Sulla teologia rapida /6

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Per una fortunata coincidenza, pochi giorni dopo quelli in cui padre Antonio Spadaro ha suggerito una declinazione rapida della teologia, papa Francesco ha raggiunto con un messaggio l’inaugurazione dell’Anno Accademico dell’università di Palermo, avvenuta sabato 8 febbraio 2025.

Il rimando che si genera tra i due discorsi può offrire un criterio per introdurre le molte risonanze determinate dalla proposta di Spadaro. Il discorso del papa si conclude con queste parole:

Vi affido una parola, che oggi è in controtendenza. Si tratta di un atteggiamento che ha distinto per secoli le culture del Mediterraneo: la lentezza. Il fascino della tecnica è intriso di velocità. Le cosiddette intelligenze artificiali ci seducono con la loro performatività. Al contrario, leggere prevede una lentezza non più concessa a chi studia e persino a chi insegna. Comprendere domanda lentezza, ed è reso difficile dall’esasperazione degli indicatori di risultato. Crescere, a sua volta, è un processo lento e mai un itinerario lineare: gli insuccessi, come gli errori, sono fondamentali nella ricerca della verità. Anche cambiare ha bisogno di lentezza, si tratti di noi stessi, di una città o del mondo intero. Sono obiettivi, questi, cui non possiamo permetterci di rinunciare. Su di essi si gioca l’intelligenza umana, irriducibile ad algoritmi e a processi logici. È interiore all’intelligenza umana la ricerca del bene, e di esso nessuno ha il monopolio, né la misura. Si tende ad esso passo dopo passo, solo insieme. È questa la promessa inscritta in ogni nuovo inizio.[1]

Innanzitutto, è opportunamente evidenziato il rischio insito nella velocità, pericolo del quale lo stesso Spadaro, cogliendo la denuncia della “rapidizzazione” definita da Francesco in Laudato si’, § 18, è ben consapevole.

Vigilare sulla rapidità

La necessità di un atteggiamento vigile e circospetto nei confronti di rapidità e velocità non è determinata da un generico riferimento moraleggiante, ma comporta una precisa presa di posizione politica e sociale.

Ci si può riferire, per esempio, alle tesi formulate da Hartmut Rosa, che non si limita alla neutralità che riconosce nell’accelerazione la cifra della nostra epoca, ma vi attribuisce una conseguenza sistemica, che decide la conformazione sia delle culture, sia delle identità personali: l’accelerazione è concausata dalla mancanza di prospettive trascendenti delle società secolari e dall’economia capitalista che si autoalimenta nel superamento continuo dei suoi risultati, così da provocare l’alienazione dell’intera umanità che vi è coinvolta.

Ciascuno fa esperienza della struttura dell’accelerazione, i cui costi inaccettabili per le classi marginali si associano anche, a livello individuale e comunitario, alla cancellazione di quell’orizzonte di attesa che rende sensate le esistenze.

Si tratta di una questione che interpella direttamente chi ha a cuore il Vangelo, annuncio di vita piena per tutti; lo stesso Rosa formula proposte costruttive di ordine antropologico, suggerendo di valorizzare quelle dimensioni in cui donne e uomini possano fare esperienze di risonanza, dove cioè il loro valore non si misura tramite il criterio della produttività, ma è dato nel legame interpersonale, costruito da affezioni ed emozioni, quindi ricevuto in virtù di un apporto vicendevole (come avviene nel caso delle esperienze estetiche, rituali, relazionali e – dovremo verificare – dalla ricerca intellettuale, a cui anche la teologia appartiene).

Una via non estranea a quella percorsa dalle comunità dei discepoli del Signore, che, per fedeltà al suo rivelarsi nella storia, sono impossibilitate a fuggire, contrapponendosi ed estraniandosi, dall’epoca nella quale gli è dato vivere, ma sono chiamate a essere forza critica di quel tempo, immergendosi in esso fino a trasformarlo.

Stare nelle variazioni del tempo

Non è quello un equilibrio a buon mercato, né raggiungibile una volta per tutte, richiede piuttosto continua manutenzione e attenzione stabile alle variazioni del tempo.

Forse qui si innesta, nello specifico, il ruolo della teologia, che non si risolve solo nell’affrontare contenuti volta a volta adeguati all’annuncio del vangelo e quindi alla passione per l’umano, ma si inserisce nella dinamica della fede come sua intelligenza critica, a partire dalle forme e dalle pratiche che le sono proprie.

Nel suo messaggio, Francesco richiama alla lentezza specifica dell’atto di lettura. Ciò che viene definito come aspetto irrinunciabile dell’attività di ricerca in generale, non può essere relativizzato proprio nel caso della teologia. Infatti, la proposta della lentezza lì formulata non ha nulla della vaga e irenica alternativa all’accelerazione ormai imperante, ma ribadisce la specificità del rapporto intelligente – una lettura intima, per l’appunto – alla realtà, respingendo il sospetto di un’operazione residuale e in fondo superflua.

La lettura è, di fatto, un momento insuperabile per chiunque voglia accostarsi alla vita, onorandola attraverso la mediazione del pensiero: già la sua struttura configura il rapporto con il mondo e le persone. L’atto di lettura ricolloca il soggetto, che solo a prezzo di una mistificazione si potrebbe intendere solitario: al contrario, è guidato a intendere la polifonia di voci che compongono quanto apprende, chiamato a rispondervi in modo personale e a propria volta ospitale di altre parole.

