Sulla teologia rapida /5

di:

teo-rapida

Teologia “in ginocchio”, teologia “a tavolino”, teologia “tra la gente” ecc. Oggi registriamo una nuova entrata: la teologia “rapida”.

Antonio Spadaro, in un articolo apparso il 19 gennaio sul quotidiano Avvenire, ha parlato di rapidità in merito alla nostra società, per sottolineare il cambiamento sociale, culturale, economico che connota – ormai come status permanente – il nostro mondo[1]. Di conseguenza, sottolinea sempre Spadaro, avendo la Chiesa «perso la regìa della produzione culturale», deve esercitare la sua missione entro «culture complesse, ibride, dinamiche e mutevoli», con «la maturità di comprendere che siamo attori, e magari a volte protagonisti, ma sempre insieme e accanto agli altri».

Grillo ha commentato le parole di Spadaro sostenendo che «si tratta di elaborare un canone nuovo, che attinga a nuove categorie e a nuove esperienze, maturandole in una nuova relazione alla luce del Vangelo e dell’esperienza umana». La mia domanda è: come si diventa capaci di elaborare questo nuovo canone? O, per dirla ancora con Spadaro che questa volta si rivolge esplicitamente alla teologia, quali condizioni favoriscono il «pensare le onde, oltre che le rive di approdo»?

L’albero del sapere e le radici del fare sociale

Nel tentare di rispondere a questa domanda non mi rifarò ad acrobazie speculative, né metterò in scena discorsi di natura ecclesiale e pastorale. Tali letture sono state evidenziate in più occasioni su SettimanaNews, ogni qual volta si è parlato (e di certo si continuerà a parlare) di teologia.

No, questa volta mi atterrò ad alcune considerazioni di natura pratica. Prima però di entrare nel merito, voglio solo richiamare un concetto di fondo su cui si erge il mio intervento. Senza scomodare epistemologi dal calibro di Bachelard, Foucault, Certeau, Bourdieu, posso riassumere questo principio nella seguente espressione: le nostre pratiche discorsive (idee, discorsi, decisioni, programmi…) si ergono su un “fare sociale”. In genere, nei dibattiti sulla teologia, questo fare sociale viene per lo più ignorato. In alcuni casi, poi, se menzionato, può addirittura creare irritazioni.

Ora, tra le varie forme che costellano il fare sociale del mondo della cultura e della ricerca universitaria, voglio qui nominare (senza entrare nei dettagli) alcune iniziative che consentono alle istituzioni accademiche europee di offrire percorsi di studio innovativi per quanto riguarda l’interdisciplinarietà e la flessibilità dell’offerta formativa.

  • I programmi “Erasmus” che, al di là della mobilità studentesca, consentono l’altrettanta mobilità dei docenti delle università partners, la loro reciproca conoscenza e, spesso, lo sviluppo di ricerche congiunte.
  • La possibilità di “dottorati in cotutela”, che autorizza la collaborazione tra due Università di due paesi diversi finalizzata alla realizzazione di un percorso formativo a favore di studenti iscritti presso dottorati di ricerca attivi nelle sedi partners.
  • Le norme in materia di “interdisciplinarietà”, che consentono ad un Dipartimento di prendere in carico un docente di altra area disciplinare rispetto al proprio Dipartimento.
  • I vari “Programmi Visiting” banditi dai singoli Atenei secondo le norme nazionali per l’internazionalizzazione dei Dipartimenti. Mediante questi programmi, gli Atenei possono stanziare fondi per la selezione di esperti italiani e stranieri con comprovata qualificazione scientifica provenienti da istituzioni universitarie estere di ricerca o di alta formazione.
  • I “Progetti di Rilevante Interesse Nazionale” (PRIN) per la collaborazione di unità di ricerca appartenenti ad università e organismi di ricerca, finanziati e selezionati dal Ministero sulla base del profilo scientifico dei loro responsabili e dell’originalità, della fattibilità, dell’impatto del progetto di ricerca.

