«L’ardente brama di novità che da gran tempo ha cominciato ad agitare i popoli, doveva naturalmente dall’ordine politico passare nell’ordine simile dell’economia sociale». Erano, queste, le battute di esordio della Rerum novarum (15 maggio 1891) di Leone XIII, che dava inizio alla stagione contemporanea di quella che si sarebbe affermata come dottrina sociale della Chiesa e che, a quel tempo, si misurava con la cosiddetta questione operaia.
Se la dottrina sociale cristiana di fine secolo XIX poteva opportunamente parlare di “res novae” alle porte, anche all’inizio del XXI la novità, anzi l’inedito, l’impensato, l’inaudito sembrano bussare di nuovo alle porte di coloro che hanno l’onere di pensare e interpretare le trasformazioni in atto e che – com’è il caso degli intellettuali e dei pastori cristiani – a ciò hanno oggi da aggiungere il dovere e il compito di ri-annunciare, in un contesto del tutto diverso, la Buona Notizia di Gesù Cristo.
Ciò è ancora più urgente nel momento in cui la trasformazione e i cambiamenti si fanno più repentini, più articolati e differenziati, da non poter essere ricondotti facilmente a classi logiche unitarie; anzi, fino al punto da poter esser qualificati proprio dal cambiamento e dal divenire, che divengono, in tal modo, come una nuova cifra della situazione socio-culturale e pastorale.
Le “cose nuove” dell’Intelligenza Artificiale
«È stata chiamata Silicon Valley, perché il silicio è la materia prima di cui sono costituiti i microscopici chip, cuore dei prodotti informatici. Lo sviluppo di questa area economica nasce dal sogno di un’intera generazione di sperimentatori, di “cantinari”, di techno-freak e, successivamente, anche di arditi affaristi, che credette possibile inventare il personal computer, già dai primi anni settanta. Tra i protagonisti iniziali di questa storia si debbono ricordare Jobs e Wozniak (Apple), Kildall (Digital Research), Felseinstein (fondatore dell’Homebrew Computer Club), Roberts (Mits), la rivista Popular Electronics, Gates e Alien (Microsoft), e il mitico Capt. Crunch».[1]
È il redattore dell’evangelo di Matteo a definire il suo lettore come un padrone di casa, che «estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche» (Mt 13,52). I biblisti hanno già osservato[2] come questa frase possa riferirsi alle diverse e sempre aperte procedure di rilettura, indotte dal Grande Codice[3] che i redattori del Nuovo Testamento compivano, commentando il Testamento antico: esso certamente non appariva, ai loro occhi, mai vecchio, data la sua capacità di crescere con il proprio lettore: sacra scriptura cum legente crescit.[4]
L’essere umano, che rilegge il tesoro antico per ricavarne luci per l’oggi storico, domanda, tuttavia, di essere sempre riconosciuto come soggetto e non oggetto di qualunque rilettura. E ciò in ogni campo, anche quando, a livello teorico oppure applicativo, costituisca egli stesso non soltanto il soggetto, bensì l’oggetto stesso della riflessione.[5]
Per dirla sinteticamente, il “padrone di casa” resta la persona.
D’altra parte, è la teologia, in particolare, a rivendicare oggi, e giustamente, il primato della genesi storica e teoretica della nozione di persona al punto che, parafrasando G.B. Vico, si è potuto affermare che potius quam iuris, persona est vocabulum theologiae. È un fatto che non poche conseguenze siano state esercitate dalla teologia e dalla filosofia cristiana della persona, per esempio sia nel dibattito sul confronto tra istituzioni giuridiche e istituzioni cristiane tardo-antiche, sia in quello, moderno-contemporaneo, relativo alla dignità ontologica, nonché al valore e all’indisponibilità della persona umana e, di conseguenza, della sua pressoché infinita dignità.
Oggi ben due Dicasteri vaticani (Dicastero per la dottrina della fede e Dicastero per la cultura e l’educazione), esplicitamente richiamando la citazione matteana, intitolano Antiqua et Nova una Nota sul rapporto tra intelligenza artificiale e intelligenza umana (28.1.2025).[6] Lo fanno non senza recuperare – quasi come “padroni di casa nell’orientare la coscienza morale dei cristiani” – antichi indirizzi della Tradizione cristiana, soprattutto quelli che risultano già attualizzati nei testi del Magistero di papa Francesco, il quale, agli esordi del 2025, ha aperto la vera Porta santa, che è Gesù Cristo, sempre e di nuovo pronto a estrarre le cose nuove per la cristianità e al mondo.