Francesco ricorda inoltre che garanzia di un’autentica lettura sono i cammini non lineari, composti da variazioni di ritmo, svolte improvvise e soste altrettanto imprevedibili – il lettore è tanto più capace quanto più è impegnato ad ascoltare lasciandosi sorprendere dalla novità, piuttosto che tendere il più in fretta possibile verso obiettivi e risultati predeterminati.

Del resto, quella non sarebbe una reale ricerca, ma solo un tentativo – dispotico – di affermare ciò che è già posseduto, di ribadire sé insieme al poco che si conosce.

Leggere la storia umana

Se così intesa, la lettura si comprende non tanto come uno strumento – da usare all’occorrenza e rapidamente accantonare, ma come uno stile, la traccia di un modo perenne attraverso cui abitare il mondo e decidere del rapporto con esso.

Non è di poco conto verificare il nesso tra la struttura della lettura e l’atto della lectio divina, tra la ricerca contemplativa e quella delle scienze, come è significativo ricordare che la ricchezza della cultura europea, in un momento decisivo e di veloce mutamento, è stata costruita anche grazie a chi ha saputo abitare il tempo radicandosi in un orizzonte di lunga durata.

Gli studi di Jean Leclercq a proposito della teologia monastica sono ancora oggi validi per ricordare quale sia stata l’inaudita capacità di quell’approccio nel dare valore alle lettere pagane, trovando lì raggi di verità altrimenti destinati all’oscuramento.

Quel rimando non sarebbe però risolutivo, se inteso soltanto come un esempio di efficacia, da replicare in virtù della sua riuscita operativa. Sembra piuttosto opportuno verificarne il dispositivo, che rimanda direttamente allo specifico della teologia quale forma particolare di risposta alla rivelazione.

Parimenti, la possibile declinazione della teologia a partire dalla rapidità non dovrebbe corrispondere a una sua caratterizzazione posticcia, una delle tante possibili qualifiche, celermente destinate all’oblio perché superabili per costituzione, in quanto riferite alla contingenza. Sarebbe questo il caso se la teologia venisse sradicata, dimenticando la sua natura responsoriale, che ne fa una delle forme – necessaria, accanto ad altre – di coinvolgimento nel rivelarsi divino nella storia di Gesù.

Il sano ritardo della teologia

Insistendo sulla virtuosità della rapidità, Spadaro rimanda appunto al rapimento impetuoso e radicale, un aspetto che evoca immediatamente la forma della rivelazione coglibile attraverso il paradigma estetico. Introducendo quell’approccio, von Balthasar ricordava che l’essere afferrati dalla manifestazione divina non è senza la convocazione umana, partecipazione drammaticamente libera.

In quello spazio di libertà si determina anche il ritardo che costituisce virtuosamente la risposta teologica. Esso è ben altro dalla lentezza colpevole e dall’inerzia disinteressata che contraddistingue le istituzioni pachidermiche, tese soltanto a perpetuarsi, concedendosi magari qualche operazione di superficiale ammodernamento: il ritardo è definito dalla natura di mediazione propria alla rivelazione, che non può essere annullata mistificando il peso del tempo.

Esibendo il suo ritardo, la teologia propone così la misura che le è propria, in quanto non intende sovrapporsi alla rivelazione, perché solo differenziandosi rispetto a essa può anche rimandarvi. Il ritardo della teologia è dato dalla polifonia delle voci che la compongono e cercano di entrare in armonia con il tempo a partire dal ritmo loro proprio.

Ancor prima di quanto propone, la teologia è quindi apporto costruttivo a questo tempo in quanto non vi si contrappone, ma si espone come possibilità di una velocità differente, aliena dal soddisfacimento immediato e dalla risposta pronta all’uso, proponendosi in forma critica come possibilità di un ritmo alternativo.

Il ritmo di Gesù: a passo d’uomo

Anche questa è una fedeltà al tempo che inscrive la teologia tra le attività umane definite dalla forma inaudita della rivelazione data in Gesù: è ancora von Balthasar, in Teologia della storia, a riconoscere un valore incomparabile ai ritmi del tempo, perché sono l’occasione per Gesù stesso di vivere la relazione al Padre come estrema libertà data nell’obbedienza, in quanto rinunciando ad anticipare i tempi egli si lascia determinare da ciò a cui non ha dato origine, vivendo secondo il ritmo scandito quotidianamente dalle storie umane.

Analogamente, la teologia è ascolto della Parola e ricerca delle sue risonanze nelle fibre del tempo, tesa a una trasformazione non momentanea, per evitare di offrire risposte che accumulano solo passeggeri titoli di cronaca; subirebbe così un indebolimento sostituendo la propria voce ad altri ministeri ecclesiali: è altro sia dalla pastorale, sia dal magistero, caratterizzati da altre cadenze – coincidervi la priverebbe del fecondo ritardo della mediazione, a detrimento di tutti.

Il ritmo di Gesù è a passo d’uomo; quando quel ritmo è assunto dalla teologia è l’origine del suo ritardo – della sua marginalità. Una marginalità (non indolenza, né provvidenzialismo, ma voce che chiama a responsabilità ogni altro ministero) che riporta in luce la centralità della carità, indifferibile ad altri tempi e occasione per riconoscere il presente l’unico kairos reale dell’urgenza del vangelo, generativa di un avvenire possibile.


[1] Il testo è reperibile sul sito della diocesi di Palermo: https://stampa.chiesadipalermo.it/messaggio-del-santo-padre-francesco-in-occasione-dellinaugurazione-dellanno-accademico-delluniversita-degli-studi-di-palermo-2/.

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