II Per annum: L’Agnello di Dio

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Con questa domenica si riprende il calmo e fiducioso cammino del popolo di Dio nel tempo quotidiano dell’amore di Dio. Il tempo ordinario è il tempo della normalità, della quotidianità, tempo nel quale si degusta lentamente il sapore dell’amore di Dio assaporato nelle domeniche e nei tempi forti dell’anno liturgico. Il Signore ci incontra nella normalità della vita, nella quotidianità delle esperienze che variano da un anno all’altro.

Il cammino di casa

 Non siamo uguali all’anno scorso, di questi tempi. Gioie ed entusiasmi sociali ed ecclesiali si sono mescolati a forti delusioni, incertezze radicali sul futuro del pianeta e del rapporto fra i popoli; dubbi profondi sono nati sulla permanenza di una coscienza di umanità nel cuore dell’uomo di oggi. Milioni di persone sono state sballottate come fuscelli dalle guerre, dalle migrazioni e dai terremoti. La grazia della misericordia di Dio e degli uomini ha fatto però battere forte il suo tocco nel cuore di tante persone. Il messaggio sta penetrando. Dio è misericordia. Noi ne abbiamo bisogno ed è a nostra disposizione, per poterla riversare su chi ci è vicino, a partire dai più fragili e i più poveri, spesso bambini e famiglie in difficoltà.

La grande ruota dentata del mistero pasquale di Gesù risorto torna a incidere settimanalmente la carne viva della nostra vita che scorre, per incidervi sempre più in profondità la certezza di essere amati, redenti, accompagnati e custoditi dalla parola di Dio, dall’eucaristia, dallo Spirito pasquale, dalla comunità ecclesiale, dal povero in cui si specchia il volto di Gesù.

Si può fare di più

Non ci sono mai pagine e figure dell’Antico Testamento a sufficienza per dialogare con il Nuovo Testamento e far brillare in pienezza la persona e il cuore di Gesù, centro della storia della salvezza e speranza certa e ferma nello scorrere del tempo.

La lettura del profeta Isaia ci presenta il secondo dei quattro carmi dedicati al misterioso “servo del Signore/YHWH”. Che sia uno dei profeti, un pio re o una parte fedele del popolo di Israele rispetto al resto della comunità, sta di fatto che è già stato “plasmato” dal suo abile e amabile vasaio fin dentro il ventre materno e ha già goduto della corona di una grande stima (lett. “peso/gloria”) da parte del Signore. Il Signore è stato la sua forza, dal concepimento fino all’esercizio della vocazione per cui aveva tessuto personalmente i fili del suo corpo, della sua vita, del suo futuro. Il Signore aveva pensato a un compito enorme per il suo servo: restaurare (lett: “far alzare in piedi”) le tribù di Giacobbe e “ricondurre” (lett. “far tornare”) i superstiti di Israle dall’esilio di Babilonia.

Ora il servo si sente dire che “È troppo poco/leggero” tutto ciò che di bello tu hai fatto finora con la mia forza. Hai fatto il bene. Hai fatto avanzare la storia, hai ricompattato i disperati, hai rimesso insieme il popolo di Dio che è testimone nel mondo della volontà di Dio di fare alleanza con tutti i popoli, la famiglia dei figli di Dio. Hai fatto il bene, puoi fare il meglio, si può fare di più. Uno scatto di qualità e di espansione spaziale e mentale. «Io ti renderò (lett: “Io ti darò in dono di”) luce delle nazioni (i famosi e a tratti disprezzati goyîm), perché porti la mia salvezza (lett: “perché la mia salvezza sia”) fino all’estremità della terra».

La luce e la salvezza sono sempre proprietà e doni del Signore. Egli dona grazia su grazia, una grazia che abbracci e superi la precedente. Così la “salvezza” del Signore è protagonista assoluta fino ai confini della terra e dei cuori degli uomini, impersonata e impregnata dentro le fibre del corpo del servo. Erano state fibre predisposte a suo tempo fin dal seno materno, cellule potenziali dedicate a svilupparsi in quella direzione. Ma bisogna che il servo dica sì e acconsenta allo scatto di qualità. A una missione in uscita. Non più ricompattare solo la propria gente, ma uscire e annunciare la buona notizia del volto e del cuore di Dio di Israele, illuminare e scaldare i cuori smarriti, indicare e accompagnare con misericordia il cammino di tutti i popoli della terra. Un bel cambiamento mentale, un ampliamento di cuore, un’estroflessione non facile da digerire, un salto in avanti della fede che cresce col donarla.

Il testimone dell’Agnello di Dio

“È troppo poco/cosa leggera” che tu battezzi con un’acqua di penitenza un popolo che si apra al Messia Salvatore. Così pressappoco deve aver percepito nell’anima Giovanni Battista così come ce lo presenta il Vangelo di Giovanni. Nel Vangelo di Luca di lui si afferma: «Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele» (Lc 1,80).

E, quando si manifestò al suo popolo, annunciò la necessità di cambiare vita, mentalità, cuore, prepararsi a ricevere ben disposti Colui che sarebbe venuto dopo di lui a battezzare con un battesimo infuocato di Spirito Santo. Si rivelò a Israele come profeta di buone notizie, ma dette con modi rudi e forti e con un immaginario di giudizio fatto di tagli decisi e recisioni radicali. Un profeta battezzatore, con un battesimo di penitenza che esteriorizzava la volontà di cambiare vita, ma non poteva assicurare il mutare radicale del cuore.

