
Eccellenze reverendissime, cari vescovi italiani,
credo che perdonerete l’ardire di questa mia lettera, ma rappresenta il mio estremo tentativo di farmi sentire da voi, di farmi quantomeno vedere, perché in tutti questi anni – e sono tanti – siete riusciti a rendermi sempre invisibile.
L’avete fatto quando, trent’anni fa, appena maggiorenne, ho scritto al vescovo della mia diocesi per raccontargli che quel prete giovane e brillante, così amato e stimato, aveva incominciato ad abusare di me quando ancora avevo dodici anni.
Quello che (non) avete fatto
Trent’anni fa io non sapevo cosa fare, ma pensavo che voi l’avreste saputo, che ve ne sareste fatti carico. Invece l’avete spostato, facendo stizzire moltissimi parrocchiani. Alcuni di loro sapevano, ma hanno taciuto, proprio come voi.
Da un giorno all’altro, io mi sono trovata senza nessuno, gli amici di un tempo in qualche modo convinti che fossi io il problema. Ci ho messo alcuni anni, ma piano piano mi sono ripresa la mia vita, ho fatto nuove amicizie. Non ho smesso di credere nel Signore, ma non posso nascondervi che il mio amore per la Chiesa ha subito un colpo micidiale.
Sono stata invisibile anche nei venticinque anni successivi, mentre lui continuava ad agire indisturbato e a me giungevano, talvolta, notizie preoccupanti: particolari, indizi, mezze frasi riportate da persone che gravitavano attorno a lui.
So per certo che le stesse notizie sono giunte anche a voi, immagino si possano trovare in qualche vecchio archivio. Non avete mai pensato di richiamarmi: ero trasparente.
Il mio nome sepolto negli archivi
Dopo venticinque anni un’altra persona come me ha avuto la forza di denunciare e questa volta qualcosa si è mosso. Improvvisamente sono riapparsa anch’io; o, meglio, avete recuperato il mio nome tra le carte di qualche archivio, quegli stessi archivi che custodite gelosamente e che vi rifiutate di consegnare, come è successo in altri paesi, a persone che possano leggervi la verità delle nostre storie.
Mi avete inviato una raccomandata, mi avete convocato davanti a un giudice per capire se la ragazzina appena maggiorenne, diventata ormai donna, avrebbe avuto materiale utile per risolvere una causa penale.
Non vi nascondo di averci sperato, di aver creduto, almeno per un attimo, che mi avreste vista; il giudice ha avuto molto tatto, mi ha concesso un lungo tempo di ascolto, mentre qualcuno prendeva appunti. Nel silenzio assoluto, il processo è proseguito per molti mesi: insieme a me, una dopo l’altra, hanno deposto alcune vittime.
Solo alcune, ovviamente: quelle che siete riusciti a raggiungere. Altri amici e amiche non sono mai usciti dal loro silenzio. Un giorno, poi, le circostanze sono cambiate, il processo si è fermato e siamo tutti tornati invisibili.
Allora ho capito che anche durante le mie deposizioni in tribunale mi si voleva invisibile: mi è stato chiesto di firmare un foglio in cui mi impegnavo a non dire nulla al di fuori del processo. Io non l’ho firmato, quel foglio, ma ho capito benissimo l’invito.
Il coraggio della verità
C’è da dire che, in ogni caso, per voi ero invisibile anche in quei mesi: ho incontrato solo giudici, avvocati e burocrati, di vescovi nemmeno l’ombra. A parte uno (sono stata fortunata, perché molte vittime non hanno avuto nemmeno questa possibilità). Sapete cosa mi ha detto? Mi ha detto che lui, quel prete, non l’aveva mai conosciuto personalmente e quindi non sapeva cosa dirmi. Insomma, ha detto «io non c’entro».
Ecco allora, cari vescovi, che provo ancora una volta – ma non temete, non sarà certo l’ultima – a farmi vedere. Ho letto tempo fa una pagina in cui don Lorenzo Milani diceva che bisogna rimproverare i vescovi quando sbagliano, perché, se non lo facciamo, sarà chiesto conto a noi della loro fede.
Ho deciso di farlo ora perché qualche giorno fa ho letto su un giornale (uno dei pochissimi che hanno dato un po’ di spazio alla notizia) che in Italia c’è una diocesi, quella di Bolzano-Bressanone, che ha deciso che le vittime non dovessero essere invisibili. Hanno preso i loro archivi impolverati, li hanno portati a Monaco e li hanno consegnati a delle persone terze (avvocati investigativi, sociologi, psicologi) perché provassero, almeno loro, a trarci fuori dall’ombra.
