Non c’è più religione

di:

abbazia

Nel volume Non c’è più religione? Le risposte di un filosofo in dialogo con Francesca Cosi e Alessandra Repossi, Lindau, Torino 2025; cf. qui per una presentazione del volume) il filosofo Marco Vannini offre le sue interpretazioni alla crisi delle credenze religiose, delle Chiese e delle religioni, con le sue proposte per la fede.

  • Caro Marco, puoi fare cenno al tuo personale percorso di ricerca e quindi all’evoluzione del tuo pensiero in fatto di religione e di fede?

Devo dire innanzitutto che per me il percorso di ricerca si identifica con quello di vita, perché non ho mai considerato la religione semplicemente un argomento di ricerca intellettuale, quale potrebbe essere, ad esempio, un periodo storico o un evento fisico, ma come la questione fondamentale dell’esistenza. «Cosa vuoi conoscere?», chiede la Ragione ad Agostino nei Soliloqui, e Agostino risponde: «Dio e l’anima». «Niente altro?» «Niente altro».

Ecco, io questo l’ho sempre pensato, fin da ragazzo, e non perché altre domande e altre possibili conoscenze non siano importanti, ma perché queste sono le due essenziali, davvero fondamentali per la vita.

Il celebre passo agostiniano ha anche il merito di porre strettamente legate le due questioni – Dio e l’anima – che sono, in realtà, le due facce della stessa medaglia. «Conosci te stesso e conoscerai te stesso e Dio» (questo anche il titolo di un mio recente libro, già presentato qui su SettimanaNews) recita l’assioma di un Padre della Chiesa, Gregorio di Nissa, che sapientemente unisce il precetto dell’Apollo Delfico – «Conosci te stesso» – al concetto cristiano della profonda unione tra Dio e l’anima umana.

Sempre in spirito agostiniano, posso aggiungere che questo percorso di ricerca e di vita si è svolto per me sempre alla luce della ragione, e quindi della filosofia. È essa che mi ha condotto, per così dire per mano, dalla religione ingenua appresa nell’infanzia a quella della maturità, passando attraverso il vaglio e il travaglio del dubbio di tante domande.

  • Il punto di domanda del titolo mette in dubbio, appunto, che oggi ci sia ancora “religione”: un bene o un male, dal tuo punto di vista?

Il punto di domanda è stato inserito per distinguere questo libretto – nato, diciamolo subito, non per mia iniziativa, ma per quella delle due intelligenti interlocutrici – da un altro libro che il punto di domanda non lo aveva, pubblicato nel 2003 da un amico che ricordo con grande affetto, Michele Ranchetti, professore di Storia della Chiesa a Firenze. In comune c’è la constatazione che, almeno in Italia, la religione, intesa come pratica religiosa, sia messa molto male, anche se non scomparsa.

Dal mio punto di vista, questo è sicuramente un male, perché – come ricordo sempre, citando non un prete ma il laicissimo Machiavelli – senza la religione gli Stati, le comunità, non stanno in piedi, dato che la religione è il fondamento della morale. Una morale non fondata religiosamente, “laica”, può esistere certamente in teoria, ma in pratica solo molto di rado, presso qualche anima bella di filosofo, e mi sembra che la realtà sociale attuale, con il suo degrado morale, lo mostri con assoluta chiarezza.

D’altra parte, però, come diceva Hegel, ciò che è reale è razionale, ovvero questa, diciamo eclissi, se non scomparsa, della religione, se è avvenuta, deve avere le sue ragioni, e in questo senso comprenderle vuol dire trovarne anche gli elementi positivi. Sono quelli che potremmo definire sinteticamente “purificatori”, ovvero quelli che liberano la religione dalle sue incrostazioni storiche particolari, ovvero dal terreno della credenza, riportandola a quello della fede.

  • Tu distingui la “credenza” – o il “credere” – dalla fede. Vuoi spiegare?

È molto semplice, e, soprattutto, non è un pensiero che ho “inventato” io, ma una riflessione che appartiene appieno alla tradizione spirituale cristiana: basti citare i nomi di san Giovanni della Croce, e prima di lui Meister Eckhart, e dopo di lui Hegel stesso – autori cui dedicai, molti anni fa, il mio libro Dialettica della fede.

