Meditazione: camminare in silenzio

di:

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Paolo Trianni – con Axel Bayer e Massimo Gusmano – è autore del volume I cammini del silenzio, Gabrielli 2025 (qui). Gli abbiamo posto alcune domande riguardo al capitolo Per una teologia comparata della meditazione

 – Caro Paolo, cosa intendi per “meditazione” nell’ambito teologico comparato delle religioni?

È sicuramente possibile fare comparazioni tra le religioni per quanto attiene la pratica spirituale, anche perché la meditazione rinvia alla dimensione del silenzio e al puro atteggiamento di ricezione che sono presenti trasversalmente in tutte le religioni.

Diversa, però, è l’interpretazione teologica che viene data ai suoi fini ultimi: risulta essere perciò tale la tensione di fondo che porta con sé la meditazione, che è ovunque simile (nella sua dimensione fenomenologica) e ovunque diversa (nella sua comprensione teologica).

– Quali tipologie di meditazione distingui?

Di tecniche meditative ce ne sono innumerevoli. Ogni tradizione religiosa ha le sue, con numerose varianti interne. Si potrebbe dire che ogni maestro spirituale ha dato le proprie raccomandazioni o indicazioni.

In genere, viene consigliata l’osservazione del respiro, l’ascolto di un suono o l’utilizzo di un mantra o di immagini. Mi preme sottolineare, però, una dimensione di fondo su cui molto insiste lo yoga: l’obiettivo della meditazione coincide sempre con il fermare i movimenti della mente, perché l’esperienza mistica vera e propria comincia – secondo questi orizzonti spirituali – proprio dopo il raggiungimento di quello stato acquietato di coscienza.

Tuttavia, per fermare la mente non bastano tecniche di respirazione o visualizzazioni, occorre una qualificazione morale, altrimenti la mente continua ad agitarsi e ad autoalimentarsi di pensieri e di desideri.

***

– Fenomeno trasversale, ma legato a diverse credenze?

Sì, la meditazione è legata ad uno specifico “credo”, ed è questo che crea le differenze tra le meditazioni. Anche se il “modo” può essere simile, il senso e la direzione che danno alla meditazione un buddhista, un indù o un cristiano sono molto differenti.

La spiritualità cristiana – ad esempio – non potrà mai coincidere con un “tecnicismo”, perché sono prevalenti la dimensione del “dono” e la presenza di un “Tu”. In conseguenza di ciò, la meditazione cristiana si fonda sulla trascendenza.

Nell’induismo, invece, prevale un’immanenza che arriva a smarrire la differenza ontologica tra Dio e l’uomo. Ciò è inaccettabile nell’orizzonte cristiano, perché la teologia ha ben chiara la differenza tra Creatore e creatura o tra Redentore e redento, sebbene non manchino nella storia della spiritualità cristiana mistici che hanno finito con l’identificarsi e col riconoscersi nell’esperienza di assolutezza da loro vissuta.

Il nodo di fondo coincide con un dato di fatto: il vissuto mistico non può essere rappresentato in modo adeguato dal linguaggio razionale dualistico. Va da sé, ad ogni modo, che la meditazione cristiana non possa coincidere né con il dualismo radicale, né con il monismo, né con un assolutismo nichilista, poiché crede nella creazione, nell’incarnazione e nella sussistenza dell’individualità personale.

È errato, comunque, affermare che il cristianesimo non sia toccato dalla meditazione orientale: uno dei più grandi teologi del Novecento, Hans Urs von Balthasar, sosteneva che il metodo di contemplazione plotiniano viene dall’India, e quel metodo è entrato nella spiritualità dei padri del deserto e in quella del cristianesimo neoplatonico in genere.

 – Puoi fare qualche esempio?

Posso ricordare la Vipassana buddhista, che è molto antica, lo yoga di Patanjali, lo zazen o la meditazione “camminata”. Oggi va molto di moda la mindfulness (= consapevolezza di sé e della realtà nel momento presente, ndr).

Per quanto riguarda il mondo cristiano, potrei ricordare la preghiera pura di un Evagrio Pontico o di Giovanni Cassiano, l’esicasmo o la mistica di Eckhart, e quella della “Nube della non conoscenza”. Alcuni movimenti di meditazione cristiana contemporanei coincidono appunto con un recupero di queste antiche tradizioni.

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– Come si pone il cristianesimo contemporaneo al riguardo?

Non dobbiamo sottovalutare un dato fatto: la meditazione può sollevare questioni teologiche radicali. D’altro canto, lo stesso dialogo teologico tra le religioni si confronta su distanze e differenze dottrinarie che appaiono incolmabili. Ciò che oggi mi sembra importante – persino urgente – è creare una meditazione tipicamente “cristiana”.

