
Celebriamo i 1700 anni dal Concilio di Nicea (325), diciamo che è un evento cardine nella formazione della teologia cristiana e della cultura occidentale. Ma in che modo, in concreto? Per rispondere alla domanda, abbiamo ora a disposizione un libro che, per la prima volta, raccoglie e traduce lettere, canoni, Credo, documenti imperiali e dichiarazioni sinodali circa le questioni teologiche, istituzionali e disciplinari discusse al Concilio di Nicea. E non solo la controversia «ariana», che fu il tema portante di quell’appuntamento.
Il libro (Le fonti antiche sul Concilio di Nicea, introduzione, testo greco e note a cura di Samuel Fernández; traduzione dei testi antichi a cura di Sara Contini, Collana «Nuovi testi patristici», Città Nuova, Roma 2025, pp. 428, euro 36), comprende testi scritti tra l’inizio della crisi meliziana (304 circa) e la morte di Costantino (337).
Durante la persecuzione di Diocleziano, tra il 305 e il 306, molti vescovi erano in prigione, e Pietro, vescovo di Alessandria, era nascosto. Allora Melèzio, vescovo di Nicopoli nel Basso Egitto, decise di ordinare preti e vescovi nelle comunità private dei loro pastori.
Quando nel 306, alla fine della persecuzione, Pietro riammise nella Chiesa quanto avevano abiurato per paura, Melèzio si oppose pubblicamente al vescovo di Alessandria; deposto, organizzò la “Chiesa dei martiri”, secondo la concezione rigoristica della Chiesa. La controversia meliziana e la crisi ariana ebbero conseguenze profonde. È dunque utile ritornare alle fonti, contestualizzarle, emanciparle da presupposti ideologici e apologetici.
Il libro presenta e commenta una raccolta completa dei documenti attinenti al Concilio di Nicea, con tre caratteristiche comuni: sono stati scritti tra il 304 (inizio della crisi meliziana) e il 337 (morte di Costantino); hanno uno stretto rapporto con le discussioni di Nicea; sono arrivati fino a noi per tradizione indiretta.
Il volume si propone di dare una «priorità ermeneutica» ai documenti, come spiega nell’ampia introduzione il prof. Samuel Fernández, docente di teologia presso la Pontificia Università Cattolica del Cile, che ha messo a punto il testo greco e le note. Il prof. Fernández ha accettato di rispondere ad alcune nostre domande.
- Quando si parla di Nicea, si parla di Ario e della crisi ariana del IV secolo. In realtà quel Concilio trattò anche altri temi. Qual è allora l’importanza del Concilio di Nicea per la vita della Chiesa dell’epoca?
Per quanto riguarda i temi del sinodo, nelle fonti contemporanee vengono menzionate tre questioni: la controversia teologica provocata dalla dottrina «ariana», lo scisma meliziano e la data della Pasqua. Inoltre, furono trattate diverse questioni disciplinari, come si evince dai canoni, in particolare, questioni di giurisdizione ecclesiastica. L’assenza di ordine dei canoni fa pensare che la discussione non abbia avuto un programma, ma sia stata condotta da un dibattito su questioni disciplinari sollevate caso per caso nell’assemblea. La questione ariana, quindi, non fu l’unica, ma certamente la più significativa per lo sviluppo della teologia.
D’altra parte, i canoni ebbero e continuano ad avere una grande rilevanza nella vita e nell’organizzazione pratica delle Chiese. Nicea segna un cambiamento nella legislazione della Chiesa. Se le precedenti raccolte canoniche si concentravano sulle questioni sollevate dalla persecuzione e dalla vita cristiana in generale, i canoni niceni si concentrano sul clero e sulla sua giurisdizione.
- Nel IV secolo la Chiesa doveva costruire una teologia capace di reggere la sfida con la cultura dell’epoca. Oggi ripetiamo a Messa la formula del Credo niceno-costantinopolitano, ma forse non ci rendiamo bene conto di quanto ci è voluto per arrivare a questa definizione della formula. Come possiamo «recuperare» il senso di quanto ripetiamo? E ricostruire i dibattiti teologico-culturali di allora, in che modo ci è utile oggi?
La fedeltà alla novità cristiana professata nel Nuovo Testamento richiedeva, nel IV secolo, un nuovo linguaggio. Le nuove condizioni della cultura ellenistica richiedevano un linguaggio per esprimere fedelmente il senso delle Scritture. Tuttavia, Nicea non solo professò un Credo, ma indicò anche un compito. Pertanto, il Concilio non è solo un punto di arrivo, ma anche un paradigma di come professare la fede in ogni contesto culturale. La fede di Nicea, espressa in categorie greche, è stata professata in modo normativo e indica un punto di riferimento necessario.
Tuttavia, le nuove generazioni possono e devono ispirarsi al processo realizzato dal Concilio per cercare oggi nuove espressioni di fede che siano significative per i diversi linguaggi e contesti. Questo processo richiede una doppia fedeltà: fedeltà al passato, alla tradizione, che implica una particolare attenzione allo studio storico delle fonti, e fedeltà al presente, affinché il Vangelo possa dispiegare il suo carattere salvifico.
Questa doppia fedeltà mostra il carattere dinamico della tradizione: la fedeltà a Nicea non consiste solo nel pronunciare il Credo; la fedeltà al Concilio spinge anche ad attivare ancora una volta il processo che porta a professare nuovamente, in modo significativo, la novità dell’evento Gesù Cristo.





