Post-teismo: la via buddhista

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buddhismo

Raffaella Arrobbio, autrice del volume Fratelli spiritualiGotama il Buddha, Gesù il Cristo. Due voci, un’unica esperienza spirituale (cf. qui su SettimanaNews) e La meditazione tra essere e benessere (cf. qui su SettimanaNews), recensisce il volume Non c’è più religione? del filosofo Marco Vannini in dialogo con Francesca Cosi e Alessandra Repossi (Lindau, Torino 2025), da cui l’intervista ospitata lo scorso 16 agosto su SettimanaNews. Raffaella evidenzia alcuni passaggi critici del testo-intervista di Vannini, in particolare riguardo alla via «buddhista».

È da sempre convinzione di Marco Vannini – filosofo e studioso pluridecennale di mistica medievale e, in particolare, traduttore di tutte le opere, tedesche e latine, di Meister Eckhart – che il ritorno ad una visione che unisca l’antica sapienza filosofica greca e il messaggio evangelico potrebbe essere la via atta a portarci fuori dal caos e dalla sofferenza individuale e collettiva così presenti nel nostro attuale mondo occidentale.

Credenza e fede

In Non c’è più religione? Le risposte di un filosofo, intervistato dalle giornaliste Francesca Cosi e Alessandra Repossi sul tema della disaffezione religiosa che caratterizza l’attualità in Occidente – e che corre in parallelo tuttavia a un bisogno di trascendenza per cui molte persone si rivolgono a vie orientali come quella buddhista, oppure a vie «nuove» che propongono varie idee di spiritualità – Marco Vannini ripropone la sua idea dell’importanza del ritorno alla nostra originaria radice occidentale, senza cadere in facili post-teismi che, in fondo, non sono altro che nuove costruzioni concettuali, al pari della teologia da cui vorrebbero distaccarsi:

«Ecco, io credo che il nostro tempo di grande smarrimento, proprio partendo da quella “morte di Dio” che Nietzsche aveva annunciata, possa ritrovare la conoscenza essenziale, quella di sé stessi e di Dio, facendo tesoro dell’esperienza di verità della filosofia antica e della tradizione spirituale cristiana» (p. 82).

Incalzato dalle domande delle sue intervistatrici, Vannini esamina con calma e rigore il senso delle parole, poiché, in una babele di significati, si rischia di perdere l’orientamento riguardo all’oggetto del discorso.

A questo proposito, fondamentale è la distinzione tra credenza e fede: la credenza può decadere con il mutare dei tempi – come infatti è accaduto alla credenza nelle varie mitologie bibliche –, mentre la fede è fede in un assoluto che si fa presente nell’esperienza interiore. Legare la fede alla credenza è stato, secondo Vannini, un errore storico operato dall’istituzione ecclesiastica, e un suo diretto risultato è la perdita della fede nell’assoluto in noi e oltre noi, crollata assieme al crollo degli aspetti mitologici espressi nella credenza.

Non altrettanto evidente è, nel prosieguo del discorso, in quale modo le persone che vivono lo smarrimento contemporaneo potrebbero incontrare quella certezza interiore che viene dallo sperimentare «la luce che siamo, luce che sempre risplende nel fondo dell’anima» (p. 81).

Non è una strada per tutti

La domanda che le intervistatrici pongono è una domanda essenziale e riguarda il «come» si possa oggi, nella situazione confusa e senza punti di riferimento chiari, ritrovare quella dimensione capace di rispondere alle domande fondamentali: «Chi sei, dove vai, perché sei qui?» (p. 36).

Ferma restando l’impostazione di base per cui il sentiero cristiano – secondo Vannini – è tuttora valido, a patto che si ricolleghi alla sua radice evangelica essenziale, appoggiandosi all’eredità della filosofia antica e anche della mistica; tuttavia, appare un po’ vaga l’indicazione operativa che la domanda richiederebbe. Infatti, la risposta di Vannini riguardo al «che fare concretamente» è: «Credo che ciascuno debba fare quello che sente: ciascuno deve “scolpire la sua propria statua”, ovvero trovare ciò che veramente è, nel profondo, come insegna Plotino» (p. 39).