È ora, dunque, il turno di una nuova cosa, ovvero della cosiddetta Intelligenza Artificiale (d’ora in poi, IA). Le avvisaglie di un interesse della cultura cristiana per un tale settore, si erano avute già in attesa dei Giochi Olimpici e Paralimpici di Parigi, esattamente nel corso della riunione del G7, che si era conclusa con l’Apulia G7 Leaders’ Communiqué.[7]
La tre giorni di quel vertice, svoltosi nel giugno 2024 a Borgo Egnazia, si era chiusa con un documento di 36 pagine. Tutti ricordiamo che proprio quel Forum aveva invitato Francesco – la prima volta di un papa in un gruppo di studio del G7 – e anzi aveva esplicitamente evocato l’attuale orizzonte, descrivendolo come mondo in cambiamento.
Dal punto di vista pastorale, avremmo preferito leggere cambiamento vertiginoso, o, come testualmente scrisse papa Francesco, nel suo Discorso ufficiale per il gruppo di studio sull’AI del G7, «un nuovo sistema sociale caratterizzato da complesse trasformazioni epocali… La portata di queste complesse trasformazioni è ovviamente legata al rapido sviluppo tecnologico dell’intelligenza artificiale stessa».
Sintonie per un piano d’azione comune
«Riconoscere i bambini e i giovani come agenti di cambiamento e necessità di dialogo e impegno intergenerazionale, anche con e tra i bambini, i giovani e gli anziani, perché siano presi in considerazione nei nostri processi politici e decisionali al fine di salvaguardare esigenze e interessi delle generazioni future».[8]
In sintesi, Egnazia rilanciò il comune intento dei 7 grandi del mondo di voler agire insieme, per promuovere la cosiddetta resilienza economica, contrastare le politiche e le pratiche di mercato che minano la parità di condizioni e la sicurezza economica, nella convinzione – condivisibile – che solo il coordinamento permetterà di affrontare le sfide globali, legate alle sovra-capacità economiche e finanziarie.
Anche in omaggio al papa – a cui fu espressa, in quella sede, una gratitudine non di maniera, in quanto, per la prima volta, un pontefice aveva partecipato ai lavori del consesso –, il citato Documento finale si propose esplicitamente di approfondire la cooperazione e sfruttare i vantaggi e la gestione comune dei rischi dell’intelligenza artificiale (AI), guardando in particolare alle generazioni future. Di qui, il proposito di un piano d’azione sull’uso dell’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro, un brand per farlo, un Codice di condotta internazionale per le organizzazioni in via di sviluppo anche mediante il ricorso a sistemi di intelligenza artificiale avanzati.
Alla Artificial Intelligence, Science, Technology, and Innovation fu, perciò, dedicato un lungo e specifico paragrafo, che riprese alcuni spunti già sottolineati da papa Francesco il quale, com’è noto, si era mosso, a Egnazia, nell’ottica del potenziale creativo che Dio ha posto nelle mani umane.
Oggi la Nota vaticana ci appare come un’ampia e meditata ripresa di quegli accenni pontifici e, più ampiamente, un approfondimento del tema dell’innovazione tecnologica e digitale nel cambiamento d’epoca. Difatti, vi leggiamo, anzitutto, una puntuale definizione dell’IA, intesa formalmente «come un termine tecnico per indicare la relativa tecnologia, ricordando che l’espressione è usata anche per designare il campo di studi e non solo le sue applicazioni» (nota 70 della Nota).
Evidentemente, la Nota vaticana fa tesoro delle ricerche condotte dal Gruppo di ricerca sull’AI del Centro per la cultura digitale del Dicastero per la cultura e l’educazione che, appena il 16 e 17 ottobre 2024, aveva riunito studiosi di religione, filosofia, sociologia e altre discipline, provenienti da tutta l’Asia e il mondo, per affrontare le preoccupazioni che l’IA solleva per il futuro di questa regione, nella quale operano colossi industriali ad essa legati, che hanno preoccupazioni che non sono quelle europee e americane.
Inoltre, lo stesso Gruppo di ricerca aveva seguito i lavori per la redazione di un Position paper che riprendeva la visione di SACRU sull’impatto dell’intelligenza artificiale e il ruolo delle università.[9]
Del resto, il più ampio dibattito specialistico sull’IA aveva, tra l’altro, registrato le posizioni emergenti di Luciano Floridi. Questo studioso aveva, appunto, discusso il processo di “prestito concettuale”, secondo il quale, quando emerge una nuova disciplina, essa sviluppa il suo vocabolario tecnico anche appropriandosi di termini di altre discipline contigue.
