Vita consacrata: “riparare” dopo gli abusi

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Il Convegno per i 100 anni della rivista Vies Consacrées si è tenuto presso le Facultés Loyola di Parigi il 24 e 25 ottobre 2025 e si è chiesto con audacia e senza tabù se fosse necessario riparare la vita consacrata, giudicata ormai danneggiata, “rotta”…

Cosa riparare nella vita consacrata

Dopo la presentazione della problematica da parte di suor Noëlle Hausman, s.c.m., direttrice di Vies Consacrées, tutta la mattinata, oltre all’eucaristia presieduta dal card. Ángel Fernández Artime, s.d.b., pro-prefetto del Dicastero per la vita consacrata, è stata dedicata a una riflessione sulla “riparazione”.

Così suor Isabelle Le Bourgeois, s.a., psicoanalista, ha esplorato ciò che è irreparabile e ciò che non è stato riparato. Nella vita consacrata, occorre innanzitutto riparare i corpi e le anime ferite, ma anche ciò che non fa vivere la vita consacrata. Per riparare, occorre, innanzitutto, riconoscere ciò che deve essere riparato e verificare che lo sia. Occorre anche comprendere e affermare chiaramente che, nelle vite martoriate delle vittime, c’è molto di irreparabile (ogni ritorno indietro è impossibile).

Questo lavoro necessario aiuterà a definire con maggiore precisione come si manifesta oggi ciò che è stato danneggiato da questo irreparabile: è l’irreparato, tutto ciò che non è ancora stato riparato e che, potenzialmente, può esserlo.

Ma a quale scopo? Per un maggiore benessere delle vittime, ma anche per una migliore comprensione di cosa sia la vita consacrata e di cosa abbia permesso che tutto questo accadesse.

Qual è lo scopo della vita consacrata, se non, innanzitutto, la consacrazione alla Buona Novella annunciata da Gesù Cristo? Come fare allora per non perderla di vista? Si tratterà, tra l’altro, di ripensare il modo di vivere insieme (il rapporto autorità-obbedienza, la vita fraterna), di riflettere insieme in modo maturo sul rapporto con il corpo, sul rapporto uomo-donna, di cercare un modo per vivere insieme i voti in vera libertà…

Il professor Didier Luciani, emerito dell’UCLouvain, teologo e biblista, ha studiato la riparazione del mondo (Tikkun olam) nel giudaismo, in particolare nella Kabbalah del XVI secolo: riparare/perfezionare attraverso la regalità dell’Onnipotente. Di natura giuridica, il Tikkun olam è diventato una categoria mistica e, nel XX secolo, un programma di azione e di giustizia sociale.

Aspetti critici

Il pomeriggio del primo giorno è stato dedicato a una vigorosa denuncia di ciò che non va nella vita consacrata ed ecclesiale.

La professoressa Marie-Jo Thiel, laica consacrata, medico e teologa (Università di Strasburgo), ha smascherato le disfunzioni ecclesiologiche ed etiche descritte dalla «crisi degli abusi».

Perché alcuni consacrati arrivano ad aggredire sessualmente? Ci si sarebbe potuto aspettare che uno stile di vita evangelico fosse protettivo, soprattutto nei confronti di coloro ai quali Gesù manifestava una predilezione. Ma non è stato così, anzi, molti responsabili istituzionali non hanno denunciato i crimini, né ascoltato le vittime; non si sono informati sulle cause di queste violenze.

Questa crisi è dovuta a disfunzioni istituzionali imputabili a un’ecclesiologia sistemica (governo gerarchico, non separazione dei poteri episcopali, potere sacro attribuito ai sacerdoti, insignificanza del ruolo della donna…), a sua volta legata a fattori teologici, biblici, etici… distorti. Il più grave è il clericalismo autoritario (potere-sesso-genere) e gli abusi di potere di alcuni.

Padre Patrick Goujon, s.j., caporedattore della rivista Recherches de Science Religieuse (Facultés Loyola), ha denunciato, con una certa rabbia, l’attuale impasse della vita consacrata, incapace di affrontare le violenze che essa stessa ha provocato, interrogandosi, al contempo, sulle risorse della spiritualità per uscire da questa contro-testimonianza al Vangelo. Se le aggressioni sessuali e gli abusi di potere sono il risultato di un malfunzionamento generale della vita consacrata, allora sono le nostre stesse concezioni della vita spirituale che devono essere messe in discussione.