Il rapporto degli esperti – sono seicento pagine – è stato pubblicato, è disponibile per tutti, anche per me. Vi si legge, tra l’altro: «totale è stato il disinteresse mostrato dai responsabili ecclesiastici per la situazione delle persone direttamente coinvolte negli abusi»1. È il secondo report che leggo, in questi anni: un po’ di anni fa mi ero già imbattuta nel voluminoso rapporto CIASE, commissionato dai vescovi francesi.
Le vittime e il loro dolore
Sapete cosa ho scoperto, leggendo questi testi? Che decine, centinaia di altre persone avevano vissuto lo stesso mio dolore, proprio allo stesso modo. Decine, centinaia di vittime sono state ostracizzate dalle comunità, sono diventate invisibili, sono state spinte a dire «sono responsabile» quando non avrebbero dovuto dirlo; decine, centinaia di persone sono state lasciate da sole, in tante diocesi diverse, in tanti paesi diversi del mondo. A portare un peso che non avrebbero dovuto portare. Poi, qualche giorno fa, ho ascoltato le parole del vescovo di Bolzano-Bressanone, gli ho sentito dire una cosa che a me nessuno ha mai detto: «sono responsabile».
«Sono responsabile», cari vescovi. So che è una frase difficile da pronunciare ma, vedete, io l’ho portata per la prima volta quando ero una bambina, quando quel prete così carismatico, che insieme al male mi ha dato anche anche tante cose buone, mi ha convinto che in fondo era quello che volevo.
Lui era un prete, un uomo di Dio, che predicava il Vangelo a centinaia di persone. Ci ho messo anni, grazie ai miei genitori prima, ad alcuni amici e, finalmente, a mio marito, a capire che quel senso di colpa è stato l’abuso più grande che ho subìto. Siccome ci sono dovuta passare persino io, per questo «sono responsabile», penso che ora tocchi a voi.
Siete responsabili
Fa molta paura, di fronte a un crimine che nessuno di voi, ne sono sicura, si è mai lontanamente sognato di commettere, fa molta paura dire questa parola. Ma io, e con me molte altre vittime, l’abbiamo portata da sola, mentre voi, fino all’ultimo, ripetevate «non lo conosciamo bene, quel prete».
Fatemi questo favore, cari vescovi: portatela un po’ voi, ora, questa parola. Lo so bene che non siete responsabili dei crimini di questi preti, ma siete stati responsabili della loro formazione, siete stati responsabili dei loro incarichi, dei loro trasferimenti.
E, lasciatemelo dire, sebbene sia un’affermazione pesante da portare: siete responsabili di tutte le vittime che sono venute dopo di me, perché, se lo aveste fermato, il mio dolore non sarebbe stato vano.
Portatela un po’ voi, ora, questa parola. Perché io che non faccio parte del clero, io che sono una donna laica che frequenta la messa domenicale, persino io in questi anni ho sentito storie di altri preti così, storie che voi state gestendo proprio mentre io scrivo.
E, purtroppo, so che le gestite ancora come avete sempre fatto: con una coltre di silenzio che – davvero non so come facciate – neppure i giornali più laici riescono a scalfire.
Chiedete al vescovo Muser
Cari vescovi italiani, forse, se mi aveste ascoltata prima, se non mi aveste lasciata sola, se non aveste lasciati soli anche i (pochi) preti che hanno aiutato me e le altre persone coinvolte a denunciare i fatti, forse oggi non vi scriverei. Se aveste detto voi «siamo responsabili», trent’anni fa, le cose sarebbero andate diversamente.
Quando vi incontrate, allora, provate a chiedere al vescovo Muser come si sente, dopo aver detto «mi assumo la responsabilità per gli errori che sono stati commessi durante il mio mandato e da me».
Parlate un po’ con lui: certo, deve essere stato difficile farlo, ma non è stato impossibile. Non conosco la diocesi, ma mi piace pensare che anche gli altri, quelli che non hanno visto e quelli che non hanno voluto vedere, avranno ripetuto: «anche noi siamo responsabili».
E che, finalmente, qualcuno avrà preso sulle sue spalle un peso che, fino ad ora, abbiamo portato solo noi: gli unici che non avrebbero dovuto.
1 Abuso sessuale di minori e persone vulnerabili ad opera di chierici nel territorio della Diocesi di Bolzano-Bressanone dal 1964 fino al 2023, Bressanone, 20 gennaio 2025, p. 301.