Prefigura, quindi, un cammino personale, fatto di studio, riflessione: ottimo senz’altro; ma, in un contesto come l’attuale, ciò appare un po’ utopico o, per lo meno, rivolto soprattutto e soltanto a chi, per vari motivi personali, sia già introdotto sulla strada dall’autore delineata, e la sappia percorrere con l’aiuto di capacità critica e riflessiva. Ma che dire del gran numero di persone, specialmente i più giovani, che forse non hanno la fortuna di incontrare qualcuno che sappia far loro conoscere le voci dell’antica filosofia, trasmettendo loro l’amore per la ricerca interiore?

È questo il compito che Vannini ammette di aver assunto nei suoi lunghi anni di insegnante di filosofia di cui porta alcuni esempi nel libro-intervista. Senz’altro, possiamo pensare che alcuni tra i suoi allievi abbiano raccolto il testimone e, nella loro vita, abbiano poi saputo mettere a frutto lo stimolo alla ricerca, sviluppandola in modo personalmente creativo.

Le vie orientali

Oggi, con l’avvento dell’Intelligenza Artificiale, si stanno già delineando scenari futuri (ma non poi così tanto futuri) in cui tale IA potrebbe assumere ruoli di consulenza religiosa e di guida spirituale personalizzata, avendo ricevuto i dati relativi dalle Scritture delle differenti religioni, nonché i dati di qualsivoglia scritto filosofico.

Il pericolo insito, dunque, nella proposta operativa di Vannini risiede proprio nella possibilità che, in un mondo in cui si dà valore alla rapida acquisizione del maggior numero possibile di contenuti, una persona oggi possa in buona fede rivolgersi a un chatbot per avere indicazioni tratte dalla filosofia antica e dalle scritture cristiane, e con ciò tralasci la ricerca e la riflessione personale, lenta ma sicuramente attiva e creativa e, soprattutto, appoggiata sull’indispensabile trasmissione di esperienza umana da insegnante ad allievo.

Il risultato di una simile acquisizione sarebbe al massimo una somma di concetti appresi meccanicamente che difficilmente potrebbero trasformarsi in vissuta esperienza interiore e, ancor più difficilmente, in un’autentica e trasformativa esperienza spirituale.

Su un altro versante, le intervistatrici fanno notare come, alla ricerca di una risposta, molte persone si rivolgano all’Oriente, nella speranza di trovare un’indicazione che aiuti ad essere davvero cristiani, comprendendo cosa ciò significhi grazie proprio agli insegnamenti orientali.

Molti, senz’altro, si perdono in questi sentieri senza trovare soluzione. Ma altri – come il benedettino/sannyasin Henri Le Saux –, proprio percorrendo le vie religiose e filosofiche orientali, scoprono l’essenza di ogni religione, essenza unica e universale e, nel contempo, riscoprono il vero significato dell’essere cristiani attraverso un’immersione a Oriente.

Riguardo gli insegnamenti orientali – verso i cui testi filosofici quali le Upanishad, o la Bhagavad Gita, o le scritture buddhiste, Vannini sempre attesta grande stima –, l’intervistato manifesta tuttavia qualche reticenza, in particolare per quanto riguarda il buddhismo: «Il buddhismo è bello, profondo ma, secondo me, non va bene» (p. 30). Benché la mistica cristiana e il buddhismo abbiano «molte cose in comune» (p. 28), tuttavia pare a Vannini che esso abbia un che «di forzoso, di artificioso (…) qualcosa di separato dalla vita» (p. 30), in quanto poggia su metodi meditativi.

Con tutto il rispetto per le personali opinioni espresse da Marco Vannini in questa intervista, dobbiamo però a questo punto introdurre una parentesi in cui, per evitare il rischio di interpretazioni e giudizi semplicistici di stampo occidentale, è necessario fare alcune rapide precisazioni terminologiche.

Ciò che noi occidentali abbiamo definito «buddhismo» è in realtà un invito a rivolgersi decisamente alla via interiore, un cercare nell’interiorità, abbandonando ogni esteriorità e ogni rappresentazione mentale. In questo il Buddhadharma si pone sulla linea dell’esortazione agostiniana che leggiamo nel De Vera Religione (XXXIX,72): «Non uscire fuori di te, rientra in te stesso».