Il dono di sé richiede la sottomissione se si spera in un frutto di vita secondo il Vangelo? Il corpo, se fa parte di questa offerta totale di sé, è escluso dall’esigenza evangelica dell’amore di Dio, di sé e del prossimo? Mentre le Scritture sono state così manipolate per ottenere dagli altri ciò che la legge civile proibisce e l’amore di Dio disapprova, quali risorse può offrire la spiritualità affinché la vita consacrata sia veramente una via di salvezza?

Il problema degli abusi (non denunciati) è che il battesimo viene rinnegato. Bisogna combattere il male alla maniera di Cristo che affronta le tentazioni (in particolare la terza: cedere per omissione o silenzio per non perdere potere), i tradimenti nei suoi confronti (Pietro, Giuda)… La (doppia) grazia – secondo Ignazio di Loyola – consiste certamente soprattutto nel conoscere interiormente Gesù Cristo per imitarlo, ma anche nel conoscere gli stratagemmi del Nemico per evitarli.

Suor Agata Zielinski, x.m.c.j. (xavière), filosofa (etica medica presso le Facultés Loyola di Parigi), ha affrontato la questione da una prospettiva insolita: quali sono le risorse delle emozioni in una vita (consacrata) sconvolta?

Il contesto degli abusi ci lascia disorientati e provati. È l’occasione per dare voce a ciò che proviamo e che ci prova: rabbia, tristezza, sconforto, indignazione, disgusto, desolazione…

Cosa fare delle emozioni? Queste non sono estranee alla nostra vita spirituale al seguito di Cristo, alle emozioni che lui stesso prova, alla preghiera, alla vita dello Spirito in noi. Questi affetti possono rivelarci ciò a cui teniamo e quindi essere di aiuto al nostro discernimento, possono alimentare il nostro agire etico (contrariamente al formalismo etico di Kant).

A quali condizioni le emozioni, identificate e riflesse, possono aiutare un discernimento comunitario (cosa ne faremo insieme?)? Ad esempio, l’ammirazione è un’emozione rischiosa: può diventare una fascinazione alienante se mi rende estraneo a me stesso per l’eccellenza desiderata che attribuisco a un altro, così come può essere il luogo in cui mi rallegro dell’esistenza degli altri, se la mia ammirazione è realistica e se viene lasciato spazio alla critica lontano da ogni idealizzazione cieca.

P. Benoît Carniaux, o.praem. (Abbazia di Leffe), ha concluso la prima giornata proponendo un contrappunto ai diversi interventi.

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Nuove speranze

Nel secondo giorno del convegno, dopo aver individuato gli ostacoli il giorno precedente, si è voluto aprire la strada a nuove speranze.

Al mattino, padre Bruno Cadoré, o.p., medico, teologo ed ex Maestro dell’Ordine, ha offerto «una speranza senza evidenza, o [di] consolare la speranza» stessa. Sperare, infatti, significa testimoniare ciò che non vediamo (cf. Rm 8,24), ma attendiamo con perseveranza.

Questa parola dell’Apostolo è al centro dell’avventura della vita consacrata, che si sforza di testimoniare la speranza del Regno promesso, cercando nel mondo i fragili segni dell’avvicinarsi del compimento della promessa, rinunciando a evidenze troppo facili (ascolto della Parola, vivere con gli altri). Il cammino è lungo fino alla conversione alla fraternità che vorremmo annunciare. È necessaria una lunga pazienza per accogliere nella propria umanità la grazia della verità di Cristo che rende liberi. Molte crisi nella vita consacrata non derivano forse dal fatto che le autorità e le parole umane hanno talvolta sostituito la Parola di verità, tradendo la fiducia con cui si sperava di essere aiutati a diventare veramente liberi?

Istituzioni in cerca di gloria hanno lasciato intendere che potevano tacere impunemente le violenze fatte alle persone. A volte, è stata creata una tale confusione tra l’immediatezza delle emozioni religiose e il desiderio di cercare la verità, che gli slanci di generosità sono stati alienati dalla volontà umana.

È necessario “riparare” la vita consacrata? È quantomeno opportuno promuovere una delle condizioni per il suo pieno sviluppo: che l’orizzonte della speranza sia protetto dalle menzogne, dalla violenza e dalla confusione.

