Ciao Sergio, drammaturgo della sinistra

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Alberto Ronchey ebbe a scrivere che nel Pci – erano i primi anni Ottanta – si svolgeva una sorta di autoanalisi di gruppo. Più esattamente era (in parte ancora è, a sinistra) uno psicodramma, nutrito da memorie, interviste, articoli, biografie e altro. A renderlo più che mai vivido e coinvolgente, grazie al connubio di parole e immagini e a tanta (auto)ironia, è stato Sergio Staino, che oggi ci lascia.

Vero scrittore per immagini, la sua arte è stata certo la satira, il racconto satirico a fumetti, ma, per quanto appena detto, egli è stato soprattutto il drammaturgo della sinistra. Ha vissuto cocenti delusioni, sapeva cosa fosse il disincanto, ma era sempre memore del “sogno di una cosa”, come ha dimostrato in occasione del centenario del Pci.

Il suo stile, il suo approccio alle cose della politica emersero più che mai nel ruolo di direttore de l’Unità. Sempre attento ai fatti; erano essi il suo metro di valutazione. Aperto alle varie ipotesi, desideroso di apprendere dalla realtà, senza preclusioni. Guardava in faccia eventi e persone, pur avendo perso la vista. Quando gli inviai una riflessione su Giovanni Giolitti, Gaetano Salvemini e la metafora dell’abito cucito su misura per un gobbo e necessariamente gobbo anch’esso, volle sentirmi al telefono. E, all’indomani di una batosta elettorale, pubblicò una mia lettera e a essa rispose in prima pagina: “Compagno, non ti avvilire”.

Da non credente, poi, era assai attento all’universo religioso. Non solo al fine di costruire ponti “orizzontali”, fra persone di buona volontà, nell’interesse degli umani, ma pure per un non effimero interesse per i vissuti di fede. Splendide le pagine del libro su Mosè, di cui era coautore: Il bambino che venne dal fiume.

Tu, Sergio, intuivi che eravamo diversi per temperamento: più ironico e sferzante tu, più serioso e “buonista” io, nel mio piccolo. Entrambi sinceri e appassionati, e per questo proponevi sul tuo blog i miei contributi. Grazie, di cuore.

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