La fede è il movimento dell’intelligenza, anzi, di tutta l’anima, verso l’Assoluto, e, proprio in quanto tale, essa toglie vie tutte le credenze, riconoscendole nella loro parzialità, nella loro finitezza, ovvero nel loro essere frutto determinato dai tempi, dai luoghi, dalle culture, finanche dalle preferenze personali dei singoli. Basti pensare a come la credenza religiosa cristiana sia variata, non solo nel corso dei secoli, ma anche negli ultimi decenni – per così dire sotto i nostri occhi – e, anzi, come ormai ci sia una credenza religiosa non più omogenea, ma diversa a seconda di ciascuno, tanto che i sociologi della religione parlano di un cristianesimo “fai da te”.

  • Oggi, cos’è in crisi nella nostra società: il “credo” cristiano cattolico o la fede, o entrambe le cose perché legate almeno nella nostra tradizione?

Purtroppo, sono in crisi entrambi, la credenza e la fede. Il fatto è che la credenza è entrata in crisi da tempo, potremmo dire dall’Illuminismo, ad opera della scienza storica, filologica, contemporanea, per cui ci è impossibile avere la stessa credenza religiosa che fu, ad esempio, di Dante.

Non occorre citare sempre Nietzsche e la “morte di Dio”, da lui proclamata ormai un secolo e mezzo fa, per rendersene conto. Ora, poiché non si è distinto la credenza dalla fede, il venir meno della credenza ha portato con sé anche quello della fede, per cui spesso si è passati direttamente da una religiosità tradizionale all’ateismo, o all’indifferentismo religioso, come se, una volta abbandonato un certo “credo”, l’intelligenza non avesse più la possibilità di muoversi verso l’Assoluto, verso la Verità, verso Dio.

  • Tutti possiamo, dunque, avere fede a prescindere dal credo in cui siamo stati educati?

Certo che lo possiamo! Se – come ho detto – la fede è il movimento di tutta l’anima verso l’Assoluto, essa è parte essenziale dell’intelligenza di tutti, uomini e donne, cristiani e non. Una citazione che faccio spesso – dalle Upanishad indiane – dice che, senza fede, non si pensa: pensa solo colui che ha fede, perché pensare davvero vuol dire distaccarsi dalle ingenue credenze particolari per muovere verso l’universale.

  • Tu suggerisci, sempre, una via mistica, ovvero del “distacco”?

L’intelligenza distacca – ripete spesso Meister Eckhart –, ovvero fa il lavoro della fede. Ma non bisogna pensare alla mistica come a qualcosa di speciale che fornisce conoscenze religiose altrimenti impossibili.

La parola “mistica” è nata come sostantivo solo modernamente, nel ’600, e, in origine, era solo un aggettivo che si accompagnava a parole come “teologia”, e voleva indicare, come è proprio nella sua etimologia greca, il silenzio: non solo e non tanto il silenzio esteriore, quanto soprattutto un silenzio interiore; ovvero il mettere a tacere i propri contenuti, volizioni, pensieri, il che significa, in altre parole, distaccarsi da essi.

Allora, in questo silenzio interiore, nel vuoto che l’anima ha fatto in sé stessa, trova spazio la luce divina, la luce eterna, che sempre e su tutti si effonde. A noi compete solo il distacco, ovvero fare questo vuoto, farle spazio.

  • Sei un conoscitore profondo anche delle religioni orientali: cosa trovi di comune e di diverso dal cristianesimo mistico di cui parli?

In primo luogo, dobbiamo dire che molti e importanti sono i punti di contatto tra la spiritualità cristiana e quella delle grandi religioni/filosofie dell’India, buddhismo e induismo in primis: sarebbe ben strano il contrario, dal momento che l’essere umano è fondamentalmente uguale dappertutto, nonostante le differenze date dai tempi e dai luoghi!

Fare un elenco dei punti ci porterebbe lontano, per cui mi limito a sottolineare solo il comune accento posto sull’interiorità: quello che i cristiani chiamano “fondo dell’anima”, in India la “caverna del cuore”, o simili.

Si tratta, comunque, di insistere sulla necessità di scoprire l’essenza vera dell’uomo, celata per così dire dalla superficialità dei contenuti psicologici, che vanno e vengono.

A questo proposito voglio ricordare la grande figura di Henri Le Saux (1910-1973), il benedettino francese che andò in India, fondò l’ashram di Shantivanam (che tuttora esiste, tenuto dai monaci camaldolesi), assunse le vesti dell’asceta hindu e il nome indiano Abhishiktananda, studiò la grande tradizione spirituale indiana e vide bene, come pochi altri, quanto essa poteva dare di contributo ad una comprensione più profonda del cristianesimo stesso, cui, peraltro, egli rimase sempre fedele.

Nel libretto di cui stiamo parlando, si affronta piuttosto il tema del buddhismo, visto il grande successo che esso sta riscuotendo in Occidente: si nota come anch’esso costituisca una bella via di distacco.