Paragonando questo processo all’osservazione di Carl Schmitt – secondo cui i concetti politici moderni hanno radici teologiche –, Floridi era giunto a sostenere che, attraverso un ampio prestito concettuale, l’IA ha finito per descrivere i computer e gli strumenti computazionali antropomorficamente; ovvero, li ha tratteggiati come dei cervelli computazionali con proprietà psicologiche; e ciò mentre, a loro volta, le scienze del cervello e della cognizione hanno anch’esse finito per descrivere cervelli e menti in modo computazionale e informativo, cioè come dei veri e propri computer biologici.[10]
Il testo odierno della Nota vaticana, molto documentato anche circa la logica computazionale e il ragionamento computazionale (nn. 30-31), propone, oltre ad un ricco testo argomentativo, un corpus di ben 215 Note. Esse sono dedicate non soltanto alle indispensabili indicazioni del Vaticano II, al Magistero di papa Francesco e dei vari pontefici che l’hanno preceduto nella Sede romana (i quali hanno affrontato tanti altri aspetti del tema, oggi così attuale). Ma citano esplicitamente altre fonti laiche, come il Report intermedio del 2023 dell’Organo Consultivo sull’IA delle Nazioni Unite; la Guidance for Generative AI in Education and Research, pubblicata dall’Unesco nel 2023.
Non mancano riferimenti alla grande tradizione dottrinale sia non cristiana (non può mancare il “vecchio” Aristotele, citato alla nota 15 per la sua Metafisica), sia cristiana, com’è proprio dell’argomentazione della Chiesa cattolica: si va da Ireneo di Lione e Agostino d’Ippona, a pseudo Dionigi Areopagita, a Ugo di San Vittore, a Tommaso d’Aquino e Bonaventura da Bagnoregio o a Dante Alighieri, passando per B. Pascal, fino ad approdare alle sponde più recenti, da N. Berdjaev e G. Bernanos, da J.H. Newman a E. Stein e a P. Claudel.
Il senso di un intervento di tipo dottrinale e culturale
«L’umanità comprende sempre più chiaramente di essere legata da un unico destino che richiede una comune assunzione di responsabilità, ispirata da un umanesimo integrale e solidale: vede che questa unità di destino è spesso condizionata e perfino imposta dalla tecnica o dall’economia e avverte il bisogno di una maggiore consapevolezza morale, che orienti il cammino comune. Stupiti dalle molteplici innovazioni tecnologiche, gli uomini del nostro tempo desiderano fortemente che il progresso sia finalizzato al vero bene dell’umanità di oggi e di domani».[11]
Di fronte a questa Nota vaticana, la prima domanda da discutere riguarda la pertinenza di un intervento di ben due Dicasteri della Santa Sede (la quale, di per sé, svolge un servizio di ordine dottrinale finalizzato alla crescita dell’intero popolo di Dio): la Nota vuol forse ribadire una dottrina antica in un contesto in vertiginoso sviluppo? Anche nel popolo di Dio, come già ricordava il teologo ed economista gesuita B.J.F. Lonergan, bisogna supporre una vera coscienza in sviluppo.
Quel paradigma dello sviluppo e del dinamismo evolutivo intendeva, in particolare, esaminare la transizione da un’antica visione del mondo a una novitas ritenuta, appunto, radicale e, soprattutto inevitabile, nel senso che non se ne può non prendere atto. Non però per sostarvi, bensì per procedere verso la formazione di «un concetto più fondamentale», sviluppando «una teoria più generale»[12] o anche, parlando in termini di compiti assegnati alla società, per «sollevare di più lo sguardo e sempre di più verso i campi più generali e difficili della ricerca speculativa, perché è da essi che deve derivare la delicata composizione di verità e libertà».[13]
Si comprende meglio, nella luce descritta, che l’intento della Nota, peraltro dichiarato molto esplicitamente, è quello di comprendere lo sviluppo dell’IA «all’interno del disegno di Dio» (n. 36); più precisamente, muovendosi lungo una via teo-antropologica, che guarda all’IA come «un’impresa umana che chiama in causa le dimensioni umanistiche e culturali dell’ingegno umano» (n. 36). Tale impresa è chiamata, come ogni altra realizzazione e impresa umana, a porsi «al servizio della persona e contribuire agli sforzi intesi a raggiungere» (n. 38) la giustizia.
Di qui anche l’articolata riflessione sulle «implicazioni etiche dello sviluppo tecnologico» (n. 38), che soprattutto la IV parte della Nota vaticana approfondisce. Lo fa non soltanto riferendosi al dibattito teologico e intraecclesiale, ma anche alle posizioni di scienziati, studiosi della tecnologia e associazioni professionali; e, inoltre, non soltanto ai produttori e proprietari della IA (laddove oggi tutto è concentrato «nelle mani di poche potenti aziende»: n. 53); ma anche ai fruitori, il cui rischio maggiore è quello dell’«insoddisfazione nelle relazioni interpersonali, o un dannoso isolamento» (n. 58).
