Pellegrini e pellegrinaggi, nuove prospettive

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Fondamenti e pratiche, storia e reinvenzioni, percorsi di ricerca personale e spazi di evangelizzazione, proposte di cammini che innervano l’Italia e l’Europa: è sfaccettato il quadro emerso nel convegno organizzato dalla Facoltà teologica del Triveneto e dall’Istituto superiore di Scienze religiose “Mons. Arnoldo Onisto” di Vicenza (27-28 marzo 2025).

Chi sono oggi i pellegrini? La loro natura è quella di cercatori della fede, ma tra loro si nascondono molte categorie antropologiche: il viandante, il turista, il curioso.

Nell’anno giubilare, la Facoltà teologica del Triveneto ha voluto interrogarsi sul senso del pellegrinaggio nel convegno “In cammino. Pellegrini e pellegrinaggi”, realizzato con l’Istituto superiore di Scienze religiose “Mons. Arnoldo Onisto” di Vicenza, che si è svolto giovedì 27 e venerdì 28 marzo 2025 tra Vicenza e Padova.

Ad aprire i lavori è stato il vescovo di Vicenza, Giuliano Brugnotto, che ha sottolineato la valenza pastorale del pellegrinaggio, richiamandone i tratti essenziali, vale a dire le dimensioni escatologica, penitenziale, festiva, culturale, apostolica e comunionale.

Il preside della Facoltà teologica del Triveneto, Maurizio Girolami, ha poi richiamato gli aspetti antropologico, storico e teologico del pellegrinaggio e ha evidenziato come, nella mentalità odierna, pur frenetica sotto tanti motivi, non manchino «zone di immobilismo mentale e spirituale di chi ha paura di guardare avanti a sé: non si cercano nuovi modelli economici più giusti ed equi, rispettosi del creato e della dignità dei popoli; non si osa investire su ricerche sostenibili per una tecnologia capace di rispettare l’umano fino in fondo; si è immobilizzati da sistemi di pensiero che sono prigioni le cui sbarre, molto solide, sono il cercare il più conveniente e il più redditizio, pensando che il mondo possa essere comperato dal più ricco o conquistato dal più forte.

Tali prigioni sono forme di pigrizia culturale destinate a far morire l’istinto di vita posto da Dio nel cuore di ogni uomo. Le cose vive si muovono, ma hanno bisogno di una meta e questa, per i credenti, è la fede in Cristo. Diventare pellegrini – ha concluso – è un modo concreto per mettersi in moto a cercare l’essenziale e scoprire che, come dice Gesù, nulla giova all’uomo conquistare il mondo se poi perde sé stesso. Nel pellegrinaggio si è chiamati a diventare possessori di sé, di quell’unica terra promessa che è stata posta nelle nostre mani, che è la vita donata da Dio».

I fondamenti del pellegrinaggio cristiano

Il pellegrinaggio è un fenomeno che attraversa la storia del cristianesimo dal IV secolo fino ai nostri giorni. Si tratta di una particolare espressione di fede, religiosità e devozione che, nel corso del tempo, ha conosciuto cambiamenti e trasformazioni, spesso connessi (quando non dovuti) al mutamento dei quadri generali di natura sociale, politica, culturale e ambientale, all’interno dei quali il cristianesimo si è sviluppato diventando una religione di portata mondiale.

Sui fondamenti del pellegrinaggio cristiano si soffermato Paolo Cozzo (Università di Torino), che ne ha ricostruito le linee essenziali dell’evoluzione e evidenziato i fattori di cambiamento legati alle coordinate che lo hanno storicamente inquadrato nel tempo e nello spazio.

Lo storico ha sottolineato la permanenza di alcuni elementi di continuità riscontrabili sul lungo periodo. Tra questi, «l’esigenza di vedere, toccare, percepire sensorialmente i loca sancta, le reliquie è un elemento che si trova in tutte le epoche e con una trasversalità sociale». Anche l’esperienza cognitiva-culturale, derivante dalla curiosità del pellegrino, e la dimensione espiatoria e penitenziale dell’esperienza sono tratti caratteristici.

«Dalla prima età moderna, con le successive trasformazioni della mobilità e i nuovi mezzi di trasporto, – ha aggiunto – cambia anche il modo di intendere il pellegrinaggio: a metà ‘800 Lourdes è raggiungibile in treno, anche dai malati, la Terra Santa, più di recente, in aereo. Queste nuove modalità e configurazioni – ha concluso – rendono i pellegrinaggi una nuova frontiera di evangelizzazione».

Pellegrini postmoderni

Su questo tema si è innestato il contributo di Alessandro Moro (Istituto di liturgia pastorale Santa Giustina, Padova), che ha analizzato la tipologia del pellegrino postmoderno (dagli anni 2000) in un’epoca caratterizzata dalla separazione del credere dal praticare.