Le iniziative qui sommariamente elencate costituiscono delle condizioni di possibilità o, se vogliamo, delle “sollecitazioni interne” che movimentano la didattica, lo studio e la ricerca universitaria, proiettandoli nell’agone culturale e nelle sfide del nostro tempo.

E in teologia? Nulla di tutto ciò. Nelle facoltà di teologia (mi riferisco ovviamente al caso italiano) queste sollecitazioni interne non esistono[2]. Occorre accontentarsi delle nostre possibilità e, di conseguenza, dei nostri ritmi per nulla rapidi: un convegno o giornata di studio, un seminario per docenti, una prolusione accademica (quando non declinata su un piano celebrativo-istituzionale), una qualche collaborazione (lì dove è possibile) con altre istituzioni locali, la presentazione di qualche progetto di ricerca presso la CEI…

Uno sforzo non sostenuto

Occorre dunque ammettere che non siamo abilitati (e perciò abituati) ad un fattivo confronto con altri saperi, altri contesti, altre istanze, altri modi di interrogare la tradizione cristiana.

Ma allora, sempre per restare in tema di rapidità, mi chiedo: come agitarci (preoccuparci) se non siamo agitati al nostro interno? Come essere solleciti se non siamo già sollecitati da quelle normali procedure che regolano la vita dei dipartimenti universitari? Come essere capaci di percepire i cambiamenti se dentro di noi regna un piattume che non ci consente di coltivare una tale sensibilità?

Non dobbiamo dunque meravigliarci, per citare un’espressione di Sequeri, se «abbiamo una teologia attrezzata per attraversare la continuità ecclesiale, più che il cambiamento culturale». Aggiungo, per impreziosire il quadro, che tale clima di continuità al massimo favorisce la creazione di conventicole di amici che si invitano a vicenda, di gruppi coesi al fine di ottenere qualche fondo, di docenti (preti o laici, fa lo stesso) che usano la teologia per coltivare altre ambizioni e altre carriere.

La teologia non nutre una rapidità interna a causa del suo splendido isolamento: non è collocata nell’Università civile, non collabora stabilmente con Istituti di ricerca, non è soggetta a progetti interculturali. Se il teologo vuole essere attento alle sfide culturali che agitano la società, deve perciò compiere uno “sforzo titanico”, deve “imporsi” di fare i conti con la storia, dato che non vive in un contesto istituzionale che, bene o male, lo proietta già fuori di sé. Il teologo, se davvero vuole essere all’altezza della ricerca, se davvero vuole intercettare le questioni, se davvero vuole coltivare un pensiero critico nella Chiesa, deve farlo nonostante e non grazie alle condizioni che il suo ambiente è in grado di offrirgli.

Certo, avere il fiuto per i cambiamenti, studiare appassionatamente, pubblicare studi decenti, coltivare un’esperienza di fede capace di dialogare con la complessità culturale, non sono qualità che dipendono unicamente dalle occasioni (sollecitazioni interne) che ho enumerato. Ma una cosa è affermare che non si danno automatismi, altra cosa è invece nutrire aspettative e dunque volere che i teologi siano sensibili e attrezzati al confronto inter e transdisciplinare, senza minimamente mettere in conto quelle condizioni, occasioni e opportunità che – regolando la vita dei dipartimenti universitari – immettono un dinamismo nella ricerca. Non tenere conto di tutto ciò, significa scivolare in un volontarismo astratto, farcito di aspettative retoriche. Un’insulsaggine, a ben guardare.

