
In un tempo in cui i giovani e gli adulti vivono sempre più spesso disorientati tra aspettative, confronti e ipotesi su ciò che avrebbe potuto essere o dovrebbe ancora accadere, è urgente riscoprire il valore del presente e della responsabilità personale.
Nella mia esperienza di psicologa, docente e supervisore, ho visto quanto i condizionali interiori – i “se” – siano spesso il linguaggio dell’autosvalutazione, dell’insicurezza e della paura di scegliere. Ma ho anche visto quanto sia potente, liberante e generativo il ritorno al Sé profondo, quando accompagnato con ascolto, principio di realtà e strumenti concreti.
Questo articolo nasce dal desiderio di offrire una riflessione integrata, che coniughi spiritualità cristiana, psicologia positiva, neuroscienze e pratiche di consapevolezza, per aiutare ciascuno – e in particolare i giovani – ad abitare il proprio presente con più libertà e autenticità.
Come presidente di Doceat, associazione impegnata nella formazione delle persone e nello sviluppo delle organizzazioni, credo profondamente che ogni processo educativo debba partire dal riconoscimento della dignità unica di ogni persona e dalla possibilità concreta di fiorire, proprio lì dove è e al meglio che gli è possibile.
Viviamo spesso prigionieri di una piccola parola che pesa come una catena: “se”. “Se solo avessi scelto diversamente…”, Se non mi fosse accaduto questo…”, “Se avessi avuto un’altra famiglia, un’altra opportunità, un altro corpo, un’altra vita…”.
Il condizionale abita i nostri pensieri più profondi, insinuandosi come un rumore di fondo che ci accompagna ovunque.
I “se” diventano alibi perfetti per non vivere pienamente il presente, per evitare la responsabilità di essere noi stessi, per proiettare fuori o altrove ciò che solo noi possiamo fare: rispondere alla Vita.
Ma togliere i “se” non è solo un atto di volontà. È un cammino di liberazione che coinvolge corpo, mente e spirito. È un ritorno al proprio Sé — non egoico, ma essenziale, reale, profondo. Il Sé come dono di Dio, identità autentica, potenziale che attende di fiorire.
In questo tempo di inizio – anno pastorale, scolastico o accademico – desidero offrire riflessioni e strumenti concreti per una formazione integrale della persona, in cui la psicologia positiva, la spiritualità cristiana incarnata e le scoperte delle neuroscienze possano dialogare in modo fecondo.
Perché togliere i “se” significa restituire alla vita il suo spazio pieno, e alla persona il coraggio di dire: “Eccomi, ci sono”.
Il veleno sottile del condizionale
Il condizionale è la grammatica della disconnessione.
Disconnessione dal passato (che rimpiangiamo o non perdoniamo), dal futuro (che idealizziamo o temiamo), e soprattutto dal presente, dove tutto accade davvero.
In termini psicologici, i “se” sono strategie di evitamento. Ci proteggono dal dolore della realtà, ci illudono di mantenere il controllo su ciò che non possiamo cambiare. Ma, in realtà, ci impediscono di crescere. Come dice Viktor Frankl: «Tra stimolo e risposta c’è uno spazio. In quello spazio risiede la nostra libertà e il nostro potere di scegliere la nostra risposta».
Rimanere bloccati nei “se” significa non abitare quello spazio. Significa lasciare che la vita passi, senza davvero esserci.
La spiritualità del presente
Ciò che fin da bambina mi ha conquistato è che la Bibbia è sorprendentemente concreta. Non ci invita a vivere in un ideale astratto, né a rimpiangere il passato. Al contrario, ci chiama continuamente all’adesso, al qui e ora, all’“oggi”: «Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori» (Eb 3,15). «Questo è il giorno che ha fatto il Signore: rallegriamoci ed esultiamo in esso» (Sal 118,24).
Ciò che mi affascina della salvezza cristiana non è un’idea, ma un incontro personale con Cristo nel presente. Gesù stesso, nel Vangelo, non si interessa a ciò che i discepoli “sarebbero potuti essere” o “potrebbero diventare”, ma li chiama con forza nel qui e ora: «Seguimi».
