Arvo Pärt: tra fede, preghiera e musica

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Il compositore estone Arvo Pärt compie oggi – 11 settembre – 90 anni. Molte le celebrazioni in Estonia e nel mondo (cf. Arvo Pärt Center). La musicista e teologa Chiara Bertoglio ricostruisce il percorso artistico dell’autore ed evidenzia le caratteristiche spirituali della sua musica.

  • Cara Chiara, perché Arvo Pärt appare – anche in ambito cattolico – tra i compositori di musica sacra contemporanea il più conosciuto?

La musica di Pärt si esprime con un linguaggio molto suo particolare, lungamente pensato – o meditato – proprio per istituire una comunicazione semplice ma nello stesso tempo profonda con gli ascoltatori. Risulta più facilmente ricevibile anche ad un primo ascolto, almeno a confronto con la musica di altri autori contemporanei.

Ricordo, in proposito, una compositrice di musica sacra molto interessante come Sofija Gubajdulina di cui abbiamo avuto modo di parlare su queste pagine a celebrazione dei suoi novant’anni (cf. qui su SettimanaNews).

La musica di Pärt si rifà ad antichi archetipi – in qualche modo familiari agli orecchi dei più – impiegati in maniera originale, attualizzante. Effettivamente, le sue composizioni sono conosciute e apprezzate da un pubblico piuttosto vasto e variegato, perché, di per sé, semplici, intellegibili.

  • In quale contesto storico-musicale si è formato Pärt?

Pärt è nato in Estonia l’11 settembre del 1935. Si è formato quindi nel contesto culturale di uno dei Paesi della allora Unione Sovietica. Sappiamo quali fossero le enormi dimensioni geografiche dell’impero sovietico e quali le politiche di centralizzazione, anche culturale, perseguite dal regime nel verso di una sola cultura, sostanzialmente quella russa. Nonostante questo sforzo impositivo, le specificità artistiche non potevano – e di fatto non sono – state cancellate.

Pensiamo che l’Estonia abbia ben poco a che fare con la cultura russo-slava; la sua lingua e la sua cultura recano impronte più germaniche e finniche che slave, baltiche appunto. In fatto musicale, l’Estonia ha una sua lunga tradizione corale che risale, almeno, sin dall’Ottocento. È nota per i grandi raduni corali che potevano raggiungere persino i 30.000 cantori. Questi cori hanno avuto grande parte nella conservazione dell’identità etnico-culturale estone a resistenza delle imposizioni del comunismo sovietico, tanto che, negli anni Ottanta, col manifestarsi delle più decise spinte all’indipendenza dall’URSS, il recupero della tradizione canora estone ha avuto la sua parte «rivoluzionaria».

Pärt, come i grandi talenti manifestatesi da tutte le regioni dell’Unione Sovietica, è stato, ad un certo momento, chiamato a formarsi nella centralità di Mosca e di Leningrado, portando, tuttavia, con sé l’eredità della tradizione corale estone e il portato di musicisti estoni classici, quali Rudolf Tobias e Heino Eller.

Ritengo che, a tutt’oggi, l’Estonia sia un Paese molto vivace musicalmente oltre che culturalmente: è il crogiolo di tanta musica cross, ovvero di intreccio tra generi musicali diversi, arcaici e moderni. E questa – come anticipato – è proprio una delle caratteristiche della musica di Arvo Pärt.

  • Puoi presentarci le fasi della vita del musicista-compositore?

Penso appaiano abbastanza evidenti le fasi che l’uomo e il musicista-compositore ha attraversato.

Una prima fase – tra gli anni Cinquanta e Sessanta – è quella degli studi e delle composizioni in Estonia. I modelli, per lui, come per molti altri compositori sovietici a quel tempo, erano Dmitrij Šostakovic e Sergej Prokof’ev, con tutte le contraddizioni esistenti anche tra e nei musicisti sovietici, che – come potevano – guardavano interessati agli sviluppi delle avanguardie musicali occidentali.

In questa sua prima fase, il Pärt compositore ha molto praticato lo sperimentalismo, tanto da produrre, nel 1960, studiando la musica dell’austriaco Anton Webern, un brano dodecafonico come Nekrolog; cf. YouTube). Chiaramente, la musica dodecafonica o seriale non era affatto gradita dai custodi di regime della cultura sovietica.