Sarebbe stato preferibile conoscere la diocesi che si è resa protagonista sia dell’ abuso oggetto di questa lettera sia della successiva articolata montatura per coprire quanto è avvenuto. Non è comunque vero che delle scuse formali non siano mai state presentate nel corso dei numerosi scandali a sfondo sessuale in cui sono risultati coinvolti degli esponenti del clero. Mi pare di ricordare che sia stato proprio Benedetto XVI a chiedere perdono a nome della Chiesa per quanto era emerso in merito (poco) prima di rendersi emerito. La vittimizzazione inferta è stata certo doppiamente vergognosa, sia da parte del colpevole che del sistema che si è attivato in modo ipocrita o ha lasciato cadere e ciò purtroppo non fa che dare più forza a opinioni che confusamente sostengono il deus ex machina giustizialista, canonico o, purché sia, “indipendente”, in modo che la lettera burocratica prolifichi, con quella lo spirito manettaro, e (in senso medicinale) a lavare i panni se lo si fa ci si pensa in casa, sempre che ciò succeda, nonostante l’apparente stravaganza di queste pubbliche esposizioni.
Il clero non è obbligato a dar conto delle proprie azioni. Anzi: la dottrina e le norme canoniche lo educano ad agire come se la sua identità fosse di natura essenzialmente differente rispetto a quella di un comune fedele (vedi LG 10). Lo status clericale è quello di essere separato dal popolo, “consacrato”, dotato di poteri esclusivi ed escludenti. Il munus regendi, il munus santificandi ed il munus docendi sono saldamente nelle mani del vescovo e del prete, Se si vuole seriamente combattere il clericalismo occorre cambiare la dottrina ed il codice di diritto canonico. Diversamente trattasi solo di piccoli ed inutili aggiustamenti che non incidono nelle cause che provocano gli abusi. La situazione attuale necessita una profonda declericalizzazione. Occorre ridurre il potere del clero, riformulare l’identità del ministero episcopale e del ministero presbiterale. nel senso di riconfigurarli nella loro dimensione originaria di laicità evangelica.
Sono imbarazzato dalla leggerezza con cui la Chiesa nella persona del papa Benedetto XVI ha accelerato la causa di esaltazione del papa polacco il cui atteggiamento distratto nei confronti del clero colpevole di devianze e violenze sessuali è purtroppo ampiamente documentato. Ormai, su di lui, è sceso un velo di indifferenza anche nella sua patria, ma è straziante l’appellativo “santo” che precede il suo nome nelle citazioni di papa Francesco e dei documenti del magistero, alla luce della lettera supra divulgata.
Cara sconosciuta vittima di tanto grave colpa, non a me meno cara sol perché a me sconosciuta. Comprendo il Tuo sdegno per il silenzio che seguì l’offesa arrecata alla Tua innocenza, per la colpevole assenza di chi avrebbe invece dovuto almeno dopo, almeno dopo, vigilare. Non fu così, e la Tua voce non ebbe eco alcuna. Come il viandante sulla via di Gerico, non fu il levita, né il sacerdote a tempestivamente soccorerTi.
Fu quel Vescovo di Bolzano, ma tanti, tanti anni dopo, a dare concretezza al motto ed alla funzione di ‘Episcopus’, cioè di chi si guarda attorno, e si accorse che esistevi, Tu vittima del silenzio e dell’indifferenza delle non solo tre scimmiette: ‘Non vedo, non sento, non parlo.’
Conosco quel silenzio, perché una bimba a me molto cara, anch’essa fu molestata, non solo lei nella scuola materna, e solo dopo tredici anni con ripetuti rinvii giudiziari, il colpevole fu condannato con sentenza della Cassazione. L’autore non era un prete, ma un prete si agitò molto, molto a lungo in tutti quei tredici anni per difendere il reo. Chissà perché, non solo io, non solo noi, ci chiedemmo ‘Chissà perché?’
Certo, scoprì tardivamente (od obbligatoriamente?) la sua vocazione missionaria e lasciò l’Italia, per poi ritornare con un incarico in curia.
Sì, i Vescovi via via succedutisi qui, genericamente espressero solidarietà alla bimba ed ai bimbi offesi, se realmente offesi, dissero: lasciamo che se ne occupino i giudici.
Poi, quando i giudici pronunziarono l’Amen definitivo, ecco il loro silenzio e la loro assenza.
Perciò cara e sconosciuta vittima, accetta il mio solidale abbraccio: è fraterno e, per i molti anni che porto, anche paterno.
