Servizio sanitario e vita religiosa

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Per alcune categorie di cittadini stranieri il 2024 inizia con nuove disposizioni normative inerenti alla copertura sanitaria. Sono persone che, non essendo lavoratori dipendenti o autonomi, o già residenti per motivi famigliari, devono iscriversi obbligatoriamente, a proprie spese, al servizio sanitario nazionale (SSN).

Si tratta degli ultrasessantacinquenni ricongiunti ai familiari, degli studenti internazionali iscritti nelle scuole o nelle università italiane, delle persone “alla pari” – conviventi in famiglie accoglienti – e di coloro che sono in possesso di un permesso di soggiorno per motivi religiosi.

Per tutte queste tipologie di permessi, la legge finanziaria nr. 213 del 30 dicembre 2023 introduce un rialzo del contributo per l’iscrizione al SSN.  Infatti, il comma 240 dell’articolo 1 della citata legge introduce una modifica all’art.34 del Testo Unico Immigrazione, che stabilisce l’obbligo di versare un contributo per l’iscrizione al SSN. La nuova disposizione è entrata in vigore dal 1° gennaio 2024.

I costi della sanità

Il Ministero della salute, con circolare inviata a tutte le Regioni e Province Autonome in data 12 gennaio 2024, comunica che «la norma emendata dalla legge di bilancio stabilisce che tale contributo non potrà essere inferiore a 2.000 € annui».  La cifra dal 1° gennaio 2024 passa, quindi, da 397,34 a 2.000 euro, come minimo, per i religiosi e per i ricongiunti di anziani con stranieri regolarmente residenti in Italia. Per gli studenti internazionali, il contributo minimo viene elevato da 149 a 700 euro, e, per le persone collocate “alla pari”, passa da 219,49 a 1.200 euro.

Si tratta di un aumento pensato per andare incontro alla copertura dei crescenti costi della sanità pubblica. È un dato di fatto che nessuna Regione d’Italia attualmente riesca a mantenere lo standard di qualità sanitaria, tanto, in precedenza, sbandierato. Il Sole 24 Ore nel marzo dell’anno scorso recava la notizia di 4 milioni di italiani che non si erano adeguatamente curati, soprattutto per ragioni economiche, mentre altri 2,5 milioni non si stavano curando a motivo delle troppo lunghe liste di attesa.  Le stesse difficoltà toccano, ora, evidentemente, anche le categorie qui ripetute, prese di mira dalle nuove disposizioni del DEF.

Mentre la sanità nazionale soffre grandemente, il sistema fiscale italiano non riesce a racimolare le risorse necessarie. Stando a La Repubblica del 6 agosto 2023 l’evasione fiscale raggiunge i 795 miliardi di euro in tasse che l’Agenzia delle Entrate non riesce a recuperare. Emblematica la definizione di «pizzo di stato» che il Presidente del Consiglio in carica ha dato delle tasse dovute da parte di tutti i cittadini secondo il loro reddito, come previsto dalla Costituzione.

Pare proprio che il fisco “amico” debba tollerare l’evasione e l’elusione delle imposte. Gli unici incastrati nella fedeltà contributiva risultano i lavoratori dipendenti e i pensionati, che vengono tassati alla fonte, senza scappatoie. Mentre un italiano su due dichiara, inattendibilmente, un reddito inferiore ai 18.000 euro.

La situazione è tale che nessuno possa eludere le proprie responsabilità – e il proprio contributo – rispetto al sostentamento del SSN, ovvero ai vari sistemi regionali ormai: la giustizia redistributiva richiede che ciascuno paghi il suo dovuto e il sistema “universale” funzioni per tutti, per il diritto alla cura che è di tutti, non solo di chi  può permettersi di saldare spese sanitarie private e, così, celermente accedere ai servizi specialistici, diagnostici e persino chirurgici,  oltre  che a puntuali screening di prevenzione.

Religiose e religiosi stranieri in Italia

Detto questo, trattando qui, in specie, il caso delle religiose e dei religiosi nel nostro Paese, posso ben supporre la platea di interessati, composta sia da giovani delle varie congregazioni in Italia per la formazione teologica e gli studi  superiori, che da membri di congregazioni maschili e soprattutto femminili che svolgono attività pastorale o attività lavorativa all’interno di strutture dell’ente di appartenenza oppure delle diocesi italiane.

Spesso, tali persone straniere sono inquadrate come soci dell’ente erogatore di servizi, come ad esempio nelle Congregazioni che gestiscono scuole private, ospedali e case di cura per i propri confratelli o consorelle.  Non essendo dipendenti per lavoro, ottengono un permesso di soggiorno per motivi religiosi, cadendo nella fattispecie dei permessi che necessitano della iscrizione “volontaria” al SSN.

