Abusi nella vita religiosa

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Dom Dysmas de Lassus – © Corinne Simon

Da anni sono ricorrenti notizie sugli abusi, soprattutto sessuali, da parte di personaggi insospettabili e famosi o persone sconosciute. Sempre restiamo amaramente stupiti, siamo schiaffeggiati da questa onda di vergogna.

Dal cuore ci sorgono domande che non hanno riposta: com’è possibile che accada? Com’è possibile che diventi stile di vita? E alla fine sorge la delicatissima domanda, da formulare con molta cura per evitare assolutamente il rischio di fraintendimento: come è possibile che le vittime non si ribellino?

Il potere e gli abusi nella Chiesa

Questa espressione è pericolosa perché potrebbe veicolare, anche solo remotamente, l’idea che ci sia una sorta di compiacenza. E questa sarebbe offesa gravissima per le vittime. Una migliore formulazione potrebbe essere: quale potere viene esercitato perché uomini e donne, non sempre particolarmente fragili a livello psicologico, siano così annientati? Però a questo punto ci fermiamo perché non abbiamo gli strumenti specialistici per indagare, perché di questo ci sembra si tratti.

Per quanto riguarda gli abusi in ambito ecclesiale, la spiritualità ha gli strumenti per riconoscere comportamenti o clima abusanti.

Il volume edito per le Éditions du Cerf, di Dom Dysmas de Lassus, padre generale dei Certosini, Risques et dérives de la vie religieuse, è un importante aiuto per questa lettura. È un volume corposo e di grande riflessione: dato il tema, l’autore ha firmato il libro col proprio nome, cosa che non capita mai con i libri dei certosini, che mantengono l’anonimato. La prefazione è redatta da mons. Carbaillo, segretario della Congregazione  per la Vita Consacrata e le società di Vita Apostolica, segnalando così l’impegno del Vaticano sul tema e l’importanza del testo, in cui per altro confluiscono anche le riflessioni di altri sacerdoti, abati e badesse.

La provenienza monastica dell’autore e di altri collaboratori non deve trarre in inganno: il materiale che ha permesso di redigere il testo viene dalle più varie forme di vita consacrata.

Che ci sia tanto materiale per sostenere una riflessione di circa 450 pagine scoraggia, ma la convinzione che una forma di dedizione a Dio, in cui “donarsi totalmente” (p. 34), ci sarà sempre dona speranza.

In questa convinzione il testo cerca di affrontare le radici di devianze comunitarie. Lo fa con l’umiltà e la tristezza di chi riconosce che il doloroso grido degli abusati, per molto tempo inascoltato, ha  diritto a una risposta che cerchi di comprendere e innestare anticorpi efficaci.

Il nodo istituzionale

Impossibile qui rendere ragione della ricchezza del testo che, con metodo, analizza i vari ambiti della vita consacrata:  quello personale, comunitario, a livello istituzionale, a livello di mentalità comune di fronte al mondo e nella Chiesa stessa; per giungere, infine, ad illustrare come l’abuso spirituale e sessuale, che consapevolmente l’autore considera sullo stesso piano, metta radici in alcuni terreni e veicoli un volto di Dio sfigurato.

Il  testo è un’analisi precisa, ma anche coinvolgente, perché sempre attento alle vittime, che hanno iniziato con slancio il cammino della vita consacrata e poi si ritrovano in un inferno. Ciò spesso rende loro difficilissimo affidarsi poi al vero volto di Dio. Non si può che raccomandarne la lettura, che è disponibile anche in italiano per le EDB.

Qui vogliamo solo indicare alcuni segnali che possono ospitare, nascondere o condurre ad episodi di abuso.

I lettori si chiederanno perché addentrarsi in questi temi? Dobbiamo forse guardare con sospetto i nostri ambienti?

Alle vittime di abuso, che hanno sofferto anche per la distrazione di molti, dobbiamo attenzione. La consapevolezza può anche aiutarci nel valutare esperienze che ci vengono raccontate. E, infine, ci aiuterà a liberare le nostre singole vite e quelle delle nostre comunità da quegli elementi, che di per sé sono lontani dalle derive descritte, ma che un po’ assomigliano e dunque rendono più debole la nostra vigilanza.

L’abuso di potere è il punto chiave degli abusi in ogni ambito.

Nella vita religiosa

Nella vita religiosa il desiderio di rendersi disponibile al lavorio dello Spirito in noi rende aperti alle indicazioni che vengono da chi ci accompagna, dai superiori e dalla vita comunitaria. Oggi, in cui spesso i giovani si accostano alla vita consacrata senza formazione spirituale, questo dinamismo dell’affidamento è particolarmente vivo e delicato.

C’è poi l’orizzonte più ampio della vita consacrata post-conciliare che ha richiesto e chiede cambiamenti profondi. Spesso il disorientamento ha portato alcuni a un’esagerata fedeltà alla tradizione e, dall’altra parte, anche alcune forme di novità si sono poste in modo rigido, e questa rigidità è pericolosa.

Gli abusanti stessi sono il frutto di un “eccesso” che li riconosce come capaci di condurre “oltre i limiti della vita religiosa”. Il successo spesso inebria i fondatori e si giunge a creare un vero e proprio sistema abusante a difesa della loro condotta.