Buddhismo: un cammino di purificazione

Quindi «buddhismo» – concetto astratto tipicamente occidentale – è un seguire un itinerario interiormente orientati alla scoperta della realtà vera, distaccati rispetto all’ordinaria modalità appropriativa così cara all’ego e al suo mondo di illusione. E questo itinerario – sbrigativamente chiamato «meditazione» nelle nostre lingue occidentali – consiste in un cammino metodologico affinato nei millenni, in parte simile alla prosoché degli antichi stoici poi assimilata dai cristiani Padri del deserto.

Un cammino di purificazione della mente dai suoi abituali modi appropriativi ed egocentrati, un cammino di attenzione e di quiete il cui esito sarà la visione intuitiva della Realtà assoluta, indicibile, ma espressa con molti nomi; d’accordo con Meister Eckhart che afferma: «Infatti Dio è al di sopra dei nomi, e inesprimibile» (cf. Sermone Misit Dominus manum suam, trad. in La Luce dell’Anima, a cura di M. Vannini, LdmPress, p. 102), anche nell’intuizione buddhista nessun nome può essere definitivamente esaustivo per esprimere l’esperienza dell’essenza assoluta che è al fondo di ogni essere umano, e tutto pervade. Di esperienza si tratta, e non di mera riflessione concettuale: tutto il cammino – se di autentica via buddhista si tratta e non di sue derivazioni più o meno allontanate dall’origine tradizionale – è intrecciato alla vita; soprattutto è un cammino relazionale, in relazione con il prossimo, con la natura, con il Tutto.

Nel buddhismo non si trova una teologia: si può dire che sia così per volontà dello stesso Śakyamuni Buddha che rimase sempre in silenzio davanti a tante domande, poiché ciò che egli giudicava più importante consisteva nel realizzare un completo distacco dalle opinioni e dalle proiezioni mentali, per liberarsi, cioè, da tutti gli ostacoli che noi frapponiamo alla possibilità di riconoscere la Realtà assoluta la quale, una volta incontrata, sarà la risposta a tutte le domande.

Perdoni il lettore questa digressione, ma era necessaria per raddrizzare certe interpretazioni negative e/o errate espresse fin dai primi studiosi che incontrarono il buddhismo a fine Ottocento e che, purtroppo, ancora influenzano oggi studiosi, peraltro, di valore nel proprio campo di studio.

Nell’intervista a Marco Vannini, le due giornaliste intervistatrici pongono molte altre questioni, quali il dialogo tra solitudine mistica e senso di appartenenza alla comunità, il significato della «grazia», il valore e l’interpretazione dei «miracoli»: ad ognuno di questi temi Vannini dedica profonde e interessantissime parole, trasformando la lettura in una continua fonte di stimolanti riflessioni.

La perdita delle certezze

Il tema dell’intervista – espresso fin dal titolo Non c’è più religione? – affronta senza dubbio un grave problema della nostra attualità occidentale: la perdita della certezza spirituale è anche perdita della speranza che si possa sperimentare un «Oltre» rispetto ad una misera esistenza fatta di dolore, sopraffazioni, conflitti, in cui la violenza crescente nelle vite individuali e nella collettività conduce ad una regressione verso un mondo dove l’unica legge diventa la legge del più forte.

È indispensabile che emerga una via, o anche più vie, affinché gli individui – attualmente afflitti da solitudine e spinte narcisistiche – possano scoprire ancora la gioia, l’amore, l’unità interdipendente con gli altri, ritrovando l’esperienza dell’essere sostenuti dalla Luce e dall’Amore, dalla Realtà che tutto è, in noi e aldilà di noi.

Questo è l’auspicio che formula Marco Vannini nelle sue risposte alle intervistatrici, e la sua indicazione – ritorno alla radice cristiana in unione alla radice evangelica – è una proposta che merita di essere approfondita nelle sue varie sfaccettature.

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6 Commenti

  1. Buddhista 3 settembre 2025
  2. Pietro 3 settembre 2025
  3. Enrico 1 settembre 2025
  4. Angela 1 settembre 2025
    • 68ina felice 1 settembre 2025
  5. Gian Piero 1 settembre 2025

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