Ma, se fossero assunti con regolare contratto di lavoro, avrebbero una posizione sanitaria simile agli altri lavoratori e pensionati.  Lo stesso dicasi dei religiosi e dei laici che svolgono sevizi nelle diocesi o nelle parrocchie. Anche in tali casi, le varie figure andrebbero quindi inquadrate quali lavoratrici o lavoratori impiegati, non come soci o volontari di associazioni onlus.

Per quanto attiene il personale religioso femminile e il suo servizio, è risaputo, specie nei nostri ambienti, il ben poco dignitoso sfruttamento operato in passato e, spesso, tuttora, in essere nel presente. L’effettivo lavoro è ancora poco o per niente remunerato.

L’obiettivo, dunque, in buona fede riconosciuto, dovrebbe e potrebbe essere quello di espletare una funzione di servizio alla Chiesa e alla sua sincera carità, ma con una profonda riflessione in merito alla giustizia del trattamento economico, incluso quello previdenziale e sanitario.

L’incrementato onere sanitario – di per sé dovuto – potrebbe diventare, allora, residuale e secondario. Pensiamo – ormai è evidente – che saranno le donne e gli uomini dei Paesi più poveri del mondo a rappresentare una delle maggiori risorse delle Chiese e della Chiesa cattolica di domani.

La Chiesa ha offerto e continua ad offrire all’Italia quei servizi essenziali che non sempre sono garantiti dallo Stato. La Chiesa batte le periferie della miseria umana, localmente, per lenire ferite sociali tutt’ora in crescita. Ebbene, in un Paese che si dice cattolico, che persino, pubblicamente, rivendica la triplice appartenenza «Dio patria e famiglia», risulta sempre più difficile trattenere un vero senso di Dio, in una patria assoggettata a favori ed interessi di parte e in una famiglia estranea, litigiosa e persino violenta.

Il Decreto voluto dall’ex ministro dell’interno Luciana Lamorgese – governo Draghi – aveva introdotto una modifica all’art. 6 del Testo Unico Immigrazione, 286 del 1998, prevedendo la conversione in permessi per motivi di lavoro dei permessi di studio, per motivi religiosi, per residenza elettiva, lavoro artistico e sportivo, assistenza minori, protezione speciale, calamità naturale e per acquisizione di cittadinanza italiana da parte di apolidi.

Tale innovazione è stata rimaneggiata, in negativo, dalla legge nr. 50 del 5 maggio 2023 – la cosiddetta “legge Cutro” – varata dall’attuale governo: norma che stralcia la possibilità di conversione in permesso per motivi di lavoro per i possessori di permessi per protezione speciale e per calamità naturali.

Lavoro e retribuzione

Stando così le cose, a mio parere, vale davvero la pena promuovere una massiccia conversione dei permessi di soggiorno per motivi religiosi in permessi per lavoro o per studio, anche perché quest’ultimo consente pure di lavorare sino a 20 ore settimanali, con la possibilità, a fine corso di studi, della conversione in permesso di soggiorno per lavoro.

Durante i miei studi di teologia a Friburgo, in Svizzera – sia io che i miei compagni – abbiamo passato le estati  a lavorare, in modo da  guadagnare il gruzzolo necessario a coprire i costi dell’iscrizione all’università, pagare la tassa sul permesso di soggiorno e comperare i libri di testo. Certo la congregazione pensava a tutto il resto. Ma direi di prendere l’occasione di questo nuovo esborso in Italia, per ripensare il trattamento economico e l’inquadramento delle religiose e dei religiosi provenienti da Paesi extra-UE: sarebbe utile, sia per dare maggiore visibilità a quanto di bene le nostre Congregazioni fanno, quindi per valorizzare i servizi di pubblica utilità che, con queste persone, si rendono alla Chiesa e alla società tutta.

Prendo l’occasione anche per una riflessione, più specifica, sulla tematica dei permessi per motivi di studio.

L’Italia è costantemente alla ricerca di competenze professionali di alto livello, ma non riesce ad essere attrattiva quanto altri Paesi europei, quali Germania, Francia, Spagna, Gran Bretagna.  Nell’anno accademico 2023-24, in Germania, hanno avuto luogo 305.000 immatricolazioni universitarie, a cui si sono aggiunte 93.000 immatricolazioni di stranieri, di cui 38.000 provenienti dall’Asia, ossia il 40% del totale; i gruppi maggiori risultano dall’India con 12.000 e dalla Cina con 6.700.  Per la Germania questi giovani rappresentano un serbatoio strategico di competenze, anche perché molti di loro, terminati gli studi, restano in Germania a lavorare.

In Italia, nell’anno accademico 2021-2022, gli studenti internazionali sono stati 18.448, tra cui diversi iscritti alle facoltà teologiche o agli Istituti di Scienze Religiose. Anche in questo caso la crescita del costo per l’iscrizione al SSN può costituire la circostanza di un approfondimento della riflessione ecclesiale circa la condizione e il futuro degli studenti provenienti da Paesi terzi.