Siamo, in ultima istanza, di fronte alla ri-proposizione di una domanda circa il ruolo dell’etica nel guidare lo sviluppo e l’uso dell’IA, da svolgere nell’orizzonte della fondazione personalistica di ogni riflessione sulla tecnica e sui mezzi. I mezzi impiegati per raggiungere uno scopo vanno compresi, insomma, nella luce di una visione generale, che punta alla comprensione della persona, la quale risulta incorporata in tali nuovi avveniristici sistemi (cf. n. 41).
Fin dalle prime battute, si riprende, perciò, l’espressione di papa Francesco: ormai non siamo semplicemente in un’epoca di cambiamento – il terzo millennio cristiano su cui aveva già insistito papa Giovanni Paolo II (Tertio millennio adveniente; Tertio millennio ineunte) –, bensì in un cambiamento d’epoca. Il che giustifica anche questo nuovo testo vaticano come plausibile risposta cristiana alle «odierne sfide e opportunità poste dal sapere scientifico e tecnologico, in particolare dal recente sviluppo dell’intelligenza artificiale (IA)» (n. 1). Esso ci viene, pertanto, proposto nell’orizzonte di «una visione integrale della persona e dalla valorizzazione della chiamata a “coltivare” e a “custodire” la terra (cf. Gen 2,15)» (n. 1).
Insomma, il metodo resta quello già inaugurato dai Padri del Vaticano II: interrogarsi sui vari aspetti e ambiti del mondo contemporaneo, alla luce della visione cristiana, particolarmente muovendosi in ambito antropologico; il tutto svolto nella convinzione che la Bibbia e la Tradizione siano anche delle opportunità antropologiche, per conferire un orizzonte di senso ai «progressi nella scienza, nella tecnologia, nelle arti e in ogni altra impresa umana» (n. 2).
Si vuol contribuire così esplicitamente all’incremento del corpus dottrinale del cosiddetto pensiero sociale (o anche dottrina sociale) della Chiesa dei tempi nuovi. Non è un caso che si faccia continuamente appello alla «responsabilità dell’esercizio di questa gestione» delle novità indotte dall’IA: non si potrà che procedere, come viene testualmente suggerito, operando «a ogni livello della società, sotto la guida del principio di sussidiarietà e degli altri principi della Dottrina Sociale della Chiesa» (n. 42).[14]
In particolare, l’intento della Nota – che, come già la Gaudium et spes – appare simpatetica con «gli sviluppatori, i proprietari, gli operatori e i regolatori, così come gli utenti finali» dell’IA, si muove nella luce dei risvolti morali, comportati da «ogni impiego della tecnologia in tutti i livelli di utilizzo». Il tutto con lo scopo ultimo «d’illuminare la coscienza dei decisori, stante il fatto che l’utilizzazione dell’IA implica responsabilità etica e problemi di sicurezza» (n. 51). Non senza, tuttavia, notare che il discorso «interessa gli sviluppatori, i proprietari, gli operatori e i regolatori, così come gli utenti finali, e rimane valido per ogni impiego della tecnologia in tutti i livelli di utilizzo» (n. 43).
Aspetti già enucleati dall’Unione Europea, quando approvò il Regolamento finalizzato a migliorare il funzionamento del mercato interno (12 marzo 2024); ma soprattutto istituendo un quadro giuridico uniforme, in particolare per quanto riguarda lo sviluppo, l’immissione sul mercato, la messa in servizio e l’uso di sistemi di intelligenza artificiale nell’Unione.
Il tutto da svolgere in conformità dei valori dell’Unione, per promuovere la diffusione di un’intelligenza artificiale antropocentrica e affidabile, garantendo, nel contempo, un livello elevato di protezione della salute, della sicurezza e dei diritti fondamentali sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, compresi la democrazia, lo Stato di diritto e la protezione dell’ambiente, contro gli effetti nocivi dei sistemi di IA nell’Unione.[15]
D’altra parte, già il 19.2.2020 il Parlamento europeo aveva approvato un Libro bianco sull’intelligenza artificiale – Un approccio europeo all’eccellenza e alla fiducia, enunciando, quali criteri irrinunciabili, l’affidabilità, l’approccio comune europeo sulle nuove prospettive, in vista di un ecosistema di eccellenza.
Di qui, come si dice nel gergo ecclesiale, una forte esigenza di discernimento (cf. n. 5): un termine, questo, che papa Francesco ha spesso commentato tra l’agosto 2022 e il gennaio del 2023,[16] esplicitamente approfondendo un criterio proprio della spiritualità ignaziana, nella cui Compagnia egli entrò da giovane. Ovviamente, si opera il discernimento in vista di una scelta e di una decisione, ovvero di un atto di caratura morale dell’atteggiamento umano, che viene guardato nell’orizzonte della dignità pressoché infinita dell’essere umano, con l’obiettivo dichiarato di promuovere lo sviluppo integrale della persona e della società.
