«Croci di vetta»: toglierle, conservarle?

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In tempo di vacanze ed escursioni montane, tanto radicate nella tradizione dei campi estivi e dei ritiri della formazione cattolica, Giordano Cavallari ha raccolto le parole di Paolo Cognetti – autore del romanzo Le otto montagne (Einaudi 2016) «Premio Strega» nel 2017 – nel dibattito aperto nell’ambito del Club Alpino Italiano (qui), presto allargatosi a una più ampia platea, anche politica, circa le «Croci di vetta»: toglierle, conservarle, lasciarle cadere, metterne altre ecc. (la posizione espressa dal CAI è quella di «lasciare integre le croci esistenti, perché testimonianze significative di uno spaccato culturale, e allo stesso tempo di evitare l’istallazione di nuovi simboli sulle cime»). Paolo, in questi giorni, è impegnato da regista con un documentario sui cambiamenti climatici in montagna, sull’ambiente alpino, sulle genti e le tradizioni, in trasformazione, che questo cambiamento lo stanno subendo.

paolo cognetti

Ti rispondo volentieri sulle croci: io quando vado in montagna cerco, più di tutto, di entrare in contatto con la terra non toccata dall’uomo. Questa è la vera esperienza spirituale a cui la montagna ci permette di accedere.

In altri luoghi del mondo puoi sperimentarla: nel deserto, nella foresta, sull’oceano o nei grandi spazi selvaggi; in Italia invece tutto è antropizzato, il nostro è un paesaggio profondamente caratterizzato dall’intervento umano; solo in alta montagna puoi vedere la terra come Dio o la Natura l’hanno creata o formata.

Quel luogo per me è come un Tempio. Ed è un tempio anche nella Bibbia, visto che è lì – e non negli edifici costruiti dall’uomo – che i profeti entrano in contatto con Dio.

Sono andato a controllare l’edizione inglese e ho trovato che nella Bibbia di Re Giacomo quel che noi traduciamo come «deserto» è wilderness, cioè lo spazio selvaggio. È nella wilderness, ad esempio, che Gesù si ritira a meditare e a digiunare prima di partire per la sua predicazione.

Detto questo, spero mi capirai se ti rispondo che a me le croci di vetta danno piuttosto fastidio. Dopo tante ore di cammino arrivo in cima a una montagna e penso: «Ecco, anche qui l’uomo ha voluto lasciare un segno di sé». La croce è un manufatto, un simbolo culturale. Non è certo la croce a farmi vivere l’esperienza spirituale: è la montagna stessa.

Insomma, fosse per me le toglierei volentieri, tutte. Così come le bandiere, le fortificazioni militari, le targhe e tanti altri segni dell’uomo di cui la montagna è purtroppo piena. Ma poi rispetto le altre culture, comprese quelle del passato, e penso che quelle croci appartengano al loro tempo, a un tempo con una cultura diversa dalla nostra. Le rispetto ma non ne vorrei di nuove.

Spero che anche il cristiano più devoto, come il buddista e il musulmano, riescano a provare quello che provo io quando arrivo su una vetta dove non c’è nulla, niente tranne la montagna, naturalmente. E nessuno oltre a me. Dio è nel vento, nelle nuvole, nelle rocce, nella neve, nello scorrere dei torrenti e nel volo degli uccelli.

Se vogliamo ringraziarlo, invece di innalzare simboli, proteggiamo il suo creato.

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19 Commenti

  1. Aldo Lionetti 16 agosto 2023
  2. Pier Giuseppe Levoni 16 agosto 2023
  3. Lorella 14 agosto 2023
  4. Fabio Cittadini 14 agosto 2023
  5. Anima errante 12 agosto 2023
  6. Rosanna Pillinini 12 agosto 2023
  7. Pino 12 agosto 2023
  8. Susanna Darman 12 agosto 2023
    • Anima errante 12 agosto 2023
  9. Barbara Taviani 12 agosto 2023
  10. Atanasio Kostis 12 agosto 2023
  11. Andrea Beltrami 12 agosto 2023
  12. Sergio 11 agosto 2023
  13. Annamaria Cerchiaro 11 agosto 2023
  14. Enzo Ricco 11 agosto 2023
    • Gian Luca 11 agosto 2023
    • Alberto 12 agosto 2023
    • Susanna Darman 12 agosto 2023
  15. Paolo Trianni 11 agosto 2023

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