Una seconda fase di studio e di produzione nei centri principali dell’URSS, lo accosta ad altri autori – in particolare ad Al’fred Šnitke di cui pure abbiamo già parlato (cf. qui su SettimanaNews) – e potrebbe essere definita la fase del polistilismo, ossia della produzione che accosta e giustappone generi e linguaggi musicali anche molto diversi tra loro talvolta in maniera persino polemica, comunque drammatica, ma mai banale, secondo il vissuto degli stessi autori-amici per forza «sovietici».

È in tale periodo, verso la fine degli anni Sessanta, che Pärt inizia a manifestare, anche in musica, la sua fede cristiana, cosa ben poco gradita dal regime; periodo che culmina con la composizione del Credo «in Iesum Christum» del 1968 (YouTube).

Dopo questo, Pärt precipita in una crisi profonda, spirituale quanto artistica, durata ben otto anni, lontano dal mondo, nel silenzio, solo con l’affetto caro della moglie Nora, dalla quale riemergerà con composizioni quali Für Alina del 1976 (YouTube) e Tabula rasa del 1977 (YouTube), scritte con l’originale linguaggio musicale per cui Arvo Pärt è oggi conosciuto: lo stile tintinnabuli.

  • Cosa è accaduto in quegli otto anni di silenzio in Pärt?

È accaduta la scoperta o la riscoperta del patrimonio della musica liturgica, soprattutto occidentale cattolica, benché lui fosse ortodosso: il gregoriano e la polifonia rinascimentale. Pärt ha indagato e scoperto il legame profondo che esiste tra la parola – quindi la preghiera e la professione di fede cristiana – e la musica: una musica originata dalle parole della preghiera. Nel 1980 Arvo Pärt ha lasciato quindi l’Estonia – per un esilio più o meno volontario – alla volta di Vienna, prima, e Berlino Ovest, poi: la sua svolta artistico-spirituale non era più compatibile con la permanenza in Unione Sovietica.

  • E poi?

In Europa, Pärt si è rapidamente posto all’attenzione del mondo musicale internazionale, specie con le sue composizioni sacre, espressamente sacre: Passio Domini Jesu Christi secundum Johannem del 1982 (YouTube), Te Deum 1984 (YouTube), Stabat Mater 1985 (YouTube). Negli anni Novanta e Duemila ha continuato a comporre grandi opere sacre tanto in lingua latina, quanto in slavo ecclesiastico antico, inserendo una maggiore varietà di timbri e di cromatismi, pur conservando l’essenzialità dello stile tintinnabuli: ricordo il Salve Regina del 2002 (YouTube) e il Kanon Pokajanen del 1997 (YouTube).

  • Ci puoi spiegare lo stile tintinnabuli?

Il termine latino tintinnabula significa «campanella». Semplice, di per sé, ne è la tecnica: se non che dietro o dentro questo stile c’è un grande lavoro di studio e di riflessione.

Lo stile tintinnabuli prevede l’interazione di due (o più) voci musicali fondamentali: la prima procede «per grado congiunto», ossia percorre note consecutive – poche – della scala musicale, in senso crescente o discendente, al fine di produrre melodie tonali elementari; la seconda voce si muove sulle note di un accordo di «triade», come se davvero suonasse una campanella, ma ogni volta con piccole variazioni rispetto alla precedente.

La costruzione si caratterizza per tempi molto lenti, che comprendono sia spazi di suono che di silenzio, generando così uno stato di sospensione del tempo. L’interazione delle voci risulta all’orecchio gradevole. E le poche note, distese, scendono più facilmente giù, nelle profondità.

Lo stile tintinnabuli introduce ad un tempo dilatato – un tempo senza tempo – in cui è facile affondare nella meditazione o nella contemplazione, anche se Pärt ha preferito dire «concentrazione». È una musica che, all’ascolto, consente una gestione equilibrata della emotività, perché c’è intensità – sì – ma anche misura e compostezza.

  • Le radici dei tintinnabuli dove affondano?

Nel repertorio antico di cui dicevo, a proposito dello studio di Arvo Pärt: quindi, nel canto gregoriano, per lo più monodico, ad una sola voce, non accompagnato; e poi nella polifonia rinascimentale, eufonica, gradevole, con leggere dissonanze. Il gregoriano può essere assimilato alla prima voce dei tintinnabuli con linee semplici che procedono, per lo più, per grado congiunto; la polifonia al suono archetipico – leggermente dissonante – di una campana. Pur affondando, quindi, in tradizioni musicali cristiane antiche, quella di Pärt è una musica di natura spirituale universale; perciò, come dicevo all’inizio, risulta immediatamente fruibile a molti uditori, cristiani e non cristiani, credenti e non credenti.

