Immanuel Kant: “Per la pace perpetua”

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Il 22 aprile 1724 nasceva a Königsberg, in Prussia, Immanuel Kant, uno dei giganti della storia della filosofia universale. Sollecitata da questo significativo tricentenario e dal bisogno di coltivare argini di pensiero contro le ondate di bellicosità e militarismo che salgono virulente da ogni parte del mondo, sono tornata a rileggere un piccolo saggio kantiano intitolato Per la pace perpetua, pubblicato in edizione tascabile da Rizzoli nel 2003 a cura di Laura Tundo Ferente, Professoressa Ordinaria di Filosofia Morale, Antropologia Filosofica e Bioetica presso l’Università del Salento.

La pace come progetto filosofico

Kant pubblicò Per la pace perpetua nel 1795, a ridosso di quel decennio 1781-1790 in cui il suo pensiero aveva toccato vertici di assoluto rigore con le tre opere fondamentali, Critica della ragion pura, Critica della ragion pratica e Critica del giudizio.

La riflessione sulla necessità della pace prendeva le mosse dalla rilettura di due eventi cruciali della contemporaneità, la Rivoluzione americana e la Rivoluzione francese. Nate in un alveo di conflittualità violenta, entrambe queste due rivoluzioni avevano avuto come esito delle solenni affermazioni di principio: la Dichiarazione d’Indipendenza e la promulgazione della Costituzione federale, negli Stati Uniti d’America; la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, in Francia.

Per Kant, ciò veniva a dimostrare, su un piano propriamente storico, che i popoli coltivano sempre idee di libertà e di giustizia e che ambiscono a tradurre queste idee in forme storico-politiche concrete.

La questione dell’utilità e necessità della pace fra gli Stati aveva già impegnato diversi pensatori, mossi prevalentemente da una sensibilità di tipo religioso, e Kant era consapevole del fatto che le considerazioni di carattere pacifista erano state generalmente accolte con indifferenza o derisione.

Perciò, nel breve e intenso saggio Per la pace perpetua, il filosofo rilancia l’idea della pace sulla base dell’imperativo etico del dovere, presentando la pace non come un sogno utopistico e buonista, ma come un valore storico universale, un principio in grado di indicare alla ragione uno scopo che, per quanto mai completamente raggiungibile in sé, si propone sempre come compito da perseguire.

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Il frontespizio del saggio kantiano

Zum ewigen Frieden. Ein philosophischer Entwurf von I. Kant: questo il titolo originario. La pace perpetua è per Kant un vero e proprio philosophischer Entwurf, un progetto filosofico.

La pace: un ideale razionale

Secondo Kant nella natura umana convivono due disposizioni fondamentali: da una parte la disposizione alla socialità e, quindi, alla cooperazione reciproca e alla convivenza; dall’altra la disposizione all’insocievolezza, con il suo corollario di egoismo e di isolamento.

Questo intimo antagonismo, radicalmente iscritto nella struttura antropologica dell’uomo, trova una modalità di composizione solo attraverso l’ordinamento sociale, che permette di realizzare il passaggio da una condizione naturale, in cui i rapporti sono governati dal principio della forza, a una condizione civile, dove i rapporti sono governati dal principio del diritto.

Dato questo assunto, la pace perpetua è per Kant un ideale fondato, razionale, non impossibile, che può essere perseguito nell’agire pratico, nella vita e nella storia. L’idea della pace può e deve essere discussa su un piano di universale praticabilità, cioè di costruibilità storica. La pace, per Kant, rappresenta l’orizzonte cui deve tendere e verso cui deve protendersi la ricerca umana.

Gli articoli preliminari

Per la pace perpetua si presenta come un piccolo opuscolo di una cinquantina di pagine, suddiviso in due parti: nella prima parte sono esposti gli articoli preliminari per la pace perpetua tra gli stati, mentre nella seconda gli articoli definitivi; seguono due supplementi e due appendici.

I sei articoli preliminari hanno lo scopo di delimitare la sfera d’azione degli stati:

  1. Nessun trattato di pace deve essere ritenuto tale se stipulato con la tacita riserva di argomenti per una guerra futura.
  2. Nessuno stato indipendente deve poter essere acquistato da un altro mediante eredità, scambio, compera o donazione.
  3. Col tempo gli eserciti permanenti devono essere aboliti.
  4. Non si devono contrarre debiti pubblici in vista di conflitti esterni dello stato.
  5. Nessuno stato si deve intromettere con la forza nella costituzione di un altro stato.
  6. Nessuno stato in guerra deve permettersi atti di ostilità tali da rendere impossibile la reciproca fiducia nella pace futura.

Balza subito all’occhio la straordinaria attualità di queste affermazioni. Sorprendente la proposta contenuta nell’articolo 3, relativa all’abolizione degli eserciti permanenti. Per Kant l’eliminazione degli eserciti costituisce un passo preliminare indispensabile per giungere ad una pacifica convivenza internazionale, in quanto gli eserciti permanenti rappresentano una minaccia incessante e un incentivo continuo a gareggiare, senza limiti, nella corsa agli armamenti.

Le spese sostenute per gli eserciti in tempo di pace sono più opprimenti di quelle sostenute in una breve guerra, e ciò diventa motivo per dare inizio sempre a nuovi conflitti. Senza contare che

«assoldare uomini per uccidere o per essere uccisi corrisponde a voler usare degli uomini come semplici macchine e strumenti in mano di un altro (lo stato): il che non si concilia con l’umanità presente in ognuno di noi».