L’abuso si consuma sempre nel segreto del rapporto tra guida spirituale, o superiore, e persona abusata, ma la comunità, colta come sistema, ha un suo ruolo. Un gruppo non è solo l’unione di individui, ma agisce – al di là della consapevolezza – come un sistema che definisce ruoli e distribuisce potere. Un sistema non è né buono né cattivo per sé ma, se copre per comodità o per cecità comportamenti scorretti, diventa un’orribile prigione.

E così la riservatezza tra i membri, soprattutto per quanto riguarda la propria coscienza, la riservatezza con l’esterno per quanto riguarda la vita comunitaria, sono fattori pericolosi se assolutizzati: per esempio, si giunge a chiedere di mentire per custodire quello che, da elemento riservato, diventa così vero e proprio segreto.

La questione è proprio la perdita dell’equilibrio, e proprio per questo la normalità oggi è meglio che superi definitivamente alcuni malintesi. La difficoltà dell’analisi e il pregio del testo sta proprio nel mostrare che atteggiamenti frequenti chiedono vigilanza.

In fondo è normale in una vita comunitaria essere attenti a non ferire l’animo del superiore, anche quando si è in disaccordo, ma la centralità non può essere assecondare il superiore, e vivere in funzione sua. Con questo, chi guida la comunità deve essere attento a non imporre se stesso. Egli non è il modello assoluto e non è neppure esentato, per il carico del suo ruolo, dalla regola comune, e anche dagli usi della comunità.

La funzione del superiore

In questo discorso ci sono due direzioni: il superiore non può pensare di essere il portavoce unico dello Spirito e, d’altra parte, la comunità deve essere consapevole di questo. C’è bisogno della chiara consapevolezza che l’obbedienza è sempre a Gesù per la quale ha senso obbedire al superiore, ma la libertà di pensiero, e di espressione, resta. Perciò oggi è rischioso riprendere l’antica espressione per cui il superiore indica la volontà di Dio. Come s’impone il dovere di non compiere neppure piccoli gesti scorretti, perché l’obbedienza non toglie la responsabilità personale.

Così, se l’obbedienza non può essere cieca, vuol dire che in comunità si potrà chiedere e si darà ragione delle diverse scelte cui i membri della comunità sono tenuti ad obbedire. Solo così l’unità non sarà uniformità. Quest’ultima genera per forza sofferenza ed emarginazione di chi presenta elementi di diversità. E diventa vera e propria collaborazione all’abuso quando ogni diversità è colpevolizzata. Viene da dire: una comunità in cui il dialogo sia franco e non si tema la fatica dell’intendersi è un buon antidoto. La gioia che ne nascerà sarà forse meno evidente, ma certo più profonda. E per vivere lo spirito di lode non sarà necessario negare l’evidenza di storture, o semplicemente situazioni anomale.

La vita spirituale

Con i dovuti passaggi, il medesimo discorso si potrà fare per la direzione spirituale. In questo caso è il tema del segreto che diventa vero segnale preoccupante. L’altro elemento, che si ha spesso quando la persona è già stata un po’ manipolata, è la giustificazione di esperienze inammissibili. Gli abusi sessuali, infatti,  sono spesso giustificati come espressioni di un particolare amore spirituale.

Sul fronte strettamente personale l’elemento che può rendere vulnerabile una persona, e che diventa almeno un abuso spirituale, è il rimando ad una spiritualità che spinge all’eccesso nell’ascesi corporale, come nell’esercizio delle virtù. Soprattutto per quest’ultimo aspetto gli eccessi sfigurano il volto di Dio, quasi volesse solo il nostro sacrificio e  la nostra negazione, e possono avere come conseguenze negli abusati importanti somatizzazioni, sino ad arrivare a gesti di autolesionismo.

Eppure, nella vita cristiana come nella vita religiosa il rischio della “tiepidezza” è lì a portata di mano e ogni epoca ha avuto le sue possibili vie per fiaccare lo slancio di una fedeltà radicale, che coinvolga tutta la persona.

L’autore sa, e noi con lui, che non è possibile erigere un argine sicuro a tutto questo, se non con l’antica regola della discretio monastica, che «corrisponde al senso della misura, la saggezza che nasce dall’esperienza». La definizione ha due fulcri: il senso della misura, che non può che essere calibrato su ciascuno, e il riferimento all’esperienza, che fa uscire dal solipsismo – anche comunitario – la ricerca della fedeltà evangelica.

«L’amore può crescere all’infinito, ma non la sua espressione concreta». Se non resta uno scarto tra l’amore e la sua espressione, forse siamo nell’esibizionismo o in una forma di pelagianesimo, che pretende di vivere con le sole proprie forze la sequela.

Inoltre, è in un clima di eccesso che vengono svilite le istituzioni che la vita religiosa si è data nei secoli. Ogni realtà deve aiutare i singoli e le comunità nella loro obbedienza allo Spirito, ma l’aspetto istituzionale delle diverse regole serve proprio ad evitare che la prepotenza manipolatrice di uno, o di una, si arroghi il diritto di parlare a nome di Dio. E può anche essere una persona diversa dal superiore, che però esercita di fatto il potere.

Pretendere di esprimere pienamente l’assoluto nella vita concreta porta a fare del nostro concreto, e di chi ce lo suggerisce, un idolo.

La vita spirituale è, invece, corrispondere con tutti se stessi all’amore di Dio.

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3 Commenti

  1. Christian 20 gennaio 2022
  2. Gabriele Bragantini 18 gennaio 2022
  3. Giovanni 18 gennaio 2022

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