Avevamo già letto che tutte le persone umane, anche i cosiddetti “nulla del mondo”, sono da includere e da riconoscere come portatori di una dignità intrinseca, perché essi ci ricordano che ogni ente personale, anche se sul piano sociale apparisse un “nulla”, ha una intrinseca “dignitas infinita”, la cui fondazione metafisica è, in ultima istanza, divina, posto che, in Dio, uno dei tre ha assunto la natura umana.[17]
Di qui l’articolazione successiva della Nota appena pubblicata, che risponde alle classiche domande della riflessione cristiana: che cos’è? (II parte, nn. 7-12); approfondimento storico-culturale della nozione di intelligenza umana, di cui l’IA è il “prodotto” più recente e più avanzato (III parte, nn. 13-35, non senza riferimenti sia alle opportunità sia ai limiti). Seguono una IV parte sul ruolo di guida e orientamento esercitato dall’etica cristiana (nn. 36.48); una lunga V parte sulle principali questioni, sia etiche che economiche e politiche, che vengono definite specifiche (nn. 49-107). La parte VI enuncia una lunga Riflessione finale (nn. 108-117). Al criterio dell’avvertenza a non scivolare lungo un piano inclinato, si preferisce quello di non assecondare un «paradigma tecnocratico», «il quale intende risolvere tendenzialmente tutti i problemi del mondo attraverso i soli mezzi tecnologici» (n. 54).
In definitiva, bisogna utilizzare l’IA, ma essa «dovrebbe essere utilizzata solo come uno strumento complementare all’intelligenza umana e non sostituire la sua ricchezza» (n. 112). Di qui alcuni decisi “no”, che sono sempre dei decisi sì:
- no ad «antropomorfizzare l’IA», offuscando «così la linea di demarcazione tra ciò che è umano e ciò che è artificiale» (n. 59);
- no all’utilizzazione dell’IA «per ingannare in altri contesti, quali l’educazione o le relazioni umane, compresa la sfera della sessualità» (n. 62);
- no alla «concentrazione dell’offerta in poche aziende, siano queste sole a beneficiare del valore creato dall’IA piuttosto che le imprese in cui è utilizzata» (n. 64);
- no alle utilizzazioni discriminanti: occorre utilizzare le nuove risorse «in modo etico e solidale e non penalizzare i più fragili» (n. 75); ciò risulta particolarmente evidente «nell’assistenza sanitaria», laddove l’IA è esortata a non aggravare «le disuguaglianze esistenti, ma sia al servizio del bene comune» (n. 76);
- no, in ambito scolastico, pedagogico e didattico, a emarginare «gli aspetti sociali ed etici dello sviluppo e dell’utilizzo della tecnologia» (n. 82);
- no all’uso falsificante e falso dell’IA, garantendo la «veridicità e l’accuratezza delle informazioni elaborate da tali sistemi» (n. 86) e loro diffusione al pubblico;
- no all’«utilizzo bellico dell’intelligenza artificiale»» (n. 99).
Conclusioni
«Ma alla fine mi parve di avere compreso perché l’uomo sia il più felice degli esseri animati e degno perciò di ogni ammirazione e quale sia infine quella sorte che, toccatagli nell’ordine universale, è invidiabile non solo ai bruti, ma agli astri e agli spiriti oltremondani. Cosa incredibile e meravigliosa! E come altrimenti, se è per essa che giustamente l’uomo vien proclamato e ritenuto un grande miracolo e meraviglia fra i viventi!».[18]
Questo Discorso sulla dignità dell’uomo, scritto nel 1486, metteva sulle labbra del Creatore stesso queste parole di giustificazione di una visione armonica, proposta dal grande umanista moderno Pico della Mirandola: «Non ti ho dato, Adamo, né un posto determinato, né un aspetto tuo proprio, né alcuna prerogativa tua, perché quel posto, quell’aspetto, quelle prerogative che tu desidererai, tutto appunto, secondo il tuo voto e il tuo consiglio, ottenga e conservi. La natura determinata degli altri è contenuta entro leggi da me prescritte. Tu te la determinerai, da nessuna barriera costretto, secondo il tuo arbitrio, alla cui potestà ti consegnai. Ti posi nel mezzo del mondo, perché di là tu meglio scorgessi tutto ciò che è nel mondo. Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che tu avessi prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori, che sono i bruti; tu potrai rigenerarti, secondo il tuo volere, nelle cose superiori che sono divine».