  • È possibile attribuire significati teologici allo stile tintinnabuli?

Lo stesso Pärt ci autorizza ad attribuire significati teologici. Molti critici musicali, così come molto attenti ascoltatori, ravvisano nei tintinnabuli i riflessi della relazione tra l’uomo e Dio: la prima linea melodica è interpretabile come l’incerto procedere dell’umanità in cerca di qualche certezza in questo mondo; la seconda – fatta dagli accordi – è interpretabile come una presenza permeante, misteriosa, dolce e avvolgente: quella della divina presenza.

L’essenzialità del linguaggio musicale è significativa della essenzialità e della povertà evangelica, perché – all’esistenza veramente povera – basta vivere bene e in pace. I rintocchi della campana evocano naturalmente la preghiera e il fondamento liturgico dell’esistenza.

La ripetitività o la stereotipicità – per cui si è parlato di «minimalismo sacro» – può essere letta come l’equivalente musicale dell’icona ortodossa, per cui la figura sacra è riprodotta sempre allo stesso modo, eppure in una maniera che rivela ogni volta qualcosa di nuovo.

E poi c’è la lettura che attribuisce alle due voci, rispettivamente, i sensi del peccato e del perdono: cosa particolarmente evidente in alcune composizioni di Pärt.

  • Una musica così è sacra senza distinzioni?

Lo stile di Pärt è così pervasivo – così penetrato tra arte e vita personale – per cui è davvero improbabile tracciare una linea di separazione tra la sua musica sacra e quella non sacra, tra ciò che per lui – e per noi – è sacro nella vita e nel mondo e ciò che non lo è. Penso che la finalità della sua musica – come una missione – sia scoprire il sacro – o il santo o il divino – che c’è in tutta la realtà. Il significato etimologico di «sacro» in quanto «separato» qui non funziona.

  • Puoi presentare qualche opera di Pärt?

Ti propongo il Cantus in memoriam of Benjamin Britten.

Il Cantus in memoria di Britten è un’opera del 1977: è quindi tra le prime opere di stile tintinnabuli. È un’opera strumentale per orchestra d’archi e singola campana, della breve durata di circa 6 minuti (YouTube). È dedicato da Pärt al compositore britannico scomparso nel 1976, che lui, tuttavia, non ha conosciuto personalmente.

Britten è un compositore molto diverso da Pärt. Ma c’è qualcosa che avvicina i due, e che, a mio giudizio, risiede nella tradizione vocale sacra dei cori inglesi, caratterizzata da delicatezza, purezza e trasparenza, cioè da quanto si ritrova anche in Pärt, in cui è significativamente assente la gravità tonale dei cori dell’est, in particolare di quelli russi.

Nel Cantus traspare questa idea di purezza, secondo il nuovo pensiero tintinnabuli di Pärt: la linea melodica è costruita sulla discendente di «la minore», introdotta dai violini e ripetuta da tutti gli archi; mentre la campana rintocca e suona solo e soltanto la nota «la», percorrendo tutto il brano e rappresentandone, in qualche modo, l’anima. La struttura è a canone e, quindi, vi avviene la ripetizione, ma una ripetizione sempre un poco diversa e nuova.

Può definirsi un canto funebre, con reminiscenze dei tombeaux dell’epoca barocca; ma, nello stile di Pärt, diventa un canto che dice qualcosa di «obiettivo», di alto, che vale sempre, piuttosto di un canto sentimentale, soggettivo, per quanto struggente.

  • Fratres è uno dei brani più noti

La prima versione di Fratres è del 1980. Altre varie versioni – sempre strumentali – sono degli anni successivi, sino agli anni Novanta. Io stessa, con mio fratello al violino, ho voluto suonare la versione per violino e pianoforte (YouTube). Nella versione per orchestra si coglie bene il senso del vivere da fratelli, che è dato dal procedere insieme, dal camminare insieme, guidati e permeati da una grazia misteriosa.

  • Un’opera espressamente sacra è la Missa Syllabica.

La Missa è del 1977, tempo immediatamente successivo alla crisi e al silenzio degli otto anni. Con questa opera Pärt entra decisamente nel repertorio corale sacro con una Messa secondo il canone latino: resta, quindi, una delle opere più significative di quella svolta spirituale ed estetica di cui ho detto.

