Come trasmettere i valori della “Laudato si’”?

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Marianella Sclavi, docente di etnografia, scrittrice, attivista, autrice di long-seller quali La signora va nel Bronx (1994) e Arte di ascoltare e mondi possibili (2022), collabora col “Movimento Laudato si’” per l’applicazione di metodi di partecipazione attiva in materia ambientale. L’ha intervistata Giordano Cavallari.

 – Gentilissima Marianella, di cosa si sta attualmente occupando?

Sto concludendo una ricerca in Francia, a Nantes, su di una esperienza di governo locale, protratta sin dall’89 e fondata sul confronto permanente tra i saperi e le esperienze degli amministratori politici, dei tecnici e dei cittadini: quando, infatti, questi tre saperi/esperienze dialogano tra loro e imparano reciprocamente, i progetti civili risultano più completi e hanno ben maggiori probabilità di successo. Lo voglio dimostrare con un libro di 300 pagine, che sarà pubblicato in Italia a maggio 2026 dalla casa editrice Bordeaux, e in seguito, spero, anche in Francia.

Un altro impegno che mi sta prendendo molto, da quando è iniziato il conflitto, è quello per l’Ucraina: sono una delle fondatrici del Movimento di Azione Non Violenta e, per questo, sono stata 14 volte in Ucraina, in questi ultimi anni, ad ascoltare le storie della gente “normale” che ogni giorno vive sulla propria pelle le conseguenze della guerra; vado, ogni volta, ad ascoltare, a imparare e ad ammirare, ad esempio, il grande numero di medici e infermieri volontari che lavorano a pochi chilometri dal fronte per portare in salvo e curare feriti, oppure i protagonisti (molti giovanissimi) di una vasta rete anti–corruzione, in Italia poco conosciuta.

Per la maggioranza degli ucraini lottare contro l’aggressione russa e contro la corruzione sono due facce della stessa medaglia. La recente vittoriosa insurrezione popolare contro una legge che intendeva limitare i poteri dell’Agenzia Anticorruzione, per noi del MEAN non è stata una sorpresa.

Mi capita anche di occuparmi – ed è questa la circostanza della nostra intervista – del Movimento Laudato si’ del quale condivido appassionatamente i valori: sono stata interpellata dai referenti per un mio contributo professionale al processo di sensibilizzazione e di coinvolgimento delle comunità, nel passaggio dal “dire al fare”.

Non ci si nasconde la grande difficoltà – che c’è – nello smuovere la stessa gente delle parrocchie.

Ho partecipato recentemente ad un bell’incontro ad Assisi – in occasione degli 800 anni del Cantico delle Creature di san Francesco, nel 10° anniversario della Laudato si’ e nel corso del Giubileo.

Mi sono buttata – a 82 anni – con entusiasmo anche in questo impegno, perché ne vale la pena e mi convince!

– Come si possono effettivamente trasmettere i valori della Laudato si’?

Ogni transizione effettiva è, innanzi tutto, di natura antropologica, prima che, come in questo caso, di natura ecologica: si tratta di cambiare abitudini profondamente radicate, modi di pensare e di interagire nella vita quotidiana. Perciò ho messo a disposizione, con l’AIEMS (Associazione Italiana di Epistemologia e Metodologia Sistemiche) anche un Quaderno (qui) che possa aiutare gli animatori del Movimento ad acquisire quelle competenze che facilitano la creazione dei contesti e dei presupposti che rendono effettivamente possibile realizzare questi valori.

Non basta andare tra la gente a dire che “la terra sta morendo”, anche se è vero. Bisogna mettere le persone in grado di capire e di agire da sé: perciò è determinante l’adozione dei metodi che permettono di far emergere quella che viene chiamata l’intelligenza collettiva, che io studio e pratico da una vita.

– Ci può spiegare come funziona il metodo?

Di per sé è molto semplice. La nostra “normale” modalità interattiva è quella del rapporto giudicante: siamo abituati a porci nella modalità “io so, tu non sai”; mentre, se vogliamo arrivare collettivamente da qualche parte, va applicata la regola che dice. “Quando qualcuno dissente da te, non cercare di spiegargli che ha torto, cerca di capire in che senso ha ragione”.