L’articolo 5, relativo alla non intromissione e alla non ingerenza negli affari interni di un altro stato, mette in luce il fatto che, spesso, il pretesto filantropico dell’esportazione della democrazia non fa che celare e camuffare impeti imperialistici.

L’articolo 6 invoca un limite alla distruttività bellica. Come sottolinea Laura Tundo Ferente nella sua introduzione, questo sesto punto risulta estremamente significativo nel nostro tempo in cui non solo si è teorizzato, ma si è messo e si continua a mettere in atto lo sterminio come obiettivo in sé.

Dal momento che, oggi, la guerra è sempre più guerra contro gli obiettivi civili e gli atti di terrorismo, o di orrorismo, cioè di violenza sull’inerme – come lo chiama Adriana Cavarero –, con il loro portato devastante integrano e rinforzano la guerra tradizionale convenzionale, solo recuperando il senso dell’hybris e la consapevolezza di un limite che non deve essere oltrepassato si può preservare la fiducia nella possibilità di una pace futura.

Gli articoli definitivi

La convivenza pacifica, secondo Kant, non appartiene ad uno stato naturale – anzi, nello stato di natura il conflitto, se non in atto, è continuamente in agguato. Perciò l’aspirazione alla pace deve necessariamente passare attraverso il diritto. Solo nel diritto si può trovare la forma che permette di superare contrasti e conflitti: il diritto è chiamato a regolare non solo la convivenza umana all’interno dello stato, ma anche i rapporti fra gli stati.

Gli articoli definitivi sono tre:

  1. La costituzione civile di ogni stato deve essere repubblicana.
  2. Il diritto internazionale deve fondarsi su una federazione di stati liberi.
  3. Il diritto cosmopolitico deve essere limitato alle condizioni di una ospitalità universale.

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Per quanto riguarda il primo articolo, la storia del Novecento sembra aver dato ragione a Kant, giacché l’idea dello stato di diritto è stata accolta quasi universalmente.

Nel secondo articolo Kant afferma che è necessario che gli stati si uniscano tra loro nella forma di una federazione. L’obiettivo non è facile, il filosofo lo sa: gli stati temono di vedersi limitare la propria sovranità e respingono l’idea di assoggettarsi ad un diritto superiore. Ma, sostiene Kant, senza un’autorità sovrastatale e senza forme di coazione condivise non si può uscire dalla logica della guerra. Approssimarsi ad uno «stato di pace» attraverso una lega di popoli è un dovere nella prospettiva della ragione:

La ragione, dal suo trono di suprema potenza morale legislatrice, condanna assolutamente la guerra come procedimento giuridico, mentre eleva a dovere immediato lo stato di pace.

L’obiettivo non è, dunque, il singolo patto di pace (pactum pacis) che cerca di mettere fine ad una singola guerra, ma una lega della pace (foedus pacificum) che si proponga di mettere fine a tutte le guerre.

Proprio da questa idea kantiana di una lega di popoli allo scopo di perseguire la pace per prevenire i conflitti è nata, all’indomani della Seconda Guerra mondiale, l’Organizzazione delle Nazioni Unite. Ma il germoglio, ancora debole, stenta a crescere: tutta la storia recente non fa che confermare quanto siano numerose le difficoltà che impediscono di mettere in atto un’azione pacificatrice concretamente efficace a livello internazionale.

Il terzo articolo si apre con una affermazione perentoria:

Qui, come negli articoli precedenti, non si tratta di filantropia, ma di diritto, e quindi ospitalità significa il diritto di uno straniero, che arriva sul territorio altrui, di non essere trattato ostilmente.

La terra è sferica, scrive Kant, e perciò gli uomini non vi si possono disperdere all’infinito, ma devono rassegnarsi a vivere insieme e a coabitare in modo pacifico. Pensando all’idea di una cosmopoli secondo il modello federale degli Stati Uniti d’America, sancito solo pochi anni prima, nel 1787, dalla convenzione di Philadelphia, Kant afferma che lo straniero deve avere il diritto di entrare nel territorio di altri stati e di esservi accettato quale «coinquilino del pianeta».

Proprio questo principio di ospitalità universale può permettere di stabilire fra i popoli rapporti culturali e commerciali pacifici e relazioni di scambio che, promuovendo la reciproca conoscenza, rendano il genere umano sempre più fiduciosamente interdipendente. Il progetto filosofico kantiano si chiude auspicando la nascita di un diritto cosmopolitico. L’aspirazione universale alla pace deve promuovere la realizzazione di nuovi, più elevati istituti giuridici, che siano in grado di abolire e ripudiare definitivamente la guerra:

L’idea di un diritto cosmopolitico non è una rappresentazione chimerica ed esaltata del diritto, ma il necessario completamento del codice non scritto del diritto statale e internazionale, nel diritto dell’umanità in genere, per l’attuazione della pace perpetua, a cui possiamo sperare di avvicinarci a poco a poco solo a questa condizione.

Rileggere Per la pace perpetua sullo sfondo delle notizie atroci che giungono dagli attuali fronti di guerra, porta a sentire ancora più in profondità la forza di imperativo etico del «progetto filosofico» di Immanuel Kant: poiché la pace non è un’utopia o una chimera, ma qualcosa che la ragione può pensare e progettare come corrispondente al giusto, lavorare per la pace è, oggi più che mai, dovere imprescindibile di tutti e di tutte.

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3 Commenti

  1. Fortunato Prenestini 25 aprile 2024
  2. Miguel Calero Cobianchi 22 aprile 2024
  3. Laura 22 aprile 2024

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