Uno dei maggiori teologi del secolo scorso, il gesuita Henri de Lubac (che ebbi la ventura di conoscere, a Firenze, a un convegno su Teilhard de Chardin, tanti anni fa, quando ero un ragazzo), dice giustamente che il buddhismo è l’interlocutore più serio con cui si debba confrontare il cristianesimo, e io sono d’accordo.

Il fatto è, però, che, privo del riferimento a Dio, che è – come dice Eckhart – il “supremo distacco”, il buddhismo rischia sempre di esaurirsi in una tecnica per la pace mentale, come è testimoniato dalle innumerevoli scuole di meditazione cui ha dato vita.

  • Quali restano allora, per te, i tesori irrinunciabili del cristianesimo?

Come dico esplicitamente nel libretto, due sono i punti fondamentali del cristianesimo – che, tra l’altro, lo differenziano essenzialmente dalle altre religioni, ivi comprese quelle cosiddette monoteistiche – ovvero la divinità e umanità di Dio in Cristo, e la concezione trinitaria di Dio, che è l’unica possibile per pensare correttamente, e non in modo mitologico, Dio come spirito, secondo quanto dice il vangelo di Giovanni (4,24).

Questo secondo punto è in effetti complesso, esige una riflessione filosofica e teologica profonda, come si trova, ad esempio, in Hegel, per cui non meraviglia che spesso lo si trascuri.

Quanto al primo punto, che indica come l’uomo sia, nello stesso tempo, una povera cosa, fragile e transitoria, ma anche creatura eccelsa in capacitate majestatis, come dicevano i vecchi teologi, credo che oggi sia quasi del tutto dimenticato. Prevale infatti un’immagine tutta e solo umana di Gesù, visto sì come profeta, taumaturgo, maestro di morale, ma niente affatto Dio (di qui l’uso dell’aggettivo “gesuano”, un neologismo che trovo orribile, per indicare appunto ciò che riguarda la realtà storica dell’uomo Gesù, distinta da quella di Cristo, Figlio di Dio e Dio).

Il fatto è che la scienza storica contemporanea ha reso impossibile la vecchia immagine di tipo mitologico del Cristo, e, nello stesso tempo, si è perduta l’esperienza della divinità insita, implicita, in ogni essere umano – quella per cui Eckhart scrive che l’uomo buono non ha nulla di meno di Gesù nella sua natura umana.

Ecco, si è perduta la divinità del Cristo, perché si è perduta quella dell’uomo, e con ciò è finita non solo, ovviamente, per il cristianesimo, ma anche per la società intera.

  • L’ateismo mistico – il post-teismo – è, secondo te, la prospettiva “religiosa” o spirituale del futuro, specie per le nuove generazioni?

Dobbiamo distinguere tra l’ateismo mistico di quei personaggi che, insegnando ad andare oltre Dio per Dio, rischiavano sì di perdere del tutto l’alterità e la trascendenza di Dio, ma nei quali era comunque davvero predominante la componente mistica – nel senso dell’unitas spiritus, unione nello spirito tra uomo e Dio – dall’attuale post-teismo, nel quale la dimensione mistica è inesistente.

Il post-teismo rifiuta l’immagine tradizionale di Dio, antropomorficamente connotato, vecchio signore lassù nei cieli, che interviene ora sì ora no nelle cose umane ecc., e questo è comprensibile, anzi, condivisibile, ma rifiuta anche il pensiero di Dio pura luce eterna-sine modis, come direbbe Eckhart.

Il post-teista assomiglia all’ateo dello Zarathustra di Nietzsche, definito «l’uomo più brutto», perché non sopporta l’idea della perfezione divina, a motivo della sua propria meschinità morale. A di là di questa connotazione negativa, sta di fatto che, nel cosiddetto post-teismo, va a fondo anche la potente membratura etica della religione, fatta di culto, di preghiera, di certezza della comunione essenziale tra umano e divino, tra vivi e morti, il che è ciò che fa la religio sostituita da un generico filantropismo, buono a tutto, cioè a nulla.

Perciò non credo affatto che il post-teismo sia una prospettiva religiosa seria per il futuro, ma, in quanto finisce nel calderone della new age, è possibilissimo che, in un tempo di analfabetismo spirituale, riscuota ampi consensi.

  • Comunità e mistica solitudine, come possono stare insieme?

Che la solitudine del «solo verso il solo» – come dice Plotino per indicare il rapporto tra l’uomo e Dio – non sia affatto in opposizione con il senso di appartenenza alla comunità, è un dato di fatto, testimoniato dall’esperienza e dalla vita di tutte le grandi figure spirituali.