È detta Syllabica perché ad ogni sillaba del testo latino corrisponde una sola nota, senza alcun vocalizzo, per cui la lunghezza della frase musicale è determinata solo dalle parole; e il ritmo e le pause dalla punteggiatura. Il risultato è un canto essenziale, sobrio, chiaramente intelligibile, semplice, che porta l’ascoltatore a concentrarsi sulle parole in un un’atmosfera tersa, alta o profonda che dir si voglia; una musica-preghiera in cui non sono i sentimenti individuali a prevalere, bensì l’obiettività della Parola liturgica antica.

Non è fatto per provare tristezza nel Kyrie o gioia nel Gloria o un moto di assertività nel Credo, bensì per avvertire il senso del sacro – ovvero della divina presenza – che sta «obiettivamente» nella liturgia, come nella storia e nel mondo.

  • Il Miserere

Nel Miserere Pärt si misura, a suo modo, con una delle pagine più drammatiche delle Scritture – naturalmente il Salmo 50 – in cui il re David, a cui è tradizionalmente attribuito, confessa il suo peccato gravissimo ottenendo il perdono. Nello stile tintinnabuli Pärt tempera il dolore prodotto dalla lacerazione del peccato con la tenerezza e la dolcezza del perdono di Dio, secondo un’inclinazione teologica forse più ortodossa che cattolica. Ritengo, tuttavia, che, anche in questo Miserere, siano maggiori le influenze musicali del repertorio cattolico che di quello ortodosso, e che il precedente «antico» a cui Pärt ha rivolto l’orecchio sia il Miserere di Gregorio Allegri (YouTube) del 1630.

  • La musica di Arvo Pärt ha quindi poco a che fare col canto ecclesiastico ortodosso?

Più che dal canto ortodosso, penso che la musica di Pärt sia influenzata dalla teologia e dalla filosofia ortodossa, specie per quanto riguarda il culto, per via di quella «obiettività» del culto di cui dicevo.

Ci sono, indubbiamente, punti di contatto e punti di distanza col canto ortodosso in Pärt: una distanza l’ho evidenziata parlando del Cantus in memoriam of Benjamin Britten, là dove la chiarezza e la leggerezza di Pärt non coincide con la gravità delle voci profonde maschili, tanto caratteristiche dei cori ortodossi russi. Mentre molte affinità io trovo tra la musica di Pärt e la filosofia del culto delle icone ortodosse, ove la doratura delle stesse, ad esempio, esprime quella stessa luminosità di fondo che incontriamo anche nella musica di Pärt.

Il lavoro del pittore di icone corrisponde molto bene al lavoro di questo musicista che riprende stilemi antichi creando, per grazia, qualcosa di sempre nuovo e che affaccia sul divino.

Noto, infine, un’allusione alla teologia ortodossa della Trinità nella triade delle note dello stile tintinnabuli.

  • Possiamo concludere con il Padre nostro di Pärt?

Pärt ha composto il suo Vater Unser nel 2005, originariamente per voce di fanciullo (YouTube), oppure di contralto. È stato poi dedicato a Benedetto XVI; nel 2011 è stato eseguito in Vaticano in occasione del 60° anniversario dell’ordinazione sacerdotale del papa.

Questo brano – per suono e per struttura – si diversifica da altri che ho qui citato: non è così strettamente vincolato allo stile tintinnabuli: è un canto spontaneo, fresco, fluido. Vi ritorna quella idea, semplice, dolce, del perdono di Dio a cui ho già accennato: «rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori».

Lo stesso Pärt ne ha realizzato diverse versioni: per orchestra, per quintetto d’archi, per soli strumenti o con voce solista. Viene spesso eseguito, nelle nostre chiese e un po’ ovunque.

  • Come ti chiedevo all’inizio: perché questa popolarità?

In questo caso perché il Padre nostro è una preghiera davvero universale. Può essere facilmente adottata in contesti interreligiosi oppure totalmente laici. È la preghiera che Gesù ci ha insegnato: profondamente cristiana, quindi profondamente fraterna. La musica di Pärt radica le sue parole nei canoni antichi, ma con un’apertura naturale che è per tutti i contemporanei.

Altre interviste a Chiara Bertoglio su autori di musica sacra contemporanea ospitate su SettimanaNewsOliver MessiaenValentyn SilvestrovGiya Kancheli.

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Un commento

  1. Marco M. 12 settembre 2025

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