Per rispondere a questo invito, occorre liberarsi dai condizionali interiori. Occorre fidarsi della chiamata che ci raggiunge oggi, nella concretezza della nostra vita attuale, così come essa è, senza proiezioni.
Un ritorno al Sé incarnato
In questo contesto, la meditazione non è un semplice esercizio di rilassamento, ma una pratica spirituale e psicologica per radicarsi nel presente.
La parola “meditare” deriva dal latino meditari, un verbo deponente che ha un significato riflessivo e attivo insieme: esercitarsi, riflettere, prepararsi con cura. Ma la sua radice più profonda è med–, la stessa di parole come “medicina”, “medico” e “remedium”. Questo ci rivela qualcosa di essenziale: meditare è, originariamente, un atto di cura. Non nel senso astratto di “pensare intensamente”, come spesso si crede oggi, ma nel senso di prendersi cura di sé, del proprio spirito, del proprio orientamento nella vita.
La meditazione cristiana – che può assumere forme come la preghiera silenziosa, la Lectio Divina, il respiro consapevole con il nome di Gesù – ci educa a stare con ciò che c’è, senza giudizio e senza fuga. Ci allena ad abitare il corpo, ascoltare il cuore, sentire il momento.
Le neuroscienze contemporanee confermano ciò che le grandi tradizioni spirituali – cristiane, contemplative e sapienziali – insegnano da millenni: meditare non è un lusso, né un esercizio teorico, ma un atto concreto di cura verso sé stessi, una pratica che incide profondamente sul modo in cui pensiamo, sentiamo, viviamo e ci relazioniamo.
Meditare, nella sua forma più essenziale, significa fermarsi, ascoltare, abitare il presente. Non fuggire da sé, ma rientrare in sé. E questo ha effetti misurabili anche sul nostro cervello. Vediamoli brevemente nel dettaglio:
1. Riduce l’attività dell’amigdala – il centro della reattività emotiva
L’amigdala è una piccola struttura del cervello, situata nel sistema limbico, responsabile dell’elaborazione delle emozioni primitive, come la paura, la rabbia, l’ansia. Quando siamo sotto stress, o quando entriamo in modalità reattiva, l’amigdala si attiva intensamente, generando risposte automatiche e impulsive.
La meditazione, praticata con regolarità, riduce l’iperattivazione dell’amigdala, favorendo una risposta più calma e centrata agli stimoli emotivi. In altre parole, meditare aiuta a non reagire, ma a rispondere, mantenendo equilibrio anche di fronte a situazioni difficili.
2. Rafforza la corteccia prefrontale – il centro della consapevolezza e delle decisioni
La corteccia prefrontale è la parte più evoluta del nostro cervello. È responsabile di funzioni come: la pianificazione, la presa di decisioni consapevoli, l’autocontrollo, la riflessione etica e morale.
Studi di neuroimaging mostrano che chi medita regolarmente presenta una maggiore attivazione e spessore in quest’area, il che si traduce in una maggiore lucidità mentale, capacità di prendere decisioni ponderate, e di essere presenti a sé stessi, anche in situazioni complesse.
3. Favorisce la neuroplasticità – il cervello cambia con l’esperienza
Uno dei principi chiave delle neuroscienze moderne è che il cervello è plastico, ovvero capace di modificarsi e riorganizzarsi nel tempo, in base all’esperienza e alla ripetizione di certi comportamenti. La meditazione è un’esperienza potente che attiva questa plasticità: cambia le connessioni neurali, ristruttura le reti cerebrali, e favorisce nuove modalità di sentire e agire.
Questo significa che non siamo prigionieri dei nostri schemi abituali, né dei nostri condizionamenti passati: attraverso la meditazione, possiamo allenarci a pensare, sentire e reagire in modo nuovo, più sano, più consapevole, più libero.
4. Riduce l’attività del Default Mode Network – la rete del “pilota automatico” mentale
Il Default Mode Network (DMN) è una rete di aree cerebrali che si attiva quando la mente non è focalizzata su un compito specifico, ma vaga: pensiamo al passato, immaginiamo il futuro, ci perdiamo in ruminazioni, giudizi, confronti. È anche la sede del cosiddetto “sé narrativo”, ovvero quella voce interiore che commenta, analizza, e spesso giudica ciò che facciamo.