In questa solitudine l’uomo sta, infatti, nell’universale umano, e per lui la comunità è l’umanità intera, non questa o quella etnia, e neppure questa o quella confessione religiosa.

Credo, perciò, che quella che tu hai chiamato “mistica solitudine” sia la via per superare i nazionalismi di ogni tipo, a partire da quelli etnico-religiosi che, proprio in questi mesi, stanno mostrando tutto il loro orrore.

  • Per questo tuo pensiero, cosa dovrebbe proporre oggi la Chiesa?

Guarda, mi si è allargato il cuore quando, proprio in questi giorni del giubileo, ho sentito papa Leone esortare i giovani a pensare in grande, a desiderare cose grandi, perché è la stessa cosa che scrivevo nel libretto di cui stiamo parlando.

Ovviamente, io sono nessuno, mentre lui è il papa, ma probabilmente c’è un terreno comune di partenza, che è Agostino e l’agostinismo. Basti ricordare l’inizio delle Confessioni: siamo fatti per Dio, l’Assoluto, e niente altro può dare pace al nostro cuore.

Ecco, credo che a questo debba esortare la Chiesa: alla grandezza d’animo, quella che i greci chiamavano megalopsychìa e i romani magnanimitas, perché questa è la via maestra della fede, intesa come dicevamo all’inizio.

  • Sei educatore e padre di due figli: sei riuscito a trasmettere i tuoi pensieri?

L’educazione consta essenzialmente di una cosa: di esempio. Non ha alcun senso parlare, come si fa oggi, di una “scienza dell’educazione”, come se si trattasse di operare su materia inerte. Io non ho cercato di trasmettere le mie convinzioni, né da insegnante né da padre. Ho lasciato assolutamente liberi i miei alunni, come pure i miei figli.

Insieme a mia moglie, ho cercato di dare un esempio di studio, di lavoro – oso dire, con tutta modestia – di serietà, soprattutto insegnando a schivare le stupidaggini propagandate dai media, magari leggendo libri belli, importanti (i classici!). Credo, anche per la mia esperienza personale, che un bel libro possa indirizzare tutta la vita. Poi, accanto ai libri, ho insegnato a stare in contatto con la natura, perché ha ragione san Bernardo di Chiaravalle: paradossalmente, si impara più camminando tra gli alberi di un bosco che sfogliando le pagine di un libro.

Ovvero – per finire citando il mio caro Eckhart – è la vita ciò che dà l’insegnamento più nobile.

Print Friendly, PDF & Email

3 Commenti

  1. Don Paolo Andrea Natta 19 agosto 2025
  2. Maria Laura Innocenti 19 agosto 2025
  3. Angela 19 agosto 2025

Lascia un commento

Questo sito fa uso di cookies tecnici ed analitici, non di profilazione. Clicca per leggere l'informativa completa.

Questo sito utilizza esclusivamente cookie tecnici ed analitici con mascheratura dell'indirizzo IP del navigatore. L'utilizzo dei cookie è funzionale al fine di permettere i funzionamenti e fonire migliore esperienza di navigazione all'utente, garantendone la privacy. Non sono predisposti sul presente sito cookies di profilazione, nè di prima, né di terza parte. In ottemperanza del Regolamento Europeo 679/2016, altrimenti General Data Protection Regulation (GDPR), nonché delle disposizioni previste dal d. lgs. 196/2003 novellato dal d.lgs 101/2018, altrimenti "Codice privacy", con specifico riferimento all'articolo 122 del medesimo, citando poi il provvedimento dell'authority di garanzia, altrimenti autorità "Garante per la protezione dei dati personali", la quale con il pronunciamento "Linee guida cookie e altri strumenti di tracciamento del 10 giugno 2021 [9677876]" , specifica ulteriormente le modalità, i diritti degli interessati, i doveri dei titolari del trattamento e le best practice in materia, cliccando su "Accetto", in modo del tutto libero e consapevole, si perviene a conoscenza del fatto che su questo sito web è fatto utilizzo di cookie tecnici, strettamente necessari al funzionamento tecnico del sito, e di i cookie analytics, con mascharatura dell'indirizzo IP. Vedasi il succitato provvedimento al 7.2. I cookies hanno, come previsto per legge, una durata di permanenza sui dispositivi dei navigatori di 6 mesi, terminati i quali verrà reiterata segnalazione di utilizzo e richiesta di accettazione. Non sono previsti cookie wall, accettazioni con scrolling o altre modalità considerabili non corrette e non trasparenti.

Ho preso visione ed accetto