Se manca la fede, non viene meno però la ricerca religiosa: una ricerca mobile, fluida, elastica e che solo occasionalmente si identifica con la Chiesa. «È una ricerca di sé in continua elaborazione che ha tre caratteristiche: storico-culturale, mistico-fusionale ed ecologico-interiore. Quest’ultima è la più postmoderna – sottolinea – perché non ha una meta ma ciò che conta è l’esperienza performativa del cammino, l’immersione in un’esperienza che coinvolge emotivamente e sensorialmente. Essa va alla ricerca di ciò che è essenziale, autentico, e ciò offre l’appiglio per evangelizzarla, aiutando il pellegrino a scoprire che questa è la sua posizione creaturale davanti a Dio: uscire da sé stessi per ritornare alla propria parte più profonda». Per questo la Chiesa deve stare dentro le situazioni e proporre esperienze pertinenti al bisogno delle persone in ricerca.

«Ci sono tre possibili strade da percorrere – suggerisce Moro –. Se il pellegrino è mosso dalla curiosità del “sacro storico-culturale”, evangelizzarlo significa inserirlo dentro una performance della comunità credente che lo ha generato. Se la ricerca religiosa è mossa dal desiderio di vivere un “noi fusionale”, allora bisogna favorire un processo in cui momenti individuali si alternano con momenti di condivisione. Il flusso dell’esperienza fusionale si apre al trascendente quando si stabilisce un centro carismatico o sacramentale attraverso cui Cristo può manifestare la sua presenza. Se la ricerca religiosa è mossa dal bisogno di liberazione dal mondo oppressivo moderno e di apertura al senso vero della vita, attraverso un’esperienza mistico-ecologica, evangelizzare questo sentimento è possibile solo attraverso un’esperienza di preghiera che permetta di fare un “salto qualitativo”».

Pratiche pellegrine, tra storia e reinvenzione

Sulla “reinvenzione” del pellegrinaggio, con particolare riferimento al Cammino di Santiago de Compostela, è intervenuta Elena Zapponi (Università Ca’ Foscari, Venezia), proponendo una riflessione a partire da una lunga ricerca antropologica, svolta dal 1999 al 2006. L’evoluzione delle pratiche pellegrine, legando reinterpretazione della tradizione e nuove ricomposizioni del credere, ha visto emergere «la dimensione del corpo e della preghiera, l’esperienza spirituale ai margini dell’istituzione religiosa e le negoziazioni soggettive e collettive con la memoria cattolica lungo il percorso ma anche pratiche di patrimonializzazione turistica e resistenze locali all’industria del pellegrinaggio».

Un suggestivo racconto per immagini del pellegrinaggio di Cosimo III de’ Medici nel 1669 è stato proposto da Miguel Taín Guzmán (Università di Santiago de Compostela, direttore della Cattedra The Way of Saint James and Pilgrimages), che ha fatto riscoprire una città di Santiago de Compostela d’epoca nelle vedute del pittore e architetto fiorentino Pier Maria Baldi.

Esperienze di cammini /1

Infine, sono state presentate due esperienze di cammini.

Nadia Molin (Fondazione Homo Viator, Vicenza) ha illustrato Romea Strata, il cammino verso Roma più lungo d’Europa: 7 Stati Europei (Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Austria e Italia), oltre 4.000 chilometri, 208 tappe, da fare a piedi e in bicicletta. Questa via ha il suo fil rouge nella (ri) composizione di una coscienza europea. Percorso italiano: 1.400 km, 82 tappe, 7 regioni.

Stefano Perale (Diocesi di Belluno-Feltre) ha mostrato il Cammino delle Dolomiti, un circuito ad anello in 30 tappe, 500 chilometri, che abbraccia l’intera provincia di Belluno, incontrando i luoghi più significativi dal punto di vista religioso e storico, per riscoprire l’identità culturale, proporre esercizi spirituali comunitari itineranti, diffondere i principi della Laudato si’ di papa Francesco.

Sotto le sacre volte alla ricerca dell’identità collettiva

Nella seconda giornata, svoltasi a Padova venerdì 28 marzo, Enzo Pace (Università di Padova) ha analizzato il pellegrinaggio tra vie sacre e itinerari secolari in prospettiva comparata, mettendo in luce la concreta universalità del pellegrinaggio nelle diverse culture religiose e spirituali: Giappone, Israele, Cina e India.

