A cavallo del 22 agosto, giornata dedicata dall’ONU alla memoria delle vittime della violenza antireligiosa sono usciti due studi importanti e due note sulla questione.
Gli studi riguardano l’impressionante crescita di vittime cristiane nella Nigeria (Observatory for Religious Freedom in Africa – ORFA, Contrastare il mito dell’indifferenza religiosa nel territorio della Nigeria) e la situazione precaria ma non drammatica della libertà religiosa nelle repubbliche asiatiche ex sovietiche (Conferenza episcopale tedesca, Arbeitshilfen n. 340).
Le due note riguardano, invece, le discriminazioni anticristiane nei paesi europei (Osservatorio di Vienna per l’intolleranza e la discriminazione contro i cristiani in Europa – OIDAC) e un aggiornamento dei dati da parte dell’organismo ecumenico Open Doors che fornisce ogni anno un Rapporto a livello internazionale.
Nigeria: 55.000 morti in quattro anni
In Nigeria dal 2019 al 2023 sono state uccise 55.000 persone. Il rapporto dell’ORFA, considerato il più dettagliato e completo fra quelli finora pubblicati, dice: «Durante il periodo considerato, in tutto il paese si sono verificati 11.000 episodi di estrema violenza, con oltre 55.000 omicidi e 21.000 rapimenti. Solo nella zona centro-sud del paese si sono verificati 3.007 episodi di estrema violenza. In 2.010 incidenti si sono registrati omicidi, mentre i rapimenti sono stati 700 e in 297 casi omicidi e rapimenti sono avvenuti insieme». Si tratta di una media di 8 attacchi al giorno.
Sorprende che tutto questo avvenga nella sostanziale indifferenza della polizia e dell’esercito impegnati in altri e più periferici conflitti con la conseguenza di dover parlare di una “cultura della violenza”.
Contrariamente a quanto si crede, i protagonisti attivi delle aggressioni e degli omicidi non sono tanto i movimenti islamici più noti come Boko Aram e Isis, responsabili del 10% circa delle violenze, ma la meno nota organizzazione paramilitare Milizia etnica fulani (popolazione dedita all’allevamento itinerante) che organizza i propri gruppi armati chiamati ad aggredire i villaggi degli agricoltori più piccoli e meno difesi.
L’intento della Milizia etnica fulani, anch’essa appartenente alla corrente dell’islamismo radicale, è di colpire in particolare i cristiani. Non è vero che si tratti di violenza etnica indiscriminata. Ha un preciso bersaglio: la popolazione cristiana. E lo fa senza alcuna resistenza delle forze dell’ordine attraverso omicidi di massa, rapimenti e torture.
Per Frans Vierhout, analista dell’Osservatorio della libertà religiosa in Africa, «milioni di persone sono lasciate indifese».
La Milizia etnica fulani agisce soprattutto nel Nord della Nigeria e attacca le piccole comunità agricole con aggressioni improvvise e devastanti. È vero che colpisce anche gli islamici, ma la proporzione è di un musulmano e tre cristiani. Il numero di cristiani uccisi è sette volte maggiore delle vittime musulmane. C’è una particolare aggressività nei confronti delle donne e delle ragazze.
«Gli attacchi che comportano omicidi e rapimenti trascinano con sé un intero spettro di violenze e sofferenze: comunità saccheggiate o occupate permanentemente; persone ferite o mutilate; donne e ragazze violentate; case, negozi e altre attività commerciali distrutte o sequestrate; campi devastati o occupati; luoghi di culto abbandonati, chiusi o distrutti; persone costrette a migrare dalle loro terre d’origine a situazioni terribili di sfollamento interno. Il pagamento del riscatto porta le famiglie e le comunità religiose sull’orlo della bancarotta, finanziando, allo stesso tempo, le operazioni dei gruppi terroristici».
Chi riesce a raggiungere i campi di raccolta degli sfollati, se è cristiano viene sottoposto a una ulteriore discriminazione sistematica per quanto riguarda il cibo e gli aiuti. Ecco una testimonianza: «Non appena entri in un campo e scoprono che sei cristiano e non ti converti, devi abbandonare il luogo» e, al di fuori, viene impedita la distribuzione degli aiuti internazionali.
Per Emeka Umeagbalasi, direttrice della società internazionale per le libertà civili e lo stato di diritto che segue in particolare le popolazioni cristiane della Nigeria, sarebbe urgente e necessario un intervento più deciso ed esplicito dei vescovi e della stessa Santa Sede presso tutti gli organismi internazionali.
Religioni nei cinque “stan” ex sovietici
D’altro tono e passo è lo studio della Conferenza episcopale tedesca che, anno dopo anno, dedica a una situazione geografica o nazionale. L’8 maggio è uscito il materiale di lavoro che porta il titolo: Sulla situazione sociale e civile dei paesi dell’Asia centrale. Grandi differenze e alcune somiglianze.
È il numero 340 degli Arbeithilfe che riguarda Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan e Turkmenistan. Appartenevano tutti all’ex Unione Sovietica e sono (relativamente) indipendenti dagli anni’90. Appartengono ai paesi della tradizionale “via della seta” che, dalla Cina, arrivava in Europa.
Dal punto di vista religioso sono a gran maggioranza di tradizione islamica e il modo di gestire le religioni e le fedi porta ancora oggi il segno della tradizione sovietica.