Brescia, 6 febbraio 2025 – PAOLO ANGELO NAPOLI
Buongiorno, di fronte al dolore di una vittima la prima istintiva reazione è il silenzio.
Poi, passato un po’ di tempo, si comincia a riflettere.
Chiedere perdono, fare sentire la propria umana solidarietà a chi è stato oggetto di violenza, accogliere le vittime: sono tutti comportamenti nobili e giusti ma non sono sufficienti.
Occorre la giustizia.
Occorre punire i colpevoli e fare luce sui loro complici a tutti i livelli.
Occorre svolgere processi canonici limpidi, trasparenti e PUBBLICI.
Occorre anche che le norme siano sempre rispettate.
Serve come l’aria una magistratura veramente INDIPENDENTE.
Insomma vogliamo veramente riformare la chiesa e rinnovare il primato petrino?
Io comincerei da qui, dal diritto canonico, dall’indipendenza del magistrato, dall’obbligo dell’azione penale e dalla inderogabilità delle leggi.
Basta chiacchiere qua ci vogliono i fatti.
La richiesta di un’assunzione di responsabilità mi sembra proprio il minimo sindacale. Non sarebbe male unire anche un auspicio che si sappia chiedere perdono. Rendere visibile la vittima attraverso la propria empatia è l’unica strada percorribile per ricucire una ferita profonda inferta ad innocenti.
La Chiesa postconciliare è proprio così… autoreferenziale. Non ricordando più che tali peccati orribili OFFENDONO DIO, umiliano il prossimo e ci guadagnano l’Inferno hanno cercato di occultare le conseguenze terribili del peccato originale nell’uomo e quindi anche nei preti. Io non provo vergogna perchè non sono colpevole in alcun modo di tali abusi; accusandoci di ogni peccato dei membri della Chiesa in realtà ci assolviamo dei nostri personali. Comunque, non posso smettere di pensare che per come mi hanno educato i miei genitori qualunque persona (anche il prete più carismatico del mondo) avrebbe ottenuto un bel calcio in “quel posto” se avesse osato toccarmi. Ed ho frequentato varie parrocchie e movimenti dagli 8 ai 20 anni… senza mai incontrare sacerdoti di questo tipo. Questo non significa che questa persona era “responsabile” di alcunché… ma come base di riflessione.
Invidio le certezze che lei ha, su se stessa, sull’efficacia dell’educazione che ha ricevuto e persino su quando Dio si offende. Tuttavia, se non la intendo male, questa lettera non parla di abusi, bensì di come i membri della Chiesa hanno risposto, mettendo a confronto la scelta di Bolzano-Bressanone con quella delle altre diocesi italiane. Qui, qualcosa da dire, in effetti c’è; e non riguarda i peccati personali, ma le scelte ecclesiali, che sono state differenti nelle diverse diocesi. Chissà che educazione hanno ricevuto quelli che hanno scelto di tacere.
La ‘Chiesa preconciliare’ non era certo immune da questi casi, tanto che vi fa addirittura un santo, Giuseppe Calasanzio, che probabilmente coprì e occultò casi di abuso:
https://www.theguardian.com/uk/2004/apr/15/books.religion
https://www.ncronline.org/news/british-historian-church-has-not-learned-abuse-past-centuries
Comunque lei sappia che ci sono casi anche recenti di gente ‘pia e devota’ che preferisce costringere i propri figli al silenzio piuttosto che rivelare che ministri di culto erano degli abusatori.
La corruzione e l’ipocrisia sono dei peccati molto bravi a corrodere le strutture ecclesiali dal di dentro.
Dolore e vergogna, come laico sono i sentimenti che provo a fronte dell’ostinata insensibilità di buona parte dell’episcopato italiano, una ingiustificabile mancanza di responsabilità non solo morale da parte dei “pastori”. Provo però anche vergogna per chi, come me membro laico di comunità cristiane, non ha spesso saputo accogliere, comprendere, proteggere e sostenere le vittime di abusi sessuali e di coscienza commessi all’interno della Chiesa. Provo però anche un immenso sentimento di gratitudine nei confronti ci chi, come l’autrice di questa lettera ai vescovi, condivide il proprio dolore e con coraggio chiama colpevoli e conniventi ad assumersi le proprie responsabilità. Posso solo immaginare (lontanamente) il dolore che le vittime hanno provato e continuano a provare, spero che tale dolore “condiviso” possa risvegliare le nostre spesso sonnolenti e ipocrite coscienze di “buoni cristiani”. Magari fossero i vescovi italiani a fare il primo (sincero e concreto) passo in tal senso……