Migranti: governo nel caos

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CAS di Bologna

Oltre 2.000 morti nel Mediterraneo dall’inizio di quest’anno fino a metà agosto, mentre durante tutto l’anno 2022 erano state 1.568 le morti accertate. Nel 2023 la rotta mediterranea si sta rivelando la più mortifera di sempre.

Non solo: al 18 agosto di quest’anno gli sbarchi hanno raggiunto quota 102.973 rispetto ai 50.022 dello stesso periodo del 2022 e i 35.015 del 2021.

Sono alcuni numeri – che celano storie di vita e volti scomparsi nel nulla – a riscontro di quanto siano proficui – ovvero inconcludenti – i memorandum concordati dal nostro Paese, prima con la Libia e poi, il 16 luglio, con la Tunisia del dittatore Kaïs Saïed, partecipe pure l’Unione Europea. Si tratta di una parte del Piano Mattei per l’Africa inaugurato da Giorgia Meloni con l’ambizione di ripercorrere le orme del fondatore dell’ENI.

La mossa di Ursula von der Leyen potrebbe essere giustificata dalla ricerca di una conferma alla guida della Commissione Europea minacciata, da destra, dalla competizione col capogruppo del Partito popolare Europeo Manfred Weber, rappresentante della CSU bavarese, Christlich-Soziale Union: l’Unione Cristiano-Sociale. Weber è un politico più a destra dell’attuale Presidente della Commissione eletta nelle liste del partito “fratello”, la CDU Christlich-Demokratische Union.

Giorgia Meloni e Ursula Von der Leyen hanno quindi sottoscritto un accordo con i peggiori interlocutori, anche se forse gli unici, al momento, della sponda sud del Mediterraneo, così rinunciando ad un approfondimento sia delle cause degli sbarchi sulle coste europee, soprattutto italiane, sia degli interessi intricati e contraddittori che marcano tutta l’area.

Ancora: gli avvenimenti che hanno segnato l’ascesa al potere di militari golpisti in Mali, Burkina Faso e, ora, Niger, rendono il progetto europeo ancora più arduo da realizzare. Le grandi rotte migratorie che attraversano il Mali e il Niger, Paesi frontalieri con il sud dell’Algeria e della Libia, rischiano di allargare a macchia d’olio l’influenza, già ben radicata, dei trafficanti di ogni genere di merci ed esseri umani verso l’Europa: droga, armi e migranti. Mentre la grande base militare franco-statunitense di Agadez rischia di essere la miccia che potrebbe far infiammare presto la cintura saheliana.

Il governo Meloni e gli sbarchi

L’attuale governo italiano, composto da ministri e dirigenti – una volta lividi censori dell’operato del governo Draghi di cui chiedevano, un giorno sì e un giorno sì, le dimissione della ministra dell’interno Lamorgese, accusata di non intervenire con decisione contro gli sbarchi –  si trova a balbettare qualche scusa ma soprattutto a spandere accuse nei confronti delle ONG, prese di mira prima dai decreti sicurezza dell’ex ministro Salvini (del governo Conte 1),  poi dall’attuale  ministro dell’Interno Piantedosi, “padre” del cosiddetto decreto Cutro, che sanziona le organizzazione di salvataggio in mare, colpevoli di interventi plurimi in ogni loro viaggio e indicate come il principale fattore di attrazione dei migranti, proprio a causa della loro attività umanitaria.

Gli sbarchi di questi primi otto mesi sono dunque segnati da una conduzione normativa, oltre che operativa, a dir poco imbarazzante. Le decisioni appaiono prese nell’improvvisazione totale, per essere poi continuamente aggiustate, aprendo falle a catena nel sistema.

In questi giorni, perciò, gli amministratori di Regioni ed Enti locali – peraltro di tutti i colori – sono motivatamente in rivolta per le modalità adottate nella redistribuzione territoriale dei nuovi arrivati, spediti come pacchi in tutte le direzioni, soprattutto, statisticamente, verso le città e i territori governati da amministratori dei partiti di opposizione al governo: strategia già adottata in passato, in modo da soffiare sul malcontento della popolazione e far virare l’orientamento elettorale a destra.

