
Partiamo dal Giro d’Italia del 1946. Quello precedente era stato nel 1940, vinto dal ventenne Fausto Coppi. La gara finì il 9 di giugno e il giorno dopo Mussolini annunciò l’entrata in guerra dell’Italia. In quei cinque anni di conflitto e di morte, Coppi soldato fu fatto prigioniero dagli inglesi, Bartali fingeva di allenarsi e salvava gli ebrei pedalando tra Firenze e Assisi, con documenti falsificati nascosti nei tubi della bicicletta.
Il Giro dal papa
Nel 1946 gli organizzatori vincono la scommessa di far ripartire il Giro (in Francia il Tour riprende un anno dopo) di un’Italia sconvolta dalla guerra, non poche volte i ciclisti scendono di bicicletta per guadare i torrenti lì dove i ponti non c’erano più. Ma c’è voglia di rinascere, la rincorsa alla maglia rosa è un segno di speranza. A cui contribuisce Pio XII che incontra i ciclisti del Giro prima dell’11ª tappa da Roma a Perugia. Il papa sottolinea lo sforzo «sano… e armonioso di tutto il corpo» come simbolo della «sublime gara dello spirito» in cui sono impegnati come «campioni degni e intrepidi… i prodi corridori della corsa terrena e della corsa eterna».
Garda caso, il Giro benedetto dal papa lo vince Bartali, cristiano devoto e militante dell’Azione Cattolica. In seguito, rivolgendosi all’AC, Pio XII additerà, ad esempio, «il vostro Gino Bartali».
Nel 1950 papa Pacelli tornò a ricevere il Giro, che si era concluso il giorno avanti alle Terme di Caracalla. Le parole rivolte ai ciclisti da Pio XII e dai suoi successori (ne ricorderemo altre più sotto) trovano una sintesi essenziale e calzante nel messaggio di Leone XIV ai ciclisti del Giro d’Italia edizione numero 108. La cui ultima tappa, prima della partenza ufficiale, ha percorso i giardini vaticani all’ombra della basilica di San Pietro.
Il papa li ha accolti da una semplice pedana avendo accanto gli atleti più significativi, a cominciare dalla maglia rosa Simon Yates e dallo scalatore Lorenzo Fortunato. Chiare e incisive le sue parole:
«Sappiate che siete modelli per i giovani di tutto il mondo… Il ciclismo è tanto importante, come lo sport in generale. Vi ringrazio per tutto quello che fate, e siete modelli davvero! E spero che, come avete imparato a curare il corpo, anche lo spirito sia sempre benedetto e che siate sempre attenti a tutto l’essere umano: corpo, mente, cuore e spirito. Che Dio vi benedica!».
Poi alcune frasi in inglese (lingua madre sua, ma anche della maglia rosa!): i ciclisti «sono sempre benvenuti nella Chiesa che rappresenta l’amore di Dio per tutti». Commozione dei corridori, degli organizzatori, dei commentatori radio e TV, Riccardo Magrini non sa frenare le lacrime… Giulio Pellizzari, giovane emergente tra i ciclisti italiani, dichiara: «è stato emozionante per tutti e per me, che sono religioso e che ho la croce al collo, lo è ancora di più». È troppo dire che il messaggio di papa Prevost, nella sua brevità, è un compendio di antropologia teologico/sportiva?
Sicuramente Leone XIV – che aveva già incontrato Jannick Sinner e i calciatori del Napoli – ha parlato in linea con quanto più volte i suoi predecessori ebbero a dire ai ciclisti. Come Paolo VI che, nel 1964, in occasione della 14esima tappa arrivata a Castelgandolfo, ricordò «l’interesse appassionato» con cui, da fanciullo, seguiva le notizie del Giro. Dieci anni dopo, la prima tappa parte proprio dal Vaticano e il papa nato a Brescia (terra di campioni) saluta Merckx, Gimondi, tutti i ciclisti e gli organizzatori definendo la corsa rosa «gara generosa, forte, semplice, rispettosa dei valori della persona» e la affida «al rispetto e all’emulazione specie dei giovani» che possono trovare nei corridori «un’esemplificazione concreta di frugalità, di sacrificio, di autocontrollo… che li incoraggia a seguire le vie diritte nel difficile cammino della vita».
Anche un ciclista fu definito “leone”
Col Giubileo del 2000 il Giro ritorna in Vaticano il 12 maggio col prologo a cronometro che termina in via della Conciliazione. Il giorno prima, udienza pontificia ai corridori. Papa Wojtyla non manca di ricordare «Gino Bartali, recentemente scomparso, grande figura di sportivo, di cittadino esemplare e di convinto credente… una luminosa espressione dei più alti valori dell’esistenza e della convivenza sociale».
Papa Francesco ricevette in dono una bicicletta dal colombiano Egan Bernal, maglia rosa finale nel 2021 e profondamente credente. Nell’udienza generale concessa ai ciclisti a conclusione di quel Giro, il Santo Padre – che amava più il calcio che il ciclismo – si mise a scherzare col campione, chiedendogli quanti caffè beveva prima di salire in bicicletta.
Tornando a papa Leone, non sappiamo se qualcuno gli abbia ricordato che un famoso ciclista fu in certo modo suo omonimo: Fiorenzo Magni, che per le ripetute vittorie sulle strade del Belgio fu definito «il leone delle Fiandre».
Infine, sperando di non cadere nell’irriverenza, c’è il curioso episodio del ciclista cecoslovacco Jan Hruska che vince il prologo del Giro 2000 e riceve la maglia rosa dall’arcivescovo Costanzo Sepe. Al giornalista che gli chiede se è contento di questa vittoria nel Giro del Giubileo, risponde: «Sono contento di aver vinto, ma non mi intendo del Giubileo perché sono ateo». Suo malgrado, benedetto anche lui!
- Articolo pubblicato su Toscana Oggi, 8 giugno 2025






Certo, c’è chi l’avrebbe scritto meglio. Non tutti sono Gianni Brera!
Articolo un po’ folcloristico…