Nei soggetti che meditano, gli studi dimostrano una significativa riduzione dell’attività del DMN, con un aumento della presenza mentale, dell’attenzione e della pace interiore. In pratica, la meditazione ci aiuta a uscire dalla mente che corre e a rientrare nel corpo e nell’istante, dove c’è spazio per il vero ascolto e per l’autenticità.
Meditando, impariamo a scollegarci dai pensieri automatici e a riabitare il presente come terra sacra. E lì, nel silenzio, può emergere il Sé profondo – quello che non è costruito dalle paure, ma scolpito dalla grazia.
Psicologia positiva, responsabilità personale e il vero Sé come Adulto Integrato
La psicologia positiva ci insegna che il benessere non dipende tanto da ciò che ci accade, quanto da come rispondiamo a ciò che ci accade. Il vero Sé è una forza interiore che si attiva nel momento in cui smettiamo di aspettare che la realtà cambi, e iniziamo a fiorire proprio dentro le condizioni reali della nostra vita.
I “se” ci tolgono potere, ci tengono in una posizione passiva, mentre il Sé autentico la recupera, riportandoci alla libertà e alla responsabilità. Come afferma il Dalai Lama: «La felicità non è qualcosa di pronto. Viene dalle tue azioni». In quest’ottica, ritrovare il Sé significa scegliere di vivere con pienezza, autenticità e consapevolezza, anche quando le circostanze esterne sono tutt’altro che ideali.
Questa visione si integra con quanto proposto dall’Analisi Transazionale, secondo cui il cammino verso il Sé coincide proprio con l’attivazione dell’Adulto Integrato: una parte matura che non nega né il bisogno né il valore, ma li armonizza e li orienta, integrandoli nella responsabilità del vivere.
L’Adulto Integrato non si rifugia nei “se” del passato o del futuro, ma sceglie di abitare il presente, di agire con coerenza, e di costruire relazioni vere fondate sull’ascolto, sull’intenzione consapevole e sulla libertà interiore. In questo senso, il Sé autentico non è un’astrazione spirituale o un ideale irraggiungibile, ma una presenza incarnata che trasforma la consapevolezza in scelte quotidiane, capaci di generare vita.
Educare al Sé significa allora accompagnare le persone a uscire dalla reattività automatica per entrare in una piena responsabilità esistenziale e relazionale: non per essere perfetti, ma per essere presenti, veri e amati.
Fiorire nel reale: il coraggio della verità
Togliere i “se” è come togliere le erbacce da un campo. All’inizio fa paura: si ha l’impressione di perdere qualcosa. Ma in realtà, si libera spazio per far fiorire ciò che siamo davvero.
«La gloria di Dio è l’uomo vivente» (sant’Ireneo)
Il Sé autentico, quello che Dio ha sognato per noi, non ha bisogno di condizioni perfette. Ha solo bisogno di verità, di libertà, di presenza. Ed è proprio in questo ritorno al reale che la vita si trasforma: non quando tutto cambia, ma quando siamo noi a cambiare il nostro sguardo.
Sostituire i “se” con un “sì” è l’atto più rivoluzionario della vita interiore.
– Un sì alla propria storia, anche ferita.
– Un sì al presente, anche fragile.
– Un sì a Dio, che ci ama così come siamo.
Solo così possiamo fiorire. Solo così possiamo vivere davvero. Solo così torniamo al Sé – il luogo dove Dio abita in noi.
Proposte educative per un nuovo inizio
Il nuovo anno scolastico porta con sé aspettative, paure, nuove opportunità e anche molte insicurezze. I giovani spesso si presentano carichi di “se”:
- “Se fossi più intelligente…”
- “Se avessi più amici…”
- “Se andasse tutto bene quest’anno…”
- “Se non avessi fallito l’anno scorso…”
Molti vivono sotto il peso dell’auto-confronto, dell’ansia da prestazione, del giudizio altrui, e finiscono per costruire un’identità condizionata, fragile, instabile. Il lavoro educativo e spirituale più grande che possiamo fare è aiutarli a rientrare in sé stessi, a scoprire che il loro valore non è nei “se” che li limitano, ma nel Sé che li fonda.