«Un approccio non-eurocentrico – ha sottolineato – aiuta a capire le ragioni della persistenza del pellegrinaggio in società a elevata modernizzazione. In particolare, mostra come, nella modernità, le vie sacre si popolino di viandanti con diverse aspettative e identità culturali e religiose; come attraverso nuove vie o itinerari di tipo religioso e anche secolare i viandanti cerchino punti di riferimento per la loro identità collettiva». In quel rito di passaggio che è in sé il pellegrinaggio, si condensano una molteplicità di significati: viaggio, messa alla prova, esperienza personale del sacro, senso di appartenenza a una comunità di fede, attraversamento di un territorio (fisico e mentale) carico di simboli. Allo stesso tempo, il pellegrinaggio può soddisfare il bisogno di segnare i confini della fedeltà sociale, del legame elettivo che un’entità sociale (un “popolo”, un gruppo sociale determinato, una tribù) stabilisce con un territorio – la propria terra –, definendo, al tempo stesso, le sue origini (il suo ethnos e il mito fondativo)».

I primi pellegrini cristiani

Sui primi pellegrini cristiani (IV secolo) si è soffermata sr Chiara Curzel (Istituto superiore di Scienze religiose “Romano Guardini”, Trento), tenendo come filo conduttore del suo excursus la lettera 46 dell’Epistolario di Girolamo (392-393 circa). «Alla domanda “È utile al cristiano recarsi nei luoghi santi?” – spiega Curzel – Girolamo risponde sottolineando che chi andava a Gerusalemme era convinto che avrebbe avuto meno fede (religio) e meno conoscenza (scientia) e che non avrebbe raggiunto la piena virtù (virtus) se non avesse adorato Cristo proprio in quei luoghi dove il primo Vangelo aveva irradiato dalla croce il suo splendore».

Pellegrinaggio esteriore e interiore diventano una sola cosa e la Scrittura viene “guardata con più chiarezza”. «Pellegrinare è uscire dalle proprie usanze e relazioni per visitare non tanto luoghi, ma anche persone significative, che, venendo da ogni parte del mondo, lì vivono, credono, accolgono, spronando alla conversione attraverso la testimonianza cristiana».

Pellegrinare è coinvolgimento del corpo e dei sensi: vedere, toccare, ascoltare, sentire profumi, assaggiare; l’esperienza del pellegrinaggio entra dai sensi per penetrare nell’interiorità. Ciò trova le sue basi nel mistero dell’incarnazione e lascia impronte indelebili nel pellegrino. Così anche il culto dei martiri e delle reliquie risponde al bisogno di avere un aiuto tangibile nel cammino della vita, sperimentando la comunione tra terra e cielo.

Infine, la testimonianza di donne pellegrine (la prima, Egeria, e poi Elena madre dell’imperatore Costantino, Melania…) mostra il protagonismo femminile nella pratica dei pellegrinaggi e la predilezione per un’esperienza che sia condivisa, momento di comunione intenso e pieno.

Il pellegrinaggio come via di (nuova) evangelizzazione

Quale ruolo è chiamato ad assumere il pellegrinaggio in un contesto di (nuova) evangelizzazione, dinanzi ai grandi cambiamenti che sembrano irreversibili in questo tempo della cosiddetta post-modernità?

Su questo aspetto si è soffermato Paolo Asolan (Pontificia Università Lateranense, Roma). «Nell’episodio dei discepoli di Emmaus – ha esordito – l’evangelista Luca mostra come trasformare un tratto di strada in un pellegrinaggio: quei discepoli, infatti, non erano ancora pellegrini, lo divennero nel momento in cui Cristo si accostò loro e, per strada, aprì loro il senso delle Scritture. Questa verità – è decisivo riaffermarlo preliminarmente – non è desunta dall’esperienza personale, e nemmeno è il frutto logico di un percorso soltanto umano di ricerca. È recata e fatta conoscere per via di rivelazione da parte del Figlio di Dio».

Ciò significa che «anche nell’esperienza del pellegrinaggio la Chiesa non potrà non essere che lo strumento di una rivelazione divina, di una verità che non è di questo mondo e che va a un certo punto annunciata così come Cristo l’ha annunciata. In tale missione – che chiamiamo evangelizzazione, appunto – la Chiesa ha il suo fondamento ultimo perché senza questa missione non c’è Chiesa».

Per questo, l’esperienza umana del pellegrinaggio si offre alla missione evangelizzatrice della Chiesa come una realtà che la interpella nel profondo della sua identità e del suo compito principale. Porre ai pellegrini la questione della verità, strutturare il pellegrinaggio come esperienza di comunione e soddisfare il bisogno di radici e di principi universali in una società pluralistica sono alcuni elementi teorico-pratici suggeriti, che possono fungere da orientamento dell’azione pastorale.

