Torniamo a riflettere sulla serie cult degli anni Novanta-Duemila che ha reso visibile, attraverso gli effetti speciali di una pellicola cinematografica, le implicazioni di un «metaverso collettivo» in cui l’umanità, soggiogata dalle macchine, è «mentalmente» bloccata in un loop virtuale del mondo del 1999.
La «prima volta» della visione filmica non si può scodare: l’inquietante immaginazione dei fratelli Wachowski rende basiti. Infatti, dopo circa 30 minuti di proiezione, scopriamo di essere immersi nella mente di Neo che abita in un mondo che non c’è, ma è «creato» nella sua mente dalle macchine. Oggi nel 2025, dobbiamo renderci conto che molta di quella fantascienza è divenuta esperienza quotidiana, più o meno compresa, gestita e utilizzata, dalle varie generazioni post-Matrix.
Il panorama attuale
Riflettiamo, allora, intrecciando i nostri pensieri cinematografici con l’attuale panorama tecnologico in cui (alcuni affermano) che il 2025 sarà l’anno delle intelligenze artificiali (IA). Gli ottimisti (leggasi magnati della Silicon Valley) vorrebbero che i grandi capitali investiti nelle strutture e nelle tecnologie (non è chiaro quanto sia stato investito in capitale umano…) siano la scintilla per avviare una diffusione capillare delle IA nella vita quotidiana.
Ci sarebbero tutte le condizioni per una profonda trasformazione: un’integrazione delle IA è già in atto da diverso tempo in vari settori, dalla sanità all’industria, dal commercio online fino ai lavori usuranti. Le IA promettono un impatto significativo sulla produttività e sulla creazione di nuovi posti di lavoro, un futuro prossimo in cui robot dotati delle stesse conoscenze dei loro pari umani, svolgeranno compiti complessi in modo autonomo e affidabile, con la possibilità anche di affiancare e potenziare gli altri lavoratori umani (senza che questi siano considerati obsoleti?), il tutto per un aumento significativo del PIL globale con nuove opportunità di business e di sviluppo.
Non mancano comunque scetticismo e preoccupazioni: nonostante i progressi visibili, l’IA mostra anche limiti evidenti nell’affrontare problemi complessi che richiedono una comprensione del comportamento umano e delle dinamiche del mondo reale. Le varie interfacce testuali e vocali con cui possiamo interagire se ci stupiscono con la loro celerità (e a volte anche accuratezza) di risposta in merito ad argomenti diffusi (che dunque possono essere facilmente collezionati dalla rete e messi a disposizione come input di training per il software delle IA), non sono così efficaci in merito a problemi sensibili e particolari, che forse richiedono quel di più (non clonabile) che l’intelligenza umana possiede.
Come siamo messi in verità? Lo scenario reale è più complesso dei manifesti bianco e nero. L’automazione guidata dall’IA porterà inevitabilmente, almeno nel primo periodo, alla perdita di molti posti di lavoro, in particolare in settori come il customer service e l’amministrazione, facilmente replicabili attraverso la raccolta di big data e l’utilizzo di un training specifico per i Large Language Model. A questo aggiungiamo i problemi connessi con la raccolta e l’analisi (sempre più massiccia) di dati personali, che solleva preoccupazioni sulla privacy e sulla sicurezza informatica.
Il futuro dell’IA inoltre è incerto e dipende da numerosi fattori reali, tra cui lo sviluppo tecnologico, le politiche governative e le scelte delle aziende, ma soprattutto dalla «risposta umana media» nei confronti di una società sempre più mista, o meglio dire «ibridata» tra problemi reali e tante potenzialità di digitalizzazione, algoritmi, robot… Ci domandiamo poi se occorrerà una regolamentazione efficace per governare lo sviluppo e l’utilizzo delle IA, garantendo che i benefici siano massimizzati e i rischi mitigati, e che il fattore umano sia protetto, di modo che le IA non costituiscano motivo di divisione sociale o intergenerazionale.
Dentro e fuori Matrix
Torniamo alla provocazione filmica e lasciamoci suggestionare dalla tensione presente-futuro possibile istanziato nella fantascienza: Matrix ci insegna a pensare che cosa sia una AGI: il sacro Graal dell’informatica, una Intelligenza Artificiale Generale, cioè un’ipotetica macchina che possieda la capacità di comprendere o apprendere qualsiasi compito intellettuale che può essere compreso o appreso da un essere umano.
