Chi è oggi “Teofilo”?

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Foto di Daniele Colucci su Unsplash.

Luca ha pubblicato il Vangelo e gli Atti negli anni iniziali dell’ottavo decennio d.C., forse nello stesso periodo del Vangelo di Matteo. Se si guarda prospetticamente indietro, si vede il Vangelo di Marco, generalmente datato tra il 65 e il 70 d.C., probabilmente a Roma.

Prima di Marco è dominante la presenza di Saulo/Paolo, a cominciare dalla conversione/chiamata sulla via di Damasco avvenuta circa nel 36. Quanto alle lettere, le prime sono le lettere ai Tessalonicesi, scritte probabilmente da Corinto tra il 49-52, mentre le ultime lettere, ai Filippesi, Efesini, Colossesi e Filemone, sono state scritte durante il periodo della prigionia a Roma, qualche anno prima di morire tra il 64-67.

Dalle lettere paoline in poi

Se guardiamo la profondità di campo a partire dal 36, l’anno della chiamata di Paolo, l’apostolo è una figura dominante pastoralmente, per le sue lettere, per i contenuti di cui tratta e per la forma retorica e argomentativa del suo linguaggio.

Il Vangelo di Marco uscirà una trentina d’anni dopo la conversione di Paolo, come primo scritto che ha trasformato il Kerigma nella forma narrativa. Marco però ha circa 678 versetti, mentre le lettere di Paolo contengono 2.033 versetti (a seconda delle traduzioni e suddivisioni): il Vangelo di Marco rappresenta circa un terzo della lunghezza totale delle lettere paoline. L’opera lucana invece ha un totale di circa 2.158 versetti: il maggior numero di versetti rispetto agli altri scritti del Nuovo Testamento, tuttavia, se si considera il numero degli scritti, Paolo è il più prolifico, avendo scritto 13 lettere che costituiscono una parte significativa del Nuovo Testamento.

Dall’opera lucana alle lettere paoline

Se guardiamo la profondità di campo a partire a ritroso dalla pubblicazione del Vangelo di Marco, possiamo constatare che non c’è una significativa continuità con le lettere di Paolo. Al contrario, se si parte dall’opera lucana, si osserva una certa eredità di base da Marco, ma anche di Paolo. Queste profondità di campo, in realtà, riguardano l’espansione in corso del cristianesimo nell’Impero.

Molte delle comunità cristiane avevano superato la fase iniziale di fondazione e stavano cercando di consolidarsi, affrontando sfide interne come dissidi dottrinali e organizzativi, e tensioni tra credenti provenienti da ambienti giudaici e pagani.

C’erano però anche situazioni rimaste un po’ indietro nella comprensione della fede sul battesimo e lo Spirito Santo. Era un periodo di crescente diversità, con influenze culturali e tradizioni differenti che si intrecciavano.

Luca, insomma, si trova in una Chiesa che avverte la necessità di scrivere la storia di Gesù e delle azioni degli Apostoli per promuovere l’esperienza della fede testimoniale.

Le intenzioni di Luca e Teofilo

Il fatto che Luca si rivolga a Teofilo all’inizio dei primi quattro versetti del Vangelo[1] e che si rivolga a lui ancora all’inizio degli Atti[2] vuol dire che Luca non si limita a dare notizie, ma a narrare come forma per persuadere Teofilo. Non si sa se Teofilo sia un personaggio reale, ma questo interessa poco, visto che poi Luca aveva un interlocutorio ben più ampio nei lettori reali.

Il fatto che Teofilo sia nominato all’inizio del Vangelo, prima e al di fuori del racconto, dice cosa intenda raccontare l’autore con le sue «ricerche accurate», rispetto a quello che Teofilo presumibilmente sa o non sa, rispetto ai testi di Paolo e di Marco.

Il fatto stesso che Luca voglia “compensare” i vuoti presumibili del lettore con ricerche accurate e uno scritto ordinato nella forma narrata vuole dire che la “solidità” che il lettore dovrebbe e potrebbe conseguire accadrà attraverso un “processo di identificazione” interna alla narrazione, grazie all’accompagnamento e i privilegi che il narratore gli concederà.

