Il concilio di Nicea e l’opera lucana

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“Sarcofago dogmatico” scolpito tra il 320-340 circa: il titolo richiama il Concilio di Nicea (325) per la consustanzialità di Cristo, raffigurato nella terza persona in alto a sinistra in colloquio con il Padre nell’atto della creazione.

Il Concilio di Nicea fu indetto dall’imperatore Costantino che volle essere presente per risolvere le tensioni createsi con l’arianesimo. Fu inaugurato il 20 maggio e si concluse il 25 luglio del 325 d.C. dello stesso anno. Furono discussi diversi argomenti, in particolare l’identità di Gesù rispetto a Dio.

Gli ariani sostenevano che Cristo era una creatura e non uguale a Dio. La disputa ariana era nata e si era diffusa principalmente nelle Chiese d’Oriente, tutte di lingua greca. La maggior parte dei vescovi partecipanti appartenevano a queste Chiese.

I protagonisti

Tra loro c’erano Atanasio di Alessandria, uno dei più strenui difensori della consustanzialità del Figlio con il Padre, Eusebio di Cesarea, che inizialmente aveva riserve sul termine ma lo accettò per la sua chiarezza teologica, i Padri Cappadoci che successivamente approfondirono la teologia trinitaria basata sul testo di questo Concilio.

I vescovi delle Chiese latine erano in numero minore. Nel dibattito si cercò di chiarire meglio il rapporto tra “generazione” e “consustanzialità”, distinguendo il fatto che il Figlio è “generato” dal Padre, ma non “creato”, e che è della “stessa sostanza” di Lui.

Il vescovo Osio di Cordova ebbe un ruolo fondamentale. Era un vescovo spagnolo molto influente e consigliere dell’imperatore Costantino, e fu tra i principali sostenitori della formula della “stessa sostanza del Padre”. Presiedette il concilio su incarico di Costantino, guidando i dibattiti teologici. Probabilmente contribuì alla stesura del testo finale, anche se il Credo Niceno fu il risultato di un lavoro collettivo dei Padri conciliari.

Il risultato finale si concluse con l’affermazione che Gesù fu “generato, non creato, della stessa sostanza del Padre”, contrastando così l’eresia ariana. Nonostante il Concilio avesse condannato l’arianesimo come eresia, le tensioni non si placarono del tutto. Nei decenni successivi, la questione rimase centrale nelle controversie teologiche, portando a nuovi sviluppi nei concili seguenti.

Il 1700° anniversario di Nicea

Quest’anno, diverse iniziative sono in corso per commemorare l’anniversario, tra cui giornate di studio, documenti teologici, confronti vari.

L’insistenza sulla “natura” del Cristo richiede ancora oggi di ripensare la “sostanza di Dio” che connota la Trinità a partire più dalla fedeltà al Vangelo. E qui si concentrano i dibattiti attuali, proprio a partire da tale ricorrenza.

Le Lettere di Paolo sono le prime a trattare l’argomento in chiave teologica e dottrinale, mentre Luca è il primo a introdurlo in un testo narrativo, più attento agli effetti sul lettore che sui contenuti oggettivi, ma non per questo meno teologico. Infatti, «Ciò che per la fede cristiana ha valore d’argomento è una storia disponibile come una narrazione».[1] D’altra parte, la definizione della “stessa sostanza del Padre” “homoousios” aveva una forte radice nella filosofia greca, in particolare nella tradizione platonica e aristotelica, dove la “sostanza”, “ousia” era un concetto chiave per definire l’essenza di un ente.

Noi oggi affermiamo che «La fede non è in carico alla filosofia, ma ciò di cui la filosofia s’incarica – l’antropologia – è essenziale per il realismo della rivelazione. La questione epistemologica della necessaria distinzione tra filosofia e teologia nella reciproca autonomia è relativa al riconoscimento che la finitezza umana non viene superata nell’evento di Dio».[2]

L’analisi narrativa ha individuato le figure tipologiche di Gesù, e con esse, nel punto più alto della Pentecoste, una prima articolazione delle relazioni trinitarie e costruendo una progressione storica e testimoniale che porta gradualmente alla comprensione trinitaria. Nella Pentecoste, punto culminante della narrazione lucana, emerge anche una prima articolazione delle relazioni trinitarie.

La Pentecoste lucana

Il secondo capitolo degli Atti inizia con le stesse persone e nello stesso luogo del primo capitolo, dove la parola è ancora del narratore che informa il suo lettore: «Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo». Di solito, le teofanie producono sempre timore in chi ne è testimone: arretrano ammutoliti, qui invece si fanno avanti e «cominciarono a parlare», «addirittura in altre lingue».