Nel 1966 Michel Foucault, parlando di approccio genealogico, e dunque non più essenzialista, al problema dell’umano, osservava che esso era diventato un umano ipertecnologico entro una nicchia ecologica e un bioterritorio intelligente. Qui non soltanto esseri umani e animali non umani, ma anche i vegetali mostrano modalità percettive seppur di tipo sistemico e non individuale, che tra loro stabiliscono interazioni e scambi, non soltanto gassosi, bensì neurali e tecnici, con altre nicchie della biosfera. Ciò al punto che fu ben notato come il tema del postumanesimo attraversi oggi un ampio e variegato spettro di analisi contemporanee, non solo filosofiche, ma anche sociologiche, artistiche, o letterarie.[19]
Da un punto di vista più interno all’ambito postumano, bisogna sottolineare i fenomeni di virtualizzazione che ne segnano lo sviluppo più recente nell’IA. A partire dal primato dell’informazione nell’età del computer, si afferma, infatti, una logica per cui gli algoritmi disincarnati prevalgono sulla corporeità e l’informazione sulla trasmissione. Per quanto messo in discussione sul piano teorico, quest’assetto si consolida attraverso molti dualismi: tra mente e cervello, ad esempio, o tra informazione e rumore e, anche, tra uomo e macchine-pensanti o intelligenze artificiali. In generale, l’idea di plasmabilità appare come la costante del postumanesimo “darwiniano” così come di quello “nietzscheano”: la stessa idea segnerà la letteratura sui cyborg, spesso di matrice femminista, che ne esalta, ancora una volta in maniera duplice, vuoi la capacità di ibridazione, vuoi il potenziamento (enhancement) nei confronti dell’essere umano. Ben prima dell’invenzione del microchip, gli umani sono impegnati nella costruzione di artefatti, e proprio in questo si manifesta la comunanza con gli altri viventi: non esiste specie che non modifichi la propria nicchia ecologica più di quanto non ne sia modificata.
Ricordiamo che le definizioni generaliste dell’uomo nell’antichità greco-romana rimasero fragili e ambigue; esse potevano perfino incorrere nella derisione, come nell’aneddoto in cui Diogene Laerzio racconta del suo più noto omonimo di Sinope: «Siccome Platone aveva dato questa definizione: “L’uomo è un animale bipede, sprovvisto di penne”, ed era stato approvato, Diogene allora, dopo aver spennato un gallo, lo portò nella sua Scuola e dichiarò: “Questo è l’uomo di Platone”».[20]
Diogene, il quale amava definire sé stesso un cane, e che più tardi fondò la Scuola cinica, non aveva comunque gran considerazione dell’essere umano. In gioventù era stato esiliato e persino venduto come schiavo: egli spiegò a Platone di essere un cane perché era «ritornato da coloro che lo hanno venduto».[21] In Grecia, a quei tempi, i cani venivano amati e temuti come cani da caccia e da pastore, da guerra e da guardia, e le loro memoria, fedeltà e pericolosità venivano decantate. Alla domanda di Platone a quale razza di cane appartenesse, Diogene rispose «Quando ho fame, un maltese; quando sono sazio, un molosso».[22]
Il postumanesimo – termine coniato da Julian Huxley (nel 1957)[23] – può essere oggi, nell’era dell’IA, descritto come un’ulteriore presa di coscienza esistenziale che eccede la nozione di divenire uni-dimensionale, accettando la sfida lanciata dall’ipotesi fisica del multiverso: gli esseri umani e ogni altra manifestazione dell’esistenza, vengono, così, intesi come nodi del divenire in una rete materiale; questi nodi del divenire funzionano quali tecnologie del multiverso o modi del disvelamento, che riaprono le significazioni ontologiche ed esistenziali della tecnologia in sé.
Il postumanesimo, che diviene ormai transumano, raccoglie, così, l’eredità delle prospettive moderne di Francesco Bacone, di Pico della Mirandola, di Claude-Henri de Saint Simon. In relazione a tutto questo, la Nota propone un’osservazione di papa Francesco: «Di fronte ai prodigi delle macchine, che sembrano saper scegliere in maniera indipendente, dobbiamo aver ben chiaro che all’essere umano deve sempre rimanere la decisione, anche con i toni drammatici e urgenti con cui a volte questa si presenta nella nostra vita. Condanneremmo l’umanità a un futuro senza speranza, se sottraessimo alle persone la capacità di decidere su loro stesse e sulla loro vita condannandole a dipendere dalle scelte delle macchine» (n. 44, nota 91).
È insomma giunto il tempo di armonizzare umiltà, solidarietà, spirito di sacrificio, velocità, competizione, innovazione.
Occorre chiedere alla scienza di aiutare l’uomo con tutti gli strumenti che la ricerca e la ragione ci fornisce ma senza dimenticare, come ci ha insegnato san Giovanni Paolo II, che «la fede e la ragione sono le due ali con le quali lo spirito umano si innalza verso la contemplazione della verità». Quindi, senza dimenticare che «Dio è il fondamento della speranza – non un qualsiasi dio, ma quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati sino alla fine: ogni singolo e l’umanità nel suo insieme». Senza trascurare, richiamando stavolta le parole di Benedetto XVI nella Spe salvi, che «un primo essenziale luogo di apprendimento della speranza è la preghiera».