L’Obiettivo è quello di educare alla presenza, alla responsabilità e all’autenticità. Non spingere a essere di più, ma ad essere meglio: più veri, più presenti, più radicati. Ecco alcune proposte concrete per iniziare l’anno accompagnandoli in questo cammino:
- Laboratori sul potere del presente
Attività: proposte pratiche per riconoscere quando si è nel “se” e quando si è nel “sì”.
- Esercizio guidato: scrivere una lista dei propri “se” più ricorrenti e poi trasformarli in frasi di responsabilità.
- Es. “Se fossi più sicuro, parteciperei in classe/gruppo” → “Decido di partecipare anche se ho paura”.
- Domande guida: Cosa ti impedisce oggi di essere pienamente presente? Quale piccola azione potresti fare per abitare meglio questo momento? Quale “se” ti ripeti più spesso? Cosa ti nasconde?
- Iniziare con momenti di silenzio e presenza
Introdurre a scuola o nei gruppi brevi pratiche di silenzio e consapevolezza (anche solo 3-5 minuti). Questo:
- Riduce l’iperattivazione del sistema nervoso.
- Calma l’ansia da prestazione.
- Allena all’ascolto interiore e alla concentrazione.
Strumenti possibili:
- Respirazione guidata.
- Una frase spirituale o versetto da ripetere interiormente (“Eccomi”, “Signore, parlami”, “Io sono qui”).
- Ascolto attivo del corpo o del respiro
- Lectio giovane sul presente e l’identità
Proporre brani biblici che parlano del “qui e ora” di Dio, dell’essere chiamati oggi:
- Matteo 6,34: «Non preoccupatevi del domani…».
- 1Samuele 3,10: «Parla, Signore, il tuo servo ti ascolta».
- Salmo 139: «Tu mi hai tessuto nel grembo di mia madre…».
Attività: dopo la lettura, chiedere:
- Cosa mi dice questo testo sul mio valore oggi?
- Quale “sì” posso dire a Dio, a me stesso, agli altri?
- Creatività come fioritura del Sé
Laboratori di espressione artistica, scrittura, musica, teatro, che permettano ai giovani di esprimere ciò che sono al di là della performance scolastica. Spazi liberi dove non si viene valutati, ma ascoltati.
- Dialoghi veri, uno ad uno
Prendersi il tempo, anche solo 5 minuti settimanali per studente o giovane, per chiedere:
- Come stai davvero?
- In cosa ti senti bloccato?
- Cosa sogni per quest’anno?
- Cosa potresti scegliere di fare anche se ti fa paura?
La fiducia che si genera in questi spazi può diventare il fertilizzante spirituale per far emergere il vero Sé.
Aiutare a dire “Eccomi”
Togliere i “se” non è un compito solo spirituale, ma educativo e formativo. Inizia con il creare ambienti in cui i giovani si sentano liberi di essere presenti, imperfetti, in cammino.
Il nostro compito è semplice e immenso: ricordare loro che non devono diventare qualcun altro. Devono solo scoprire chi sono. E rispondere con libertà al dono della vita che li chiama oggi, nel punto esatto in cui si trovano.
Togliere i “se” è, dunque, un atto di fede. È credere che la realtà, così com’è, è il luogo in cui Dio ci vuole incontrare. È rinunciare agli alibi per scoprire che la nostra vita ha ancora un senso, una direzione, un frutto da portare.
Non servono condizioni perfette, ma un cuore disposto.
Non serve che tutto sia chiaro, ma che tu sia presente.
Non serve più dire “se…”, basta dire “sì”.
Laura Ricci è psicologa, supervisore e docente di Psicologia presso la Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna. È presidente di Doceat, una associazione per il sostegno e lo sviluppo delle persone e delle organizzazioni (www.doceat.org)