Luca ha disposto la narrazione con le macrostrutture letterarie di inclusione del “cercare” (Vangelo) e del Regno (Atti) e le tensioni di identificazione di Cristo con il Regno (Vangelo) e dei testimoni con Cristo (Atti).[3]

Il narratore accompagna il lettore passo passo in queste grandi strutture narrative, ma sarà presente al lettore anche nei racconti brevi, dove dirà, con maggior spontaneità, cosa serva di più al lettore per identificarsi con il suo punto di vista.

Per le prime e le seconde, il narratore segnala al lettore i passi dell’esperienza della fede, il più delle volte attraverso la “misericordia” di Gesù che conferma, per esempio con la peccatrice perdonata (Lc 7,36-50), la guarigione dei dieci lebbrosi (Luca 17,11-19), la donna emorroissa (Lc 8,43-48) e, soprattutto, della donna senza nome che lavò e profumò i piedi di Gesù nella casa di Simone Fariseo ((Lc.7,36-50), alla quale, dopo il suo gesto di tenerezza, dirà: «La tua fede ti ha salvato».

La verifica e la conferma

Se il narratore segue questo processo, anche il lettore avvertirà prima o poi la necessità di verificare quanto sia “solida” la narrazione di Luca e quanto affidabile sia Gesù per la vita e con una fede testimoniante.

Quello che il lettore Teofilo potrà valutare non è poi diverso da quello che ogni lettore reale possa ponderare anche oggi, e non tanto quello che ritiene cristianesimo, cattolicesimo e che siano tali a prescindere dall’esperienza effettiva della fede, quanto possa incoraggiare una fiducia pratica.

L’opera lucana ha modo di riportare un’affermazione che Gesù ha rivolto ai discepoli, prima dell’ultima cena: «Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove» (Lc 22,28). Mettendo in luce questo primato della fede, luca si distingue dal Vangelo di Marco, dove spesso Gesù non si fa trovare dai discepoli e nemmeno appare come Risorto. Luca si distingue anche dal Vangelo coevo di Matteo, che sottolinea più la morale e l’organizzazione della Chiesa.

In questo senso, Teofilo potrebbe rappresentare il variegato mondo cristiano del suo tempo al quale offre l’occasione per riconoscere il primato della fede testimoniale e per favorire un cammino di comunione condivisa.

Il Teofilo di oggi

Il “Teofilo” di oggi, leggendo l’opera lucana, potrebbe anche lui essere attratto dalla narrazione e intraprendere un processo di “identificazione” con il narratore. Teofilo potrebbe essere chiunque si trovi in ricerca, in dubbio o desideroso di una comprensione più profonda della fede in un contesto moderno e complesso.

Potrebbe essere un credente che affronta le incertezze di un mondo sempre più secolarizzato, o qualcuno che si interroga su come la fede possa dialogare con la scienza, la cultura e i problemi sociali del nostro tempo.

Allo stesso tempo, potrebbe essere un battezzato non più credente che scopre la tenerezza di Gesù che si curva davanti a Pietro per lavare i suoi piedi. E potrà scoprire che anche Gesù ha imparato questo gesto da una donna che ha lavato teneramente i suoi piedi e in un contesto avverso.[4]

Questo atto di profonda intimità e vulnerabilità va oltre il giudizio umano e si radica nella misericordia divina. La tenerezza, in questo senso, contribuisce all’esperienza della fede, perché rivela la misericordia di Dio: Gesù accoglie il gesto della donna come espressione di amore e di pentimento, mostrando che la tenerezza è il linguaggio della riconciliazione e del perdono.

La tenerezza permette di superare le barriere sociali e morali, come quelle tra il fariseo e la donna, e di entrare in una relazione profonda con Gesù. Attraverso la tenerezza, la fede diventa un’esperienza che tocca il cuore e trasforma la vita, come accade alla donna che riceve il perdono e la pace.


[1] «Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto».

[2] «Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi 2fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo».

[3] Per la documentazione si rimanda ad A. Landi,  Luca. Introduzione e commento, Queriniana, 2024.

[4] I Guanzini, TENEREZZA, Ponte delle grazie, 2015, pp. 143-151.

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