Col metodo dell’ascolto attivo, si assume che “l’altro e l’altra sanno quanto me” e che, se la pensiamo in maniera diversa, bisogna arrivare a capire “cosa l’altro sa che io non so”.

Non posso insegnare senza imparare: questo è l’assunto fondamentale.

Ciò risulta evidente specialmente nelle questioni che riguardano la transizione e l’ambiente: sintanto che ci si irretisce in modalità interattive giudicanti e ci si polarizza litigando, invece di cercare delle soluzioni già esistenti in qualche parte del mondo e che vanno bene anche per noi.

Quando l’interlocutore reagisce dicendo: “sì, ma non nel mio giardino”; invece di spiegargli che ha torto, dobbiamo capire le sue ragioni e farcene carico. L’ascolto attivo è creazione di ascolto reciproco in vista di inventare insieme soluzioni di mutuo gradimento. Solo se ci si ascolta attivamente, a partire da esperienze concrete, accade qualcosa che consente di andare avanti, verso la realizzazione del valore.

***

Può fare qualche esempio, effettivamente incontrato?

Mi sono occupata – chiamata dal Comune di Roma – di una questione di ubicazione di impianti di riciclo dei rifiuti umidi (compostaggio). Mi sono trovata di fronte, da una parte, a progetti disegnati “a tavolino” dall’ACEA e dall’amministrazione comunale e, dall’altra, ad una decina di comitati di cittadini delle zone di periferia in cui gli impianti dovevano essere realizzati, fermamente contrari. Mi è stato conferito l’incarico di rimettere in dialogo amministrazione e cittadini, ormai su posizioni polarizzate e inconciliabili.

Io amo molto parlare con chi è “contro”, perché so che ho sempre da imparare: così sono andata a parlare con i rappresentanti dei comitati – tra cui vi erano persone anche molto preparate – oltre che con i semplici cittadini. Ne ricordo uno, esasperato, perché già ci metteva un’ora per raggiungere il suo posto di lavoro e riteneva che, con l’aumento di traffico collegato al nuovo impianto, non sarebbe mai giunto in tempo. Veniva posta la questione degli odori e quella delle dimensioni: ci sono impianti che puzzano e altri no, meglio uno grande o tanti di misura minore?…

Ognuno di questi problemi va affrontato ogni volta, e la concretezza e il dialogo fra tutti coloro che sono interessati è fondamentale per trovare soluzioni inedite e che funzionano. Ma, appunto: bisogna passare dal dibattito al dialogo, e per questo sono utili delle facilitatrici e dei facilitatori.

Ho impostato il lavoro partendo dalla consapevolezza – peraltro già condivisa – che gli impianti di compostaggio sono utili e sono per il bene di tutti; ho promosso visite “sul campo” con i tecnici dell’amministrazione comunale e con i cittadini. Piano piano, da una situazione completamente bloccata, si è giunti ad una possibile intesa, oggi già parzialmente, ma ancora non integralmente, realizzata, ma per ragioni prettamente politiche.

Questo è un esempio tipico di come si possa arrivare a buone soluzioni – anche di carattere ambientale –, ascoltando chi vive e abita il “posto”.

Un altro esempio è riportato nel Quaderno (a pag. 20), a proposito del risparmio energetico in quartieri di case popolari.

– La partecipazione c’è, ma solo quando le persone sono toccate direttamente?

Per ottenere la partecipazione della gente si deve essere in grado di far percepire quanto la loro esperienza sia importante per aiutare a prendere le decisioni politico-amministrative migliori.

In genere, tante persone hanno paura a farsi vedere, a intervenire, a partecipare: hanno paura del giudizio degli altri, per le ragioni che dicevo.

Certamente, non si può pensare che proprio tutti possano arrivare alla partecipazione attiva. Ci sono tecniche di attivazione che prevedono la costituzione di piccoli gruppi di opinione delle comunità. E bisogna accettare che si formi una leadership locale – in genere costituita da chi ha già un ruolo conosciuto nella stessa comunità (poniamo il farmacista!) – che, a sua volta, ascolta e raccoglie l’intelligenza attiva dell’intera comunità: una sorta di “sale della terra” che consente di trasferire i problemi individuali su un piano collettivo e di maggiore speranza.