Regioni e redistribuzione

Certamente, nel nostro passato di mala organizzazione redistributiva sono stati accusati anche i governi di centrosinistra che, per il quieto vivere, hanno cercato di appoggiarsi alla buona volontà di sindaci e di amministratori “amici”, ritenendo che la scelta volontaria di prestare accoglienza garantisse maggiore capacità: una scelta “tiepida” che ha portato alcuni territori a farsi carico  della maggior parte delle accoglienze sia nei CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria) che negli SPRAR – poi SIPROIMI – e infine,  nell’attuale  SAI  (Sistema di Accoglienza e Integrazione). Gli Enti locali renitenti all’accoglienza trionfavano.

Al primo giugno 2023 si sono contati 3.100 CAS che rappresentano il punto di prima sistemazione, dopo lo sbarco, per i richiedenti protezione internazionale. La permanenza in tali strutture è prevista dopo lo smistamento degli sbarcati, sino alle decisioni che competono alle Commissioni Territoriali deputate a discernere in merito alle istanze.

Una buona parte di queste strutture ricettive è realizzata in piccoli immobili (talvolta case canoniche non utilizzate dai parroci), con nuclei di organizzati in forma di accoglienza diffusa – molto meno impattante dal punto di vista sociale e molto meglio accettata dalla popolazione – con la gestione delle cooperative sociali e delle associazioni, d’intesa o meno con i Comuni, con rette giornaliere – peraltro insufficienti – pagate (in ritardo) dal Ministero dell’Interno.

Questi Centri ospitano le persone per lunghi periodi: spesso continuano ad ospitare anche chi ha già ottenuto lo status di protezione, poiché il mercato del lavoro e degli immobili certamente non facilita la loro uscita in autonomia. Ebbene, il decreto Cutro, così fortemente voluto dal Governo, prevede che nei CAS non vengano svolte attività di insegnamento della lingua italiana o realizzati percorsi di formazione lavorativa nel lungo periodo che intercorre tra la presentazione della domanda di asilo e il riscontro della Commissione. Ciò rende assolutamente improduttiva la permanenza, a prescindere dalle decisioni finali delle Commissioni (o dei Tribunali, in caso di ricorso).

A nulla è servita la disposizione introdotta al fine di snellire le procedure, andando ad individuare, sin dallo sbarco, i cosiddetti migranti economici, distinguendoli dai richiedenti asilo ritenuti “autentici”: ora, alle guardie di frontiera, viene affidato una sorta di triage, da esaurire sul posto, per discernere chi proviene da Paesi notoriamente in conflitto ovvero da Paesi sicuri, tra cui campeggiano la Tunisia e la Libia delle bande criminali al potere, sia ad ovest come a est: Paesi che non hanno sottoscritto la Convenzione di Ginevra  e che vengono d’ufficio dichiarati sicuri in barba al principio di non refoulement, non respingimento alle frontiere.

La maggior parte delle Regioni e amministrazioni governate dal Centro Destra e dalla Lega hanno sempre rifiutato di aprire spazi di accoglienza per i clandestini, come venivano e vengono normalmente definiti, spregevolmente, i regolari richiedenti asilo: termine sanzionato, in questi giorni, dalla Corte di Cassazione (sentenza 24686) che ha condannato la locale sezione della Lega per l’affissione di manifesti discriminatori  nel comune di Saronno avversi all’arrivo, previsto, di 32 richiedenti asilo. La Lega dovrà risarcire le Associazioni ricorrenti, – l’ASGI Associazione Sudi Giuridici Immigrazione, l’Associazione Carta di Roma e il Naga di Milano – sia per il danno subìto, che per le spese legali.

Governo in ordine sparso

Nel caos ormai ingeneratosi, gli apparati di governo si muovono senza coordinamento, assillati dalla libido dimostrandi che vuol mostrare i risultati attesi ricorrendo ad un sistema redistributivo da volée di giocatori di ping-pong. I due punti fondamentali della “strategia” che si vuole ora adottare fanno acqua da tutte le parti. Li riepilogo.

