siamo lontani dalle operazioni di precisione condotte di recente da Israele, che hanno portato all’eliminazione di esponenti di spicco di Hamas come Saleh Arouri, ucciso a Beirut il 2 gennaio scorso, o di alti ranghi di Hezbollah come il vice Comandante del Radwan, le forze di élite della milizia sciita, Wissam al-Tawil, ucciso in un attentato sul confine l’8 gennaio.

Di pari passo con i combattimenti lungo i 120 chilometri di confine, una fascia che seguendo la Blue Line si addentra per circa quattro-cinque chilometri in ciascuno dei due Paesi, pare che sia Hezbollah che l’IDF stavolta stiano iniziando a spingersi in profondità nel territorio nemico, colpendo indiscriminatamente.

Scenari inquietanti

Mentre scrivo, si stanno susseguendo nel Sud nuovi bombardamenti israeliani, il cui bilancio è ancora prematuro. Per certo si sa che sono state interessate le località di confine di Jabal al-Labouneh, Alma Al-Shaab, Al-Bustan, Ayta Al Shaab e Naqoura, dove, ricordiamo, ha sede il corpo di pace di Unifil.

Certo è che l’escalation di San Valentino prefigura scenari inediti ed inquietanti, a meno che la comunità internazionale non riesca ad intervenire a livello diplomatico in maniera unitaria, compatta ed efficace per un effettivo cessate il fuoco nel Sud Libano.

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