Per dirla in altre parole, in maniera più semplice e pratica, possiamo pensare al famoso test di Turing: una macchina può essere considerata «intelligente» se la sua eventuale «risposta» (in merito a un’interazione con un essere umano, il caso classico è la chat) risulta indistinguibile da quella di un essere umano.
È doveroso dire che nella nostra realtà, non siamo in presenza di nessuna AGI, semmai siamo davanti a dei primi prototipi funzionanti di IA specializzate in compiti ben controllati: tradurre un testo, produrre un riassunto, elaborare una immagine da un testo o viceversa… e siamo testimoni che questi «traguardi» sono stati ottenuti dalla costante supervisione di programmatori, attraverso innumerevoli revisioni (in inglese diremmo release, versioni) che hanno portato alla luce diverse funzioni elementari e le hanno poi integrate ed armonizzate in quello che oggi chiamiamo capacità intelligente «artificiale», che pochi anni fa avremmo attribuito solo ad un essere umano.
Il futuro (passato) di Matrix ci pone di fronte macchine che vengono rappresentate sia all’esterno che all’interno della realtà virtuale. Fuori di Matrix, cioè nel mondo post apocalittico, in cui il cielo è coperto di cupe nubi, e il sole non è più visibile per l’inquinamento causato dalla guerra tra macchine e uomini, le macchine mostrano le loro reali sembianze animalesche, gigantesche seppie volanti, dotate di protuberanze con cui si nutrono di elettricità, ricavata dalla «coltivazione» degli umani dormienti.
All’interno di Matrix, invece si presentano in forma umana: l’Architetto, l’Oracolo, Smith, il Merovingio, l’Analista e tutti gli altri «abitanti virtuali» di Matrix che vengono chiamati semplicemente «programmi». Gli esseri umani dormienti naturalmente non conoscono la vera identità dei programmi che hanno davanti, e solamente coloro che si sono risvegliati e che «rientrano in Matrix» consapevolmente sanno tutta la verità.
Qui l’intelligenza artificiale viene messa in campo in tutta la sua potenza, non per le caratteristiche tecnico informatiche, elaborazione dati, previsione di eventi, riconoscimento vocale… ma per i loro tratti comportamentali e decisionali che non possiamo non definire personali. Anche alla luce del contesto odierno, è quanto mai proficuo, allora, rivedere e meditare tante scene clou per comprendere la fecondità di quest’opera di fantascienza che, a 25 anni dalla sua prima produzione, non smette d’interrogare lo spettatore umano attraverso il volto simulato delle IA e delle loro parole.
Le IA possono compiere il male in maniera decisa e massiccia, senza alcuna pietà, come Smith che si moltiplica con fini distruttori in tutti gli abitanti di Matrix e, come un virus nel computer, attenta al controllo supremo dell’Architetto e di Deus, facendo temere per il tracollo generale di tutta l’infrastruttura virtuale e a cascata del mondo reale degli umani.
Oppure, agli antipodi, le IA sono capaci di provare emozioni e bellezza. In questo senso è emblematica l’opera di Sati, quando sul finire del terzo episodio della tri(quadri)logia, subito dopo che Neo si è offerto per la pacificazione di uomini e macchine portando la fine della guerra, si vede (finalmente) spuntare un nuovo sole opera del programma-bambina in onore dell’Eletto che ha adempiuto la profezia su di lui, in maniera libera.
La risposta dell’Oracolo
E che il mondo virtuale non sia diretto dalla necessità o da un determinismo logico, e che ci sia posto per il libero arbitrio, non solo per Neo e i suoi compagni umani che lo hanno sostenuto nel viaggio, ma anche per i programmi che possono schierarsi a favore del bene (o contro) lo si comprende dalla domanda finale di Seraph all’Oracolo che riferendosi ai suoi doni di profezia, come preveggenza del futuro, domanda: «Lei ha sempre saputo! [della vittoria di Neo, e della fine della guerra…]»; risposta dell’Oracolo: «O no! Al contrario. Ma ho molto creduto, ho molto creduto!».
La fantascienza si conferma «laboratorio del futuro», dove sperimentare l’esito di fantascienze quotidiane appena iniziate, ma ancor di più luogo privilegiato per esprimere in ogni contesto possibile, reale e virtuale, le insopprimibili esigenze dell’umano. Sia che le sue «caratteristiche migliori» vengano cercate, come è doveroso, negli umani stessi, sia (supponiamo lecitamente, con le necessarie analogie che il futuro ci mostrerà) anche su ciò che ancora umano non è.