Il cambiamento, inevitabile, è già in essere, come ognuno può agevolmente constatare: sta ora alla responsabilità degli uomini orientarlo al bene comune, al bene più grande e di tutti, scegliendo orizzonti più vasti, nei quali siano inclusi, sotto l’immensa volta della felicità possibile, la libertà, la famiglia, la pace, la salvaguardia dell’ambiente, il rispetto della diversità e delle culture altre.
[1] Donna J. Haraway, MANIFESTO CYBORG Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, Introduzione di R. Braidotti, Feltrinelli Editore, Milano 1995, p. 94, n. 37.
[2] Tra gli altri, cfr. Jean-Louis Ska, Cose nuove e cose antiche (Mt 13,52). Pagine scelte del Vangelo di Matteo, EDB, Bologna 2024.
[3] L’espressione è di Northrop Frye, Il grande codice. Bibbia e letteratura, Prefazione di Pietro Boitani, traduzione di Giovanni Rizzoni, Vita e Pensiero, Milano 2018, che la sviluppa soprattutto circa i rapporti tra Bibbia e letteratura.
[4] Gregorio Magno, Commento morale a Giobbe, XX, 1. Si può leggere nell’edizione a cura di Paolo Siniscalco, traduzione di Emilio Gandolfo, indici di Elisabetta Spagnolo, Città nuova, Roma 2001.
[5] R. Azzaro Pulvirenti, Fondazione teoretica di un nucleo ontico della persona umana, «Rivista rosminiana di filosofia e di cultura» 86 (1992), fasc. 3,.233–254, qui 233.
[6] DICASTERO PER LA DOTTRINA DELLA FEDE–DICASTERO PER LA CULTURA E L’EDUCAZIONE, ANTIQUA ET NOVA. Nota sul rapporto tra intelligenza artificiale e intelligenza umana:
[7] https://www.g7italy.it/wp–content/uploads/Apulia–G7–Leaders–Communique.pdf [18.6.2024].
[8] Declaration on Future Generations. Preamble, in United Nations, Pact for the Future, Global Digital Compact and Declaration on Future Generations (september 2024) [mia versione dall’inglese].
[9] Nell’Università cattolica del sacro Cuore opera il SACRU: STRATEGIC ALLIANCE OF CATHOLIC RESEARCH UNIVERSITIES, che promuove convegni e attività per lo studio dei rapporti tra AI e Università, soprattutto cattoliche. Cf. anche Intelligenza Artificiale e comunicazione della salute. Benefici, rischi, possibili applicazioni pratiche dell’Intelligenza artificiale nel campo della comunicazione della salute: è, questo, il titolo del Position Paper che gli studenti e delle studentesse e del coordinamento del Master Health Communication Specialist (A.A. 2023–2024) avevano redatto, non senza esimersi dal proporre 5 Linee guida per l’implementazione responsabile dell’AI nell’ambito della salute, indugiando soprattutto sulle possibili applicazioni dell’IA nell’ambito della cura e dei percorsi diagnostici e terapeutici, così come nella gestione del rapporto con i paziente e delle strutture sanitarie stesse:
Evidentemente in numerosi ambiti, per esempio all’interno di Eurolab, si vanno implementando i Position papers, redatti evidentemente in risposta In risposta al White Paper della Commissione europea sull’intelligenza artificiale.
[10] L. Floridi – C. Nobre, Anthropomorphising machines and computerising minds: the crosswiring of languages between Artificial Intelligence and Brain and Cognitive Sciences: Electronic copy available at: https://ssrn.com/abstract=4738331
[28.1.2025].
[11] Compendio di dottrina sociale della Chiesa, n. 6 (Introduzione. Un umanesimo integrale e solidale).
[12] B.J.F. Lonergan, Studi di economia. Primi saggi, parte I: Per una nuova economia politica, c. II, a cura di Ph.J. McShane, Toronto 1998, edizione italiana a cura di Michele Tomasi, Città nuova, Roma 2013, 43–63, qui 43.
[13] Ivi, 55.
[14] La Nota vaticana cita, appunto, nella nota n. 114: Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa (2004).
[15] Il Regolamento approvato dall’UE dichiara che l’IA consiste in una famiglia di tecnologie in rapida evoluzione che contribuisce al conseguimento di un’ampia gamma di benefici a livello economico, ambientale e sociale nell’intero spettro delle attività industriali e sociali. L’uso dell’IA, garantendo un miglioramento delle previsioni, l’ottimizzazione delle operazioni e dell’assegnazione delle risorse e la personalizzazione delle soluzioni digitali disponibili per i singoli e le organizzazioni, può fornire vantaggi competitivi fondamentali alle imprese e condurre a risultati vantaggiosi sul piano sociale e ambientale, ad esempio in materia di assistenza sanitaria, agricoltura, sicurezza alimentare, istruzione e formazione, media, sport, cultura, gestione delle infrastrutture, energia, trasporti e logistica, servizi pubblici, sicurezza, giustizia, efficienza dal punto di vista energetico e delle risorse, monitoraggio ambientale, conservazione e ripristino della biodiversità e degli ecosistemi, mitigazione dei cambiamenti climatici e adattamento ad essi.