Il pericolo più temuto è il fondamentalismo islamico che ispira una regolamentazione piuttosto severa dell’insieme delle fedi.
In grande espansione è anche il panturchismo alimentato dal governo di Ankara.
L’impegno sociale e caritativo della Chiesa cattolica è apprezzato, ma si diffida a estenderlo ai non appartenenti. Il presidente della commissione episcopale per le missioni, mons. Bertram Meier di Augusta ha scritto: «I cristiani non sono perseguitati nella regione, ma la vita come piccola minoranza dentro degli stati “autoritari” pone una grande sfida a tutti i cattolici e alle altre comunità cristiane. Chi detiene il potere in tutti gli stati è ancora fortemente influenzato dalla politica religiosa sovietica. Le élites sfruttano la fede per politiche di potere e diffidano dell’esistenza indipendente delle comunità religiose. Le attività religiose devono essere registrate e consentite dallo stato».
Una presenza di qualche significato dei cattolici e dei cristiani avviene solo in Kazakistan, mentre negli altri è una piccolissima minoranza. Trattandosi di etnie di tradizione europea, in particolare polacchi e tedeschi, l’attuale flusso migratorio indebolisce le comunità locali. In Kazakistan la libertà di fede è garantita ma controllata e regolamentata in maniera significativa. Il paese si è aperto ad alcune riforme costituzionali che, tendenzialmente, offrono maggiore spazio al pluralismo. Fra le novità vi è l’assemblea nazionale (Kurultai) che raccoglie rappresentanze non solo politiche, ma anche religiose e sociali. Non è ancora chiaro il suo rapporto con il parlamento.
La presenza cristiana era soprattutto garantita dalle minoranze di origine tedesca che hanno raggiunto il milione e centomila persone. Ma, con i flussi migratori, si sono ridotte a 180.000.
Ogni due anni si celebra il congresso mondiale delle religioni a cui ha preso parte papa Francesco nel 2022. Su 20 milioni di abitanti i cristiani sono il 17% e i cattolici lo 0,1%. Multietnico e multireligioso, il paese esclude la partecipazione alle fedi dei minorenni e denuncia ogni intento proselitistico. Tutte le funzioni interne (catechisti, Caritas e altri) devono essere riconosciute dall’amministrazione rendendo difficile il coinvolgimento dei laici. Anche se, con due accordi specifici, la Santa Sede ha garantito la presenza di preti e religiosi stranieri. Vi sono 12 seminaristi e le possibilità di espansione molto limitate, in particolare nei confronti dell’islam. Diversi movimenti ecclesiali sono presenti e attivi in un contesto di diaspora.
Nel Kirghizistan, su una popolazione di sette milioni, i cristiani sono il 7% e i cattolici sono 600. Un terzo della popolazione è di origine turca, russa e cinese. Il 90% sono musulmani. Ha un buon livello di libertà religiosa e sui diritti civili con una grande disponibilità al confronto. Ma le spinte delle potenti regioni viciniori (Russia, Turchia ecc.) alimentano la polarizzazione interna dando spazio a movimenti che intendono azzerare la libertà delle fedi.
Vi sono attive due parrocchie cattoliche che hanno il problema di dover denunciare i propri responsabili (preti e religiosi stranieri) come non “locali” e quindi tendenzialmente irregolari.
Nel Tagikistan vi è una rigida regolamentazione delle attività religiose, anche se il pericolo viene soprattutto dal radicalismo islamico. Le parrocchie cattoliche sono due e i fedeli 150. Molto apprezzato l’aiuto umanitario in particolare nell’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici. Anche qui le migrazioni penalizzano la crescita delle comunità cattoliche.
L’Uzbekistan volge verso un presidenzialismo autoritario con scarse prospettive per le libertà civili e attese più ragionevoli per la crescita economica. Lo stato controlla strettamente la vita religiosa e la vita sociale. Ha una popolazione di 36 milioni di cui 10% cristiani e 3.000 cattolici.
Nel Turkmenistan la grande maggioranza sono musulmani, mentre i cristiani sono il 10% fra cui i cattolici. È uno dei paesi più autoritari del mondo e molto forte è la regolamentazione civile sulle Chiese e sulle fedi. Anche le feste di matrimonio devono essere registrate. La testimonianza cristiana e cattolica è affidata ai singoli e a due sacerdoti attivi nel paese.
Usiamo “cristianofobia”
Open Doors (Porte aperte), l’organismo ecumenico di denuncia delle persecuzioni, ha di nuovo sottolineato la crescente violenza anticristiana anche nel 2024. Si parla di 14.766 chiese e cappelle chiuse e di 78 paesi che rendono difficile la vita delle comunità. 13 paesi sono esposti a una persecuzione estrema. 365 i milioni di cristiani a rischio.
Un discorso a parte merita la denuncia delle vessazioni anticristiane in Europa fatta presente dall’Osservatorio di Vienna (OIDAC). I 25 casi di violenza fisica registrati in Europa non possono giustificare il termine persecuzione.
Si può parlare di elementi di cristianofobia, anche se è allarmante che i crimini d’odio anti-cristiani siano cresciuti del 44%. Essi riguardano prevalentemente attacchi a cimiteri e chiese e 84 casi di attacchi personali.
Più credibile la denuncia di persecuzione che riguarda alcuni paesi latino-americani fatta conoscere in un convegno a Lima (Perù) in cui è emersa la grave situazione della libertà di fede e di religione in Venezuela e in Nicaragua.