Alcuni missionari, come Jules Monchanin, si sono spinti ad affermare che serve uno “yoga cristiano”. Nel porsi questo obiettivo, però, la riflessione teologica non può abbracciare né l’impersonalismo, né il dualismo, né l’immediatezza, né il panteismo. Una tale accortezza mi sembra del tutto evidente.

– Il magistero della Chiesa cosa ne dice?

Su queste tematiche – proprio perché non mancano le problematicità – ci sono state alcune prese di posizioni magisteriali, ma, probabilmente, serviranno interventi ulteriori.

Si conoscono, ad esempio, le condanne del “quietismo” e quelle ad una certa mistica orientata al “non-dualismo” o all’“immediatezza”. Più di recente – nel 1989 – è stata pubblicata la Lettera su alcuni aspetti della meditazione cristiana, dell’allora Congregazione per la dottrina della fede. Rimane un documento importante, perché i rischi di sincretismo e di relativismo sono sempre possibili, anche perché molte persone che si danno alle pratiche meditative non hanno una preparazione teologica solida.

A mio avviso, su queste questioni c’è un cammino di ricerca e di riflessione che è ancora tutto da compiere. Mi sembra che siamo ancora all’inizio di un vero studio dell’esperienza spirituale umana nelle religioni.

 – Cosa verrebbe posto a maggior pregiudizio, secondo la teologia “classica”?

Il problema ultimo di una pratica mistico-meditativa portata alle estreme conseguenze, è proprio l’ingresso in un “oltre” che relativizza non soltanto le mediazioni ecclesiali, ma persino la differenza ontologica tra l’individuo e la divinità (o tra l’uomo e Cristo).

Se la meditazione viene dall’India, dobbiamo riconoscere che la mistica indù, quantomeno quella dei “rinuncianti” e dei “vedantici”, invita ad abbandonare i riti e le scritture. Un cristiano, chiaramente, non può compiere un tale passo, sebbene dom Bede Griffiths sostenesse che il dono del monachesimo alla Chiesa fosse proprio quello di introdurre in essa questa dimensione di “superamento”.

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– C’entra il post-teismo?

Il post-teismo mi sembra un modo “adulto” di pensare Dio. Certamente le sue radici sono anche nella mistica, ed in particolare in una certa mistica speculativa di matrice neoplatonica.

Dobbiamo stare attenti, però, a non fare deduzioni frettolose. Quelle sollevate dal post-teismo sono tematiche di frontiera per la teologia della Chiesa, del tutto inesplorate. Ma c’è un cammino di pensiero e di esperienza da fare, prima di formulare giudizi – dati per definitivi – su Dio, sul cosmo e sull’uomo. Il post-teismo, ad ogni modo, può aiutare a superare concezioni del sacro che potremmo anche definire infantili.

 – Quali sono quindi, secondo te, le condizioni di possibilità di una meditazione non contraddittoria col credo cristiano?

La sacra Scrittura e l’eucaristia non si possono bypassare. Quando le tecniche meditative vengono accompagnate dalla Bibbia e dalla ritualità non ci sono problemi dottrinali, anzi costituiscono strumenti di arricchimento spirituale.

Come hanno scritto vari teologi impegnati nei territori di missione asiatici, la meditazione, intesa come semplificazione della vita egoica e psicologica, diventa uno “svuotamento” che consente di ricevere in modo più puro la “presenza” di Dio. Essa consente anche di incontrare Cristo in modo diverso, nel fondo stesso della propria anima, giacché ogni uomo è creato a sua immagine.

 –Perché la teologia contemporanea e la pastorale della Chiesa non possono non confrontarsi col «fenomeno mondiale» della meditazione, come tu lo definisci?

Un certo confronto comincia ad esserci. Molti cristiani si sono allontanati dalla spiritualità cristiana perché sentono il bisogno di essere aiutati da “tecniche”, oppure perché la percepiscono troppo povera spiritualmente e troppo verbosa. La vera lacuna pastorale consiste nel fatto che quasi nessuno insegna la profondità e la varietà della spiritualità cristiana. Anzi, più in generale, si parla troppo poco anche di mistica.

Nelle parrocchie chi parla dei padri del deserto, della mistica renano-fiamminga o anche dei grandi maestri esicasti del Monte Athos? Molti battezzati che si sono allontanati dalla Chiesa, si sono riavvicinati al cristianesimo dopo aver letto i libri dei missionari cristiani che hanno lavorato in India a contatto con l’induismo – come Henri Le Saux – o in Giappone a contatto con lo zen, come Hugo Enomya Lassale.

Oggi si stanno diffondendo la Centering prayer e la Comunità mondiale per la meditazione cristiana. Queste iniziative, però, non rappresentano una vera novità, sono, molto più semplicemente, una riscoperta delle antiche radici spirituali cristiane.

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2 Commenti

  1. Giovanni Belloni 19 novembre 2025
  2. Buddhista 17 novembre 2025

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