[16] Francesco, Sul discernimento, con un saggio di Miguel Ángel Fiorito e Diego Fares, a cura di Antonio Spadaro, EDB, Bologna 2023.
[17] S. Leone Magno, PRIMO DISCORSO TENUTO NEL NATALE DEL SIGNORE, I: «Il Figlio di Dio, nella pienezza dei tempi che il disegno divino, profondo e imperscrutabile, aveva prefisso, ha assunto la natura del genere umano per riconciliarla al suo Creatore, affinché il diavolo, autore della morte, fosse sconfitto, mediante la morte con cui prima aveva vinto». Promulgata dal Prefetto del Dicastero per la dottrina della fede, a seguito di una prima richiesta di integrazione da parte di papa Francesco già «nel corso dell’Udienza a me concessa il 13 novembre del 2023», – la Dichiarazione Dignitas Infinita – è stata approvata, come scrive il Prefetto del Dicastero dottrinale «Nel corso nell’Udienza concessa a me insieme al Segretario della Sezione Dottrinale, Mons. Armando Matteo, in data 25 marzo 2024, il Santo Padre ha quindi approvato la presente Dichiarazione e ne ha ordinato la pubblicazione». Si ricorderà che già la Dichiarazione la Dichiarazione Dignitas infinita rinviava esplicitamente a J.H. Newman, al beato A. Rosmini, a J. Maritain, E. Mounier, K. Rahner, H.U. von Balthasar, e a non nominati altri.
[18] Giovanni Pico della Mirandola, Oratio de hominis dignitate (1586).
[19] Michele Farisco, Ancora uomo. Natura umana e postumanesimo, Vita & Pensiero, Milano 2011. Si osservi che la recente Nota cita Dignitas infinita nella parte in cui parla sia di postumanesimo che di transumanesimo; lo fa esattamente nella nota 9 al paragrafo 9: «In queste righe, si possono scorgere le posizioni principali dei “transumanisti” e dei “postumanisti”. I transumanisti affermano che i progressi tecnologici permetteranno agli esseri umani di oltrepassare i propri limiti biologici, e di migliorare sia le capacità fisiche che cognitive. I postumanisti, invece, asseriscono che tali progressi finiranno per alterare l’identità umana in modo tale che gli uomini non potranno neppure più essere considerati veramente umani. Entrambe le posizioni si basano su una percezione fondamentalmente negativa della corporeità, la quale è vista più come un ostacolo che come parte integrante dell’identità umana, chiamata anch’essa a partecipare della piena realizzazione della persona. Una tale visione negativa è in contrasto con una corretta comprensione della dignità umana. Pur sostenendo i genuini progressi scientifici, la Chiesa afferma che tale dignità si fonda sulla persona come unità inscindibile di corpo e anima, per cui essa “inerisce anche al suo corpo, il quale partecipa a suo modo all’essere immagine di Dio della persona umana”» (Dicastero per la Dottrina della Fede, Dich. Dignitas infinita [8 aprile 2024], n. 18).
[20] Diogene Laerzio, Vite e dottrine dei più celebri filosofi, trad. di G. Reale, Milano 2005, p. 647–649 [VI, 40].
[21] Ivi, p. 647, traduzione leggermente modificata [N.d.T.].
[22] Ivi, p. 663 [VI, 55].
[23] Cf. C. WOLFE, What is posthumanism?, University of Minnesota Press, Minneapolis – London 2010; R. PEPPERELL, The posthuman condition. Consciousness beyond the brain, Intellect book, Bristol – Portland 2003; K. LIPPERTRASMUSSEN – M. ROSENDAHL – T. AND J. WAMBERG (eds.), The posthuman condition. Ethics, aesthetics, and politics of biotechnological challenges, Aarhus University Press, Copenaghen 2012.
Tutto giusto. Ma: 1. Testo troppo lungo; 2. Testo ‘di parte’: perchè non fa notare che il termine ‘algoretica’ usato dal Papa fin dal 2020 (Discorso alla Pontificia Accademia per la Vita), nel documento dei due Dicasteri non c’è? 3. La Nota dei due Dicasteri tratta solo di sfuggita il tema della regolamentazione internazionale. Che invece è centrale. E infatti l’autore di questo prolisso commento ci si sofferma a lungo. Ma nella Nota vaticana è una vistosa mancanza e andava rilevata molto chiaramente.