***

“Riduzionista”, mi si dirà! Ma certo! Quando nel nostro mondo ecclesiastico vengono posti al centro dell’attenzione una serie di problemi senza menzionare Dio, la fede, la spiritualità, la santità, la preghiera, l’attesa del Regno, l’evangelizzazione, allora è riduzionismo, tecnicismo, laicismo, immanentismo, relativismo…

Ma se porre i problemi in chiave sociale, giuridica o economica significa cadere in tutto ciò (“ragionare come il mondo”), allora mi chiedo come mai, nei nostri ambienti ecclesiali, alcuni cambiamenti o processi s’innestano non grazie a maturazioni speculative, né a letture profetiche della realtà, né all’ascolto dello Spirito, ma perché costretti dal fatto che non è più possibile beneficiare di alcuni vantaggi, che calano i numeri, che spariscono i consensi; in una parola, che le contingenze hanno ormai preso il sopravvento.


[1] Ricordo che, ancor prima di declinare il tema della rapidità in chiave teologica, già su SettiamanaNews era apparso un articolo (23 febbraio 2025) a firma di S. Abagnale, La Chiesa nell’epoca della rapidità.

[2] A questa situazione va anche aggiunta, come spessissimo è stato evidenziato da tanti teologi, quel generale clima di diffidenza o di indifferenza delle Chiese locali nei confronti delle Facoltà di Teologia collocate nel proprio territorio. Rimando, a titolo riepilogativo, all’articolo di G. Lorizio pubblicato su SettimanaNews il 4 novembre 2024: La teologia irrilevante o latitante? Alla domanda che fa da titolo del suo articolo, Lorizio risponde: «è un bel dilemma, ma forse la condizione del teologo si situa in entrambe le prospettive: quella della irrilevanza, soprattutto a causa della diffidenza che si percepisce da parte del contesto ecclesiale nei confronti di chi lavora in campo teologico e quella della latitanza, per il fatto che, forse scoraggiati dal non essere presi in considerazione nella Chiesa, che pure sentiamo nostra, evitiamo di esporci proponendo soluzioni che sappiamo in partenza verrebbero osteggiate dai pastori e dalla gente».

Print Friendly, PDF & Email
Tags:

4 Commenti

  1. Zarathustra 6 maggio 2025
  2. Virginia 6 maggio 2025
  3. Emanuele 4 maggio 2025
  4. Alessandro Paglia 4 maggio 2025

Lascia un commento

Questo sito fa uso di cookies tecnici ed analitici, non di profilazione. Clicca per leggere l'informativa completa.

Questo sito utilizza esclusivamente cookie tecnici ed analitici con mascheratura dell'indirizzo IP del navigatore. L'utilizzo dei cookie è funzionale al fine di permettere i funzionamenti e fonire migliore esperienza di navigazione all'utente, garantendone la privacy. Non sono predisposti sul presente sito cookies di profilazione, nè di prima, né di terza parte. In ottemperanza del Regolamento Europeo 679/2016, altrimenti General Data Protection Regulation (GDPR), nonché delle disposizioni previste dal d. lgs. 196/2003 novellato dal d.lgs 101/2018, altrimenti "Codice privacy", con specifico riferimento all'articolo 122 del medesimo, citando poi il provvedimento dell'authority di garanzia, altrimenti autorità "Garante per la protezione dei dati personali", la quale con il pronunciamento "Linee guida cookie e altri strumenti di tracciamento del 10 giugno 2021 [9677876]" , specifica ulteriormente le modalità, i diritti degli interessati, i doveri dei titolari del trattamento e le best practice in materia, cliccando su "Accetto", in modo del tutto libero e consapevole, si perviene a conoscenza del fatto che su questo sito web è fatto utilizzo di cookie tecnici, strettamente necessari al funzionamento tecnico del sito, e di i cookie analytics, con mascharatura dell'indirizzo IP. Vedasi il succitato provvedimento al 7.2. I cookies hanno, come previsto per legge, una durata di permanenza sui dispositivi dei navigatori di 6 mesi, terminati i quali verrà reiterata segnalazione di utilizzo e richiesta di accettazione. Non sono previsti cookie wall, accettazioni con scrolling o altre modalità considerabili non corrette e non trasparenti.

Ho preso visione ed accetto