Il resto della mattinata è stato dedicato ai workshop (i partecipanti erano invitati a sceglierne due). Ecco semplicemente l’elenco con il nome del relatore: “Riparare i superstiti?” (Cathy Leblanc, filosofa, CRIBED); “Riparare la vita comunitaria?” (Anne-Claire Noël, suora di Gerusalemme, e Christophe Monsieur, padre abate di Leffe); “Riparare i voti?” (Emmanuelle Maupomé, psichiatra infantile, suora ausiliatrice); “Riparare l’accompagnamento spirituale?” (Noëlle Hausman, suora del Sacro Cuore di Maria, teologa, direttrice di Vies Consacrées); “Riparare la libertà nelle relazioni?” (Laure Templier, psicologa del lavoro e psicoterapeuta); “Riparare il rapporto con le Scritture?” (Anne Lécu, suora domenicana della Presentazione, medico in ambiente carcerario); “Riparare le nostre immagini di Dio?” (Pierre Alexandre Collomb, gesuita, dipartimento di Estetica delle Facoltà Loyola di Parigi); “Riparare le istituzioni” (Cédric Burgun, sacerdote diocesano, decano della Facoltà di diritto canonico dell’ICParis); “Riparare la Chiesa?” (Matthieu Bernard, sacerdote dell’Emmanuel, docente di teologia all’UCLyon); “Riparare il pianeta?” (Gabrielle Pollet, transizione ecologica per la provincia gesuita dell’Europa occidentale francofona, e Alexandre Masson, progetto di ecocentro spirituale gesuita di Châtelard).

Fraternità differenziata ed ecumenismo

Il pomeriggio conclusivo ha visto due interventi prima di una tavola rotonda e della chiusura del convegno.

Fratel Éric Bidot, ex ministro provinciale dei Cappuccini di Francia e Belgio, nuovo vescovo di Tulle, ha trattato il tema dell’obbedienza in una fraternità differenziata, un modo di relazionarsi tra adulti responsabili delle proprie parole e delle proprie azioni e come un bene per l’intera comunità.

Quale riconoscimento del ruolo di ciascuno ciò comporta, in particolare di coloro che ricevono, per un certo periodo per elezione, l’incarico di governo? Quale spazio offrire ai disaccordi? Come prendere una decisione in modo non piramidale? In una stessa comunità di fratelli e sorelle, come vivere un’obbedienza reciproca, segno di maturità spirituale e di responsabilità?

La tradizione francescana (Chiara d’Assisi, Testamento; Francesco d’Assisi, Biglietto a frate Leone e Lettera a un ministro) può aiutare ad articolare il rispetto della libertà personale e l’importanza della fraternità.

Al sottoscritto, padre Joseph Famerée, provinciale dei Sacerdoti del Sacro Cuore dell’Europa francofona, professore emerito all’UCLouvain e copresidente del Groupe des Dombes, è stato affidato un argomento a prima vista un po’ sorprendente: l’esperienza ecumenica può essere fonte di ispirazione per la vita consacrata e il suo eventuale rinnovamento? O, secondo il titolo proposto: «Diversi ma collegati: il paradigma ecumenico».

Oggi, generalmente, l’ecumenismo è concepito come una ricerca del ripristino della comunione tra le Chiese cristiane in una legittima diversità (di espressioni spirituali, liturgiche, dottrinali, etiche e pratiche). Questo ripristino della comunione interecclesiale si realizza secondo le tre dimensioni fondamentali dell’ecumenismo: spirituale, dottrinale e pratica.

Si realizza anche secondo modello (unità nella diversità, diversità riconciliata, consenso differenziato – un consenso fondamentale che sostiene e permette differenze verificate come legittime, poiché non negano ciò che afferma la differenza dell’altro).

Non è forse uno degli scopi della vita consacrata quello di vivere l’unità nella diversità di membri che non si sono scelti? Non si possono riconoscere anche nella vita consacrata tre grandi ambiti che la strutturano: pregare (spiritualità), pensare (dottrina) e agire (pratica)? Il modello ecumenico del consenso differenziato, in particolare, non può aiutare a pensare e a realizzare la vita consacrata come comunione di persone diverse, che non si sono scelte, ma sono legate da un unico consenso fondamentale, la ricerca dell’assoluto del Regno di Dio?

La tavola rotonda è stata ricca: ne è emerso un appello a cercare la verità nella vita consacrata, a crescere in maturità per lasciare affiorare il desiderio di Dio, a stare insieme nella libertà per diventare insieme credenti.

Joseph Famerée, Superiore provinciale dell’Europa Francofona dei Sacerdoti del Sacro Cuore, professore emerito presso l’Université catholique de Louvaine e copresidente del Groupe des Dombes, ha scritto il suo resoconto sulla base del dossier consegnato ai partecipanti al Convegno per i 100 anni della rivista Vies Consacrées (Parigi, 24-25 ottobre 2025)

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Un commento

  1. Maria Laura Innocenti 14 novembre 2025

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