Nel Vangelo di Giovanni (chiamato spesso il Quarto Vangelo) la sua persona assume una fisionomia e un compito diverso. Giovanni ora è il Testimone, il testimone di Gesù. Battezza ancora lungo il Giordano, accompagnato da una cerchia di discepoli, ma il suo cuore e i suoi occhi continuano a girarsi intorno per vedere Qualcuno che sa che c’è, ma che lui “non conosce” fino in fondo. È un suo parente, ma di tutt’altro livello. È stato pensato da Dio fin da sempre, alla radice dell’essere. Non lo conosce bene lui (Gv 1,31.33) e men che meno la gente attorno a lui (Gv 1,26), il popolo di Israele.

E Giovanni, il testimone della luce (Gv 1,7.8; cf. 1,15.32.34), è chiamato a rispondere in un’inchiesta ufficiale, ma nega di essere lui il Cristo. E il giorno dopo lo vede venire verso di lui, proprio lui, Gesù, il più grande, il primo. Il battesimo di acqua del Battista è stata quasi un’“esca” per stanare Gesù: «Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato [passivo divino, “da Dio”] a Israele» (1,31).

Giovanni Battista si manifesta a Israele ma soprattutto manifesta come testimone autorevole Gesù a Israele. Gesù non viene battezzato da Giovanni, secondo il Quarto Vangelo. Si sorvola su questo particolare, come di fatto anche gli altri evangelisti lo raccontano con varie sfumature.

Giovanni vede venire Gesù e percepisce come vero quello che gli era stato rivelato da Dio nel cuore. E testimonia. Dice quello che gli è stato detto personalmente, quello che ha percepito nel cuore di persona, quello che visto con la propria fede. E la sua testimonianza è un fatto inciso nella storia, ma i suoi effetti perdurano per sempre nel presente di noi che leggiamo e viviamo la sua testimonianza. «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!».

L’immagine dell’agnello di Dio può rimandare all’agnello pasquale, il cui sangue asperso sugli stipiti delle porte degli ebrei li aveva salvati nel momento della liberazione dalla schiavitù in Egitto. Ma l’agnello può alludere anche alla figura misteriosa del servo del Signore/YHWH che va incontro mansueto alla sua uccisione ingiusta, affrontata in favore del suo popolo (Is 53,7).

È un agnello redentore, che riscatta il fallimento e la tristezza più grande per l’uomo: l’incredulità, il non credere all’esistenza e all’azione di un Dio di misericordia e amante dell’uomo. Gesù prende su di sé questa nostra fatica di credere, di vedere l’azione di Dio in molti dei nostri giorni e degli avvenimenti vissuti da noi o che hanno trafitto la vita di tanti fratelli. Non è facile credere, ma Gesù con le spalle forti e miti, simile anche all’agnello vittorioso di Giuda presentato nell’Apocalisse, prende su di sé la nostra fragilità e si fa nostro compagno di viaggio. E facendo così, il peccato del mondo, l’unico vero peccato – per il Vangelo di Giovanni –, il più grande, la grande radice marcia, viene non solo “assunto” su ma anche “portato via”, annullato nel cuore dell’uomo dalla compagnia amorosa e mite di Gesù, Agnello di Dio.

Giovanni lo aveva percepito chiaramente quando, al momento del battesimo di Gesù – non menzionato esplicitamente in verità –, aveva visto lo Spirito Santo scendere velocemente come colomba su di lui e rimanere su di lui. Gesù non è solo il Messia, l’inviato definitivo del Padre, ma è Figlio di Dio. Egli partecipa in continuità della vita d’amore della Trinità e ora riceve la dotazione dello Spirito per la sua missione messianica terrena. Ma lo Spirito rimane su di lui e Gesù è generoso senza limiti: «senza misura egli dà lo Spirito» (Gv 3,34). Immerge gli uomini nella vita infuocata dello Spirito di Dio amore trinitario.

Si può “essere” di più

Nelle pagine della parola di Dio di oggi tutti sono chiamati a fare di più, a dare di più, ad essere di più. Il Servo del Signore, luce e salvezza universale impersonificata di YHWH. Giovanni non solo battezzatore, ma soprattutto Testimone perenne di Gesù. Gesù non più solo Verbo incarnato che vive “nascosto” a Nazaret, ma che viene rivelato a Israele come Agnello di Dio che porta via il peccato dal cuore dell’uomo perché è Figlio di Dio che è dotato dello Spirito in modo permanente, e lo dona senza limiti nel suo battesimo infuocato di Spirito.

Pagine provocatorie, pagine incoraggianti. Ci prendono dal punto in cui siamo, nel “cammino di casa quotidiano, ordinario” per lanciarci nella sfida dell’essere di più. Essere più recettivi dell’amore di Dio Padre, della sua misericordia. Fidarci di più della presenza mite ma potente di Gesù che può cambiare il nostro cuore e i nostri atteggiamenti. Lasciarci immergere di più nello Spirito che Gesù ci dà senza misura. È la sfida del ricominciare, del ricercare Dio, del fidarci di lui. Egli ha un solo desiderio: che il nostro “essere di più” sia da noi capito non come un ulteriore bagaglio moralistico-rituale da portare sulle spalle, ma come un crescere verso la piena rivelazione di quello che noi già siamo per suo dono: figli di Dio felici!

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