Uno studente in Italia, dotato di permesso per studio può lavorare sino a 20 ore settimanali e, a fine corso, come detto, può convertire il suo permesso in permesso per lavoro. I 700 euro di iscrizione al SSN non costituiscono un impedimento. Insormontabili sono invece le condizioni alloggiative e gli accessi a strutture universitarie accoglienti, che spesso costringono, sia stranieri che italiani, a vagare nei meandri del mercato immobiliare, più o meno in chiaro o in nero.

Lo Stato italiano dovrebbe, perciò, promuovere e sostenere accordi multilaterali con molti Paesi extra-UE, sostenendo borse di studio ed aiuti per procurarsi le nuove competenze e professionalità di cui ha bisogno: ciò sarebbe strategico per il futuro del nostro sistema Paese. Già ora la manodopera straniera in Italia ha un inquadramento professionale inferiore alla propria formazione: il 33,1% degli occupati è sovra istruita rispetto al 25,2% degli italiani. Non è una novità il dato di fatto che in Italia gli stranieri, anche se sovra istruiti, sono occupati in mansioni a bassa valenza professionale.

Gli stessi laureati stranieri, formatisi all’estero, non trovano la possibilità di un inserimento lavorativo corrispondente ai titoli acquisiti. Nel 2015, qui in Italia, si criticava la Merkel perché stava portando i siriani in Germania: ebbene, a distanza di 8 anni, il 56 % dei siriani giunti in Germania nel 2015 è perfettamente inserito nel mondo del lavoro, anche se, pure là, con retribuzioni più basse rispetto alle equivalenti categorie locali. Si tratta comunque di dati che in Italia costituiscono un lontano miraggio di immigrazione ben riuscita!

Per quanto riguarda il reiterato ricorso all’indiscutibile valore della famiglia, mi appare del tutto meschino e fuorviante far passare i valori famigliari “degli altri” meno nobili dei nostri, sempre che esistano davvero. Ormai la famiglia contemporanea occidentale è costituita più da relazioni elettive che da legami del sangue.

Risulta, quindi, obsoleto, oltre che odioso, voler penalizzare i genitori anziani delle famiglie immigrate, inserite e presenti, proficuamente, in Italia, da anni. Un nonno o una nonna possono essere, chiaramente, come per noi, un grande aiuto per le famiglie immigrate, per la coesione delle giovani famiglie impegnate, da mattina a sera, nelle attività economiche, specie di sussistenza e di mantenimento, nel nostro Paese. Penalizzarle oltremodo nella possibilità di prendersi in casa i genitori anziani dimostra quanto la sensibilità autentica, nei confronti dell’istituzione famiglia, sia alquanto dubbia.

Torno, per concludere, alle religiose e ai religiosi: migliaia di religiose, meno di religiosi, provenienti da Paesi diversi e presenti in Italia, sia studenti che occupati in attività pastorali formali e informali, attivi in progetti di cui beneficiano le periferie delle marginalità, oppure occupati in attività di accoglienza e di ospitalità. Il loro inserimento nel tessuto sociale italiano rappresenta un valore aggiunto sia per il contesto di fede, sia per la crescita umana e spirituale.

Conferire un valore economico alle attività da loro svolte non significa svilirle, anzi vuol dire dare legittimazione e richiamare giustizia. Ricordo le parole di San Paolo: «Noi non abbiamo vissuto oziosamente fra voi, né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato con fatica e sforzo notte e giorno per non essere di peso ad alcuno di voi» (2Ts 3,7b-8). È un invito a riconoscere il lavoro svolto nelle comunità ecclesiali e negli istituti. Queste presenze altre, da cittadini del mondo, sia studenti che operatori, sono ambasciatrici globalizzanti della solidarietà e della giustizia, autentiche peace-keeper dalle zone del pianeta segnate dalle piaghe della ingiustizia e della violenza, valori aggiunti impagabili.

L’approccio ideologico alle tematiche delle migrazioni contemporanee verso l’Italia o l’Europa, non fa altro che promuovere distopia nel nostro mondo, camuffando le grandi difficoltà della mera conservazione del sistema economico-sociale occidentale.

L’aggravio pesante dei costi di iscrizione al SSN – che sicuramente incrementa il senso di sfiducia dei cittadini nell’accesso ai servizi sanitari di base – rappresenta il disconoscimento dei plurimi valori aggiunti che qui ho cercato di evidenziare, che andrebbero a beneficio del nostro Paese. Si colpisce inutilmente l’aria – o si batte a vuoto l’acqua, come si dice – senza promuovere soluzioni efficaci ai problemi di cui il Paese e l’Europa stanno, sempre più, soffrendo.

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Un commento

  1. Sr. Marta 19 marzo 2024

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