  • Primo: accelerare il turn over nei CAS cacciando chi vi risiede da più tempo e mettendo in libera uscita forzata i migranti che hanno ottenuto lo status di rifugiato.

L’effetto prodotto sarà quello di immettere queste persone – diverse migliaia – direttamente nei territori urbani consegnandoli ai Servizi sociali comunali, col rischio di farli saltare. Non a caso – finalmente!  – anche i Comuni retti da giunte di destra stanno alzando la voce contro i propri rappresentanti al governo. Per la prima volta vengono scomodati e spinti a pensare qualcosa per le persone a loro indesiderate. Nei paesi del nord Europa le Regioni e i Comuni sono obbligati, già da tempo, ad accogliere una parte dei nuovi arrivi in proporzione alla popolazione residente.

  • Secondo (progetto elaborato dal Commissario incaricato dal governo, il prefetto Valerio Valenti): organizzare la redistribuzione degli sbarchi già dalla vicina e “amica” Tunisia, interessando tutti i Comuni, dai piccoli ai grandi, sia in base alla popolazione residente che all’estensione del territorio di competenza.

Di per sé questo ha senso, ma l’operazione risulta di alquanto difficile realizzazione, dopo anni di libera adesione. La coazione rischia di scatenare duri conflitti anche nella maggioranza di governo che, in molte sue componenti, ha sempre visto i migranti come fumo negli occhi. Vedremo se il Commissario riuscirà in questa impresa.

Circa il primo punto, è da ritenersi capzioso il giudizio morale di inattività – torna il termine sdraiati! – dei richiedenti asilo riconosciuti, in quanto il problema del lavoro, della formazione professionale e della ricerca di autonomia alloggiativa grava su centinaia di migliaia di cittadini italiani.

Da tempo si chiede la predisposizione di strumenti in grado di facilitare il percorso di inserimento sociale e lavorativo dei migranti – di cui abbiamo peraltro un gran bisogno – senza ulteriormente gravare sulle finanze dei Comuni che da tempo agiscono in vece degli Enti superiori. In quest’ottica sarebbe opportuno riconoscere prontamente le qualifiche possedute dai migranti, attraverso il bilancio delle competenze dichiarate, per poi indirizzare e formarne altre. Ma tutto questo è ancora un sogno.

Minori non accompagnati

La fuoriuscita, inoltre, di molte persone molto fragili, sia socialmente che, talvolta, fisicamente, non farebbe altro che gonfiare il numero dei diseredati per le strade, con tutto ciò che ne conseguirebbe.

Un discorso speciale andrebbe riservato alle difficoltà di accoglienza dei minori non accompagnati: problema che andrebbe affrontato predisponendo una rete allargata di strutture allo scopo, procedendo ad una assegnazione territoriale ragionata non solo sulle attuali disponibilità dichiarate, ormai sature, di alcuni Comuni – come Cremona o Bologna – bensì finanziando programmi di allargamento delle accoglienze in tutti i Comuni capoluoghi di provincia almeno. Con una visione d’insieme delle cose, i problemi – senz’altro seri – si possono trasformare in positive risorse.  I buoni esempi non mancano.

L’auspicio – più volte espresso – nel verso della redistribuzione europea dei migranti approdati in Italia dalle varie rotte, purtroppo, non pare godere di sufficienti numeri, oggi, per essere alimentato. Il fallimento si trascina ormai da troppi anni, senza risultati. Dagli esiti disastrosi delle trattative, affiora la reazione di chi paventa espulsioni o deportazioni di massa e a catena quale sistema deterrente dei nuovi arrivi: ma non si ha che da prendere in considerazione i costi, già insostenibili, di simili operazioni, il tutto per un paio di migliaia di persone potenzialmente rimpatriabili, secondo facili previsioni.

Il tutto mentre le economie nazionali stanno richiedendo insistentemente nuova manodopera in Italia come in Europa.  Chiedo ancora una volta: ha senso tutto questo? Perché non cambiare tutto?

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4 Commenti

  1. Gian Piero 25 agosto 2023
    • Marcello Neri 25 agosto 2023
      • Pietro 26 agosto 2023
  2. Toni 25 agosto 2023

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