Attese e promessa del viaggio: le motivazioni del pellegrinante

Da recenti ricerche in ambito motivazionale proposte a pellegrini del Cammino di Santiago, risulta che, al di là di una bassa percentuale di pellegrini con motivazione strettamente religiosa, le distinzioni tra i termini pellegrino e turista sono ormai sfocate.

A partire da qui Antonio Bertazzo (Facoltà teologica del Triveneto) ha mostrato come si individui piuttosto «una categoria di pellegrini secolari-spirituali molto ampia e diffusa: rappresenta in modo significativo le trasformazioni culturali e religiose dei nostri tempi post-religiosi, ma non post-spirituali».

In questa categoria è trasversale la spinta all’esplorazione, al vedere e conoscere, allo sperimentare, una motivazione che richiama direttamente il bisogno specifico alla base dell’autorealizzazione, che viene riferito alle dinamiche del benessere personale.

Inoltre, «alcuni valori sperimentati, maturati, distillati lungo il pellegrinaggio (relativi alla benevolenza, al pluralismo e all’accettazione pacifica della diversità, ossia alla preoccupazione per il benessere e gli interessi degli altri) tenderebbero a essere persistenti e queste esperienze, piuttosto significative e memorabili, possono comportare cambiamenti nella gerarchia dei valori personali».

Pellegrinaggio e libertà religiosa

Dal punto di vista canonico e giuridico, come si configura il pellegrinaggio?

Ne ha parlato Pierpaolo Dal Corso (Facoltà di Diritto canonico San Pio X, Venezia), a partire da una nota storica per poi addentrarsi nella codificazione canonica, in particolare a proposito della disciplina delle indulgenze e dei santuari.

Interessante l’approfondimento sulla legislazione italiana per cui «il pellegrinaggio è considerato un atto di culto anche da un punto di vista giuridico – ha spiegato –, come tale espressione dell’esercizio del diritto di libertà religiosa di coloro che lo effettuano e in quanto tale meritevole di tutela da parte dello Stato».

Il turismo religioso, invece, ovvero quel settore del turismo caratterizzato dalla finalità di religione e di culto, sicuramente meritevole di attenzione da parte dello Stato, soprattutto per i risvolti economici e sociali a esso connessi, non coinvolge necessariamente il diritto di libertà religiosa. «Soltanto quel particolare atto di culto che è il pellegrinaggio – ha sottolineato – autorizza un intervento di promozione da parte dello Stato in relazione alla tutela della libertà religiosa, mentre l’organizzazione di viaggi turistici, sia pure da parte di enti o soggetti facenti capo a una confessione religiosa potrà eventualmente essere ritenuta meritevole di sostegno per i suoi scopi sociali, culturali e ricreativi, ancorché nascenti da un’esigenza religiosa ma non certo nell’ambito della tutela della libertà religiosa».

Esperienze di cammini / 2

Anche nella seconda giornata di convegno sono state presentate alcune esperienze di cammini.

Alberto Friso (Il Cammino di sant’Antonio-Antonio800, Padova), ha illustrato il Cammino di sant’Antonio, che si snoda da Gemona del Friuli a Capo Milazzo.

Il tracciato storico del Cammino nasce nel 2010 dall’idea dei frati minori conventuali di collegare i luoghi antoniani più significativi: i Santuari Antoniani di Camposampiero, il Santuario dell’Arcella, la Basilica del Santo, l’Eremo di Montepaolo e il Santuario di La Verna (AR), attraverso molti luoghi di presenza antoniana.

Nel 2021 è stato inaugurato il nuovo tratto Gemona del Friuli-Padova, che collega la città friulana, luogo che custodisce la più antica Chiesa dedicata a sant’Antonio, a quella tanto amata dal Santo.

Nel 2022 vengono aperti due nuovi tratti da Cassino a Rieti, sul Cammino di San Benedetto, e da Rieti a La Verna, in terra umbra “sulle orme di Francesco”.

Heiner Nicolussi-Leck (Brunek-Brunico) ha presentato Pilgergemeinschaft Südtirol e cammini in Alto-Adige. Una proposta della Comunità Pellegrini Alto-Adige che ha lo scopo di promuovere in particolare: Via Vigilius (San Vigilio BZ-Vela TN – 109 chilometri), Via di San Romedio (Innsbruck-Val di Non – 180 chilometri), Via Romea Germanica (dal Nord della Germania a Roma, via Brennero – tre Paesi: Germania, Austria, Italia – 2200 chilometri), Via di San Giuseppe Frenademetz (Brunico – Santuario di Ojes – Val Badia – 40,8 chilometri).

Paolo Spolaore (Centro italiano di studi compostellani) si è soffermato sul Cammino del Beato Enrico, un percorso di fede e di bellezza che collega le Alpi con Treviso e la laguna di Venezia: 250 chilometri in 10 tappe.

 

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