– Speranza?

Sì, perché c’è tanta di-speranza: la gente oggi, spesso, non vede alternative, pensa che nulla possa mai cambiare e quindi si chiude in sé.

***

– Una prima obiezione: per fare questo serve tempo. Troppo tempo?

Io rispondo: le decisioni prese secondo lo schema dominante, “dall’alto”, mostrano di destare reazioni oppositive e di non funzionare nel tempo, proprio perché non creano senso di comunità e di fiducia nel bene comune: da qui il senso di abbandono da parte della classe politica e la diserzione popolare del voto.

Dunque, il raggiungimento del consenso informato e la partecipazione richiedono tempo e richiedono pure risorse e finanziamenti iniziali. Ma è proprio questo tempo che consente poi di recuperare altro tempo e altro denaro.

Spesso, in soli tre mesi, con la mia équipe, sono riuscita a ingenerare gruppi locali in grado di lavorare secondo il modello che abbiamo proposto; conseguentemente sono arrivati loro stessi alle conclusioni utili alla realizzazione dei progetti.

– Un’altra obiezione e domanda: ciò che funziona ad un livello locale, quindi circoscritto, può funzionare su scala più vasta, persino nazionale, ad esempio riguardo alle grandi scelte energetiche di un Paese?

Potrei portare esempi molto interessanti in proposito, uno dei quali riguarda la Francia, proprio in materia di decarbonizzazione: nel 2019 il presidente Macron, dopo vari tentennamenti, ha fatto propria l’iniziativa dell’“assemblea dei cittadini”; in pratica è stato individuato un campione statistico – differenziato per età, sesso, distruzione geografica, classe sociale… – a cui è stato affidato il compito di formulare proposte per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione del Paese fissati dalla COP 21 di Parigi nel 2015, rigorosamente “secondo criteri di giustizia ed equità”.

Per nove mesi queste persone hanno lavorato insieme, potendosi avvalere delle competenze di figure di scienza e di tecnici del settore, il tutto pagato dallo Stato.

Ebbene, alla fine, il gruppo ha prodotto un ponderoso documento, completo, equilibrato, concreto. Macron ha partecipato alla sua presentazione e alla consegna al Parlamento, impegnandosi, per quanto di sua competenza, a mandarlo in realizzazione. Risulta ora che solo poco più del 15% delle proposte siano state approvate e stiano camminando verso il traguardo del 2030.

Ma al termine dei 9 mesi è accaduto un fatto imprevisto: il gruppo dei 150, che avrebbe dovuto sciogliersi, insoddisfatto delle decisioni del Parlamento, ha continuato a sollecitare l’attuazione delle proposte, costituendosi in un comitato nazionale e a proprie spese. Mi sembra una delle esperienze di democrazia partecipativa meglio riuscite, tuttora in atto.

***

– Il Movimento Laudato si’ può ambire, secondo lei, ad innescare processi di questo genere e portata?

Laudato si’ è un movimento internazionale: può ambire a raccogliere fondi e risorse per perseguire obiettivi decisamente alti. Peraltro, esistono bandi e fondi messi a disposizione dall’Europa per progetti animativi di questo tipo.

Come ho detto, c’è bisogno di investire, inizialmente, su persone preparate: facilitatori che siano in grado di formare altri facilitatori locali, sino ad averne due o tre in ogni comunità locale.

In questo modo, anche i politici arrivano a capire che i movimenti di opinione sono una realtà molto seria e che le grandi, così come le piccole scelte, che funzionano, si possono fare solo con la gente, non sopra la gente. La Laudato si’ insegna questo.

– Marianella, perché la Laudato si’ è così importante per lei?

Mi definisco “agnostica”, ma confesso di essermi innamorata di questa enciclica papale, in cui è scritto molto bene ciò che penso da una vita. E che mi fa dubitare che lo Spirito Santo esista davvero!

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