La sequenza dei due movimenti non solo “stabilizza” i presenti, e lo stesso Teofilo, rispetto all’affanno e all’ansia, prima dell’Ascensione, ma sono a un passo dall’esporsi in pubblico, in occasione degli unici interventi diretti di quanti erano stupiti e perplessi.

Dopo il momento straordinario della Pentecoste, in cui i discepoli sperimentano la discesa dello Spirito Santo e cominciano a parlare in lingue, l’attenzione si sposta sulla folla che reagisce con stupore e perplessità.

È in questo contesto che Pietro si alza per rispondere a quelle domande e guidare la comprensione di ciò che sta accadendo: «Questo Gesù Dio l’ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato pertanto alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che egli aveva promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire» (2,32-33).

Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso!

Per la prima volta Pietro e tutta l’opera lucana mettono in sequenza la compresenza di Gesù risorto, il Padre e lo Spirito Santo, effuso, come tutti potevano vedere. Il dono dello Spirito Santo si dà a seguito della risurrezione e dell’ascensione e da Gesù che riceve lo Spirito Santo dal Padre promesso. Lo Spirito è donato da Gesù dopo la risurrezione e l’ascensione e con la relazione con il Padre da cui riceve lo Spirito.

Teofilo continua ad ascoltare Pietro, quando a un certo punto afferma: «Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso!» (2,36). Il Risorto elevato al cielo dal Padre è «costituito Signore e Cristo».

Questo titolo Luca lo usa nel Vangelo dell’infanzia, appare poi in diversi contesti, ma è interessante notare che non viene subito attribuito a Gesù risorto, come avviene in Marco, Matteo e Giovanni. Luca costruisce una progressione narrativa che porta gradualmente al riconoscimento della Signoria di Cristo, culminando negli Atti degli Apostoli. È negli Atti che il titolo Signore diventa centrale, mostrando che la Signoria di Cristo è pienamente riconosciuta solo dopo l’Ascensione.

«Il primo, “Signore”, è proprio un effetto della risurrezione e dell’esaltazione: facendolo sedere alla sua destra, Dio gli dona di condividere la sua regalità e il suo dominio su ogni cosa. Il titolo Signore, che nella Bibbia greca e negli scritti ebraici extrabiblici contemporanei designa Dio, è ormai così applicato al Risorto, e fa di lui l’uguale di Dio».[3]

Glorificato nel seno del Padre

Gesù costituito “Signore e Cristo” è al vertice delle sue tipologie e lo consegue nell’atto di essere elevato – Ascensione –, dove risiede presso il Padre con la sua umanità risorta.

Glorificato presso il Padre, Gesù è in stretto legame con il Padre, dal quale riceve l’amore paterno ‒ personalizzato nello Spirito Santo che li circonda ‒ e al quale ricambia con affetti filiali dell’umano Risorto. Nella pienezza di questo scambio amoroso effonde lo Spirito che infiamma i presenti a Pentecoste, conferendo intensità di affetti. Gesù, da parte sua, non solo riceve, ma risponde con affetti filiali, portando l’umanità redenta dentro questa circolarità d’amore.

Lo Spirito Santo non si aggiunge come il terzo interlocutore di un dialogo simmetrico con il Padre e il Figlio, ma è l’Altro, colui che avvolge, riempie e manifesta l’amore che scaturisce dalla loro relazione. Lo Spirito non si pone come un interlocutore, ma come presenza vivificante che abbraccia e unifica, rivelando la comunione trinitaria.

Tutti questi ruoli culminano nella glorificazione di Cristo, dove il Padre lo costituisce Signore. Non si tratta solo di una definizione, ma di una realtà vissuta e pienamente manifestata nella sua esistenza presso il Padre. L’effusione dello Spirito, allora, è il traboccare di questa intimità divina, che si apre e coinvolge la comunità, trasformandola. Infondere lo Spirito ai presenti significa condividere questa relazione, lasciando che il fuoco dell’amore divino li consumi e li rinnovi.

Le tipologie di Gesù e la Trinità

Luca, a questo punto, mette a disposizione di Teofilo la continuità narrativa e teologica con il Vangelo, aggiungendo, alle risoluzioni tipologiche di Gesù Profeta, Messia, Re e Figlio di Dio, il tipo conclusivo con il quale Dio ha costituito “Signore e Cristo”. Ho inteso “Signore” come nuovo e inedito “stato di vita” del Risorto: nell’infanzia è l’angelo che lo dichiara Signore e Cristo e negli Atti Dio lo costituisce “Signore” come l’essere che è, mentre nella vita pubblica, il titolo ripetuto 57 volte ha la funzione dell’apparire, che Teofilo dovrà verificare se siano corrispondenti a quelli dell’angelo e di Dio.

Linguisticamente lo “stato di vita” non è la stessa cosa di “tipo” o “tipologia”, in quanto questa è spesso usata nel senso di modello o categoria di riferimento. Nel Vangelo, le tipologie di Gesù indicano ruoli riconoscibili nella narrazione. “Stato di vita”, invece, implica una condizione esistenziale, un modo di essere concreto. Se una tipologia rappresenta un’identità narrativa, lo stato di vita rappresenta la forma in cui questa identità si realizza. Quindi, per Luca, la tipologia non è solo un’etichetta, ma una condizione esistenziale vissuta. Gesù non è solo “Messia” come titolo, ma vive da Messia, il che lo rende uno stato di vita.

Costituito Signore, Gesù non è semplicemente riconosciuto come tale, ma vive questa condizione nella relazione perfetta con il Padre e lo Spirito Santo. È in questa comunione che la sua missione trova il suo compimento e che la Trinità si manifesta pienamente nella storia.

La Signoria di Cristo non è solo una condizione statica, ma si manifesta attivamente nell’effusione dello Spirito Santo, coinvolgendo la comunità cristiana e trasformandola. La Signoria di Cristo non è un punto di arrivo statico, ma il cuore di un movimento divino che raggiunge l’umanità: attraverso l’effusione dello Spirito Santo, questa nuova realtà diventa accessibile alla comunità cristiana.

L’azione combinata della Trinità

Sempre a questo punto, Teofilo assiste alle visioni, quella di Stefano, «Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio» (7,56) e a quelle di Paolo. Le loro visioni mostrano che la glorificazione di Cristo è pienamente operativa. In questo stesso slancio, Pietro e gli altri discepoli, guidati dallo Spirito, inaugurano la missione pubblica della Chiesa.

Teofilo verificherà che proprio l’Ascensione e la Pentecoste non si limitano a glorificare Cristo, ma spingono i discepoli a far “correre la Parola” con nuova forza e convinzione. Il lettore fin qui ha seguito la testimonianza di Pietro e i suoi due discorsi: è solo l’inizio, ma promettente.

Infatti, l’azione dei discepoli fu immediata e autorevole: «Pietro, levatosi piedi con gli altri Undici, parlò a voce alta» (2,14). L’azione di alzarsi manifesta un’azione decisa e immediata, che sottolinea la prontezza di Pietro nel rispondere alla situazione. Il fatto poi che “parlò a voce alta” indica che Pietro era determinato, suggerendo un intervento energico e diretto. Questi aspetti contribuiscono a trasmettere il senso di urgenza e prontezza con cui Pietro si rivolge alla folla.

Gli effetti della Trinità sulle azioni dei testimoni

Il narratore coglie subito l’urgenza di quanto sta accadendo: «All’udir tutto questo» (v. 37), «Pentitevi» (38), «Salvatevi» (40) e «Furono battezzati» (41). Questo slancio non si esaurisce nell’esperienza mistica della Pentecoste, ma si traduce immediatamente nell’azione concreta dei discepoli, che iniziano ad annunciare il Vangelo con nuova forza. Queste azioni compiute con l’ascolto di Pietro mostrano reazioni rapide e immediate da parte della folla. È da notare subito, però, che non sono casuali negli Atti. La prontezza e il coinvolgimento dei discepoli sono aspetti strutturali e dinamici che si evolvono con il progresso della narrazione tra il Vangelo e gli Atti. Luca rappresenta un passaggio chiave: dall’iniziale incertezza dei discepoli nel comprendere Gesù, alla loro trasformazione in testimoni rapidi e ferventi dopo la Pentecoste.

Dopo l’Ascensione e la Pentecoste, la prontezza e il coinvolgimento dei discepoli diventano centrali nell’azione missionaria. A Pentecoste (At 2,1-13), lo Spirito Santo li rapisce, per così dire, in un’esperienza dello “Spirito” che li trasforma. La rapidità è evidente nella loro azione immediata: cominciano a parlare in lingue e ad annunciare il Vangelo senza paura. Questo slancio non si esaurisce nell’esperienza mistica della Pentecoste, ma si traduce immediatamente nell’azione concreta dei discepoli, che iniziano ad annunciare il Vangelo con nuova forza.

Il confronto è offerto dal narratore al lettore Teofilo non tanto per un apprezzamento, ma come una cristologizzazione dei testimoni, sino alla fine, quando Paolo era prigioniero in una casa, «che aveva preso a pigione e accoglieva tutti quelli che venivano a lui, annunziando il regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo, con tutta franchezza e senza impedimento» (28,30-31).

Una teologia narrativa

La narrazione dell’opera lucana ha l’aspirazione a una teologia narrativa, infatti: «il lettore può anche riprendere dall’inizio tutto il racconto lucano, per reperirne la tipologia e le molteplici allusioni bibliche, e vedere come la cristologia di Luca è eminentemente narrativa: il percorso proposto dal narratore ne determina la solidità e la verità».[4]

Che Dio costituisca Gesù “Signore e Cristo” fa intravvedere al lettore, da quel capitolo in poi, una iniziale teologia trinitaria propriamente narrativa: la cristologizzazione dei testimoni avviene sempre con l’azione combinata con il Padre e lo Spirito Santo. Attraverso l’azione combinata del Padre e dello Spirito, i testimoni vengono cristologizzati. Ma questa trasformazione non si limita a loro: per la prima volta, in Cristo glorificato, all’intero essere umano è dato di poter introdursi nella vita intima di Dio.

La novità assoluta di questa azione combinata della Trinità, rispetto al Vangelo, sta in Cristo glorificato: non solo “sale”, ma apre l’intero essere umano a una nuova esistenza e a una fede testimoniante come risposta alla loro azione. Non è solo un cambiamento di stato, ma un “riassetto” della Trinità, che vede la presenza per la prima volta dell’uomo, in Gesù, con il suo corpo glorificato, partecipare pienamente alla vita intima di Dio.

Luca non presenta la Trinità con un concetto o come una formula astratta, ma la rende viva attraverso la narrazione. È in questo sviluppo che il lettore coglie la solidità e la verità del percorso teologico proposto.

Il lettore potrà verificare come il narratore lo guiderà nel nuovo percorso, anche nel saluto di Paolo agli anziani di Mileto, l’ultimo discorso prima dell’arresto: «Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti come custodi, per pascere la Chiesa di Dio, che egli si è acquistata con il sangue del suo proprio Figlio» (At 20,28). Teofilo, dunque, potrà verificare come la Signoria di Cristo sia il risultato dell’azione unificata di Dio, attraverso l’opera dello Spirito e la volontà del Padre.

Lo Spirito e la Parola oggi

Chi siamo noi oggi? Non qualcuno che semplicemente legge e scrive o racconta, ma chi, attraverso la narrazione di Luca, offre uno spazio di comprensione, un tempo di adesione, un modo per far sì che la verità non sia un dato, ma un percorso. Possiamo essere quanti percepiscono il vento leggero dello Spirito che ci porta all’ascolto della Parola, l’opera lucana e gli altri tre Vangeli. Le loro narrazioni richiedono una lunga sedimentazione che ci aiuta a non identificarci con Luca e a cogliere l’«equilibrio dinamico tra l’Evangelo e i Vangeli».[5]

Noi siamo custodi di un tempo necessario affinché la Parola possa essere vissuta e trasformata in esperienza. E, prima ancora, siamo nella necessità di sedimentare la Parola, che cerca di esprimere come oggi si possa incarnare il modo di pensare e lasciarsi accarezzare nell’intimità del grembo di Dio. Può essere chiunque sappia raccontare non solo eventi, ma il tempo necessario affinché possano essere vissuti e avvolti.

Chi siamo noi, se non la possibilità di riconoscere che la fede è esperienza e che l’esperienza richiede tempo? Si può essere scrittori che non hanno fretta di concludere, il testimone che lascia che le parole si sedimentino, il narratore che comprende che la consolazione si comunica non con dimostrazioni immediate, ma con un cammino progressivo, confortati dalla sua brezza leggera.

L’affidamento alla Parola narrata non è prerogativa di alcuni: può essere l’anziana che ha vissuto il tempo della maturazione, il giovane che si lascia interrogare, il teologo che sa che la Scrittura non impone, ma offre e che il lettore, come il Teofilo di ieri, deve avere la possibilità di entrare gradualmente nell’intimità del seno di Dio. Possiamo essere chi vive l’esperienza trinitaria della fede non come certezza immediata, ma come narrazione che interpella.


[1] M. Epis, “Liberare la cristologia”, in “Il Regno – attualità” 2 / 2019, p. 31

[2] Idem.

[3] J.-N. Aletti, “Il Gesù di Luca”, EDB, 2012, p. 215.

[4] Ivi, p. 210.

[5] R. Vignolo, “Raccontare Gesù secondo i quattro vangeli”, contributo pdf, nel quale aggiunge: «Per un verso deve lasciarsi docilmente istruire dal diverso genio agiografico dei singoli evangelisti, alla cui scuola si apprendono aspetti cruciali e impareggiabili della figura di Gesù. Per l’altro deve però mantenere la consapevolezza che la grandezza in gioco non è ultimamente la teologia di Mc, Mt, Lc o Gv, bensì quel Gesù Cristo Figlio di Dio e salvatore da essi diversamente, ma altresì unanimemente attestato».

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4 Commenti

  1. Roberto 26 luglio 2025
    • Andrea 26 luglio 2025
      • Nunzia 27 luglio 2025
  2